Giorno di vacanza
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Galla
«[…] Non ho memoria dell’epoca in cui credevo di essere parte della mamma, e ricordo il giorno in cui ho capito che lei e io eravamo due persone distinte, e da allora il mondo non è stato più lo stesso. Mai più.»
Il suo unico bene è quella bicicletta sgangherata e spesso fangosa con cui ogni quindici giorni cerca di tornare a casa. Siamo in Francia e Galla ne è a bordo. Sta percorrendo i suoi 35 chilometri di fatica per raggiungere la famiglia. Di solito vi si reca ogni due settimane, questa volta vuol fare una sorpresa, vivere il suo “giorno di vacanza”. Vuol portare alla madre e alle quattro sorelle quei doni che ha rubato al liceo, vuol rivedere la sua numerosa famiglia dopo le giornate trascorse a scuola. La sua è una vita inquieta esattamente come inquieta è la sua anima. La casa natia è un po’ una prigione, un po’ un luogo di affetto ma soprattutto di anaffettività, il percorso scolastico che potrebbe rappresentare il suo futuro e anche quello per la famiglia è luogo di derisione per la povertà che la caratterizza con quei vestiti appartenuti alla zia scomparsa e per quelle umili origini che non la abbandonano nei suoi tragitti. Galla vorrebbe accontentare tutti, in particolare la madre, colei che più di chiunque altro non voleva lasciarla andare e che vive questo percorso di studi come un suo tradimento. Quella borsa di studio che ha vinto è l’unica vera possibilità di cambiamento per sé e per i suoi cari, ecco perché nonostante i tentativi di persuasione non abbandona questo percorso. Nemmeno la scuola è però luogo di pace, bensì è terra di derisione ed emarginazione.
«[…] Al liceo mi sono accorta che si può capire facilmente, dalla faccia, se una ragazza è ricca o povera. Non hanno lo stesso aspetto né lo stesso portamento.»
Per Galla il ritorno a casa è sinonimo di attesa e tanto è atteso, tanto è desiderato. Il ritmo delle sue gambe non cede nemmeno un attimo su quella bicicletta sgangherata ma unica al mondo, deve raggiungere la mamma. Tuttavia, al momento del suo rientro in un giorno non previsto, inatteso, misterioso, ecco che il padre è più severo che mai, che le impedisce di entrare in casa e che la costringe a una notte nel fienile, sotto la tettoia, tra nebbia e senza luna e con l’unica compagnia della cagnolina, Daisy. Ed è qui che apprende della verità. Perché la casa assiste e veglia una madre senza più voce, senza respiro; una madre che Galla non ha più. Ed è in questa notte dove Daisy rappresenta l’affetto materno che la figlia vede spezzarsi la sua ala.
“Le Journ de congé”, pubblicato nel 1973 e tradotto da Lorenza Di Lella e Francesca Scala nell’edizione Adelphi 2023 intitolata “Giorno di vacanza”, ci porta a riflettere sulla maternità e sulla fragilità che si collega alla relazione intessuta tra una madre e un figlio. Tema molto caro all’autrice, come già visto in “Genie la matta”, il romanzo è intriso da una penna tagliente, sacrifici, smarrimenti, segreti e distanze ma, soprattutto, solitudine. Questo certamente anche a seguito delle origini della Cagnati che, scomparsa nel 2007, si è sentita recisa dalle sue origini. Nata da immigrati veneti nella Francia rurale si è sentita sempre diversa, spersa. Una diversità dettata dalla povertà, dal dover vivere nella palude, dal dover vivere con il pregiudizio.
«[…] A furia di vivere in questa terra d’acqua senza incontrare mai nessuno, penso che uno non sappia più com’è la vita altrove e nemmeno se altrove vivano persone e città.»
È una narrazione rigorosa e tagliente quella dell’autrice, una relazione che viene eviscerata e analizzata tra silenzi e fratture che non possono essere perdonate perché la sofferenza è inguaribile ed è accentuata dal frammentarsi di un’immagine di sé. E se la figlia rappresenta la promessa, la madre è la prova tangibile della precarietà della vita.
Resiste la parola, resiste il disagio, scompare l’amore di cui resta un barlume che deve trovare nuove radici nell’emancipazione. “Giorno di vacanza” è uno scritto che ti scava dentro, che è sfuggente a tratti, evocativo in altri, è uno scritto che si ricostruisce poco alla volta e che offre al suo lettore molteplici riflessioni. È un titolo, ancora, che si regge sul paradosso unico del vivere.
«[…] Galla! Mi avrebbe stretta forte forte tra le braccia, mi avrebbe supplicata di non lasciarla mai più. Mai più, Galla. Mai più.
Ogni volta è così. Sempre così. Ogni volta. Vorrei non arrivare mai.»