Ghiaccio nove
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Comico, triste e dissacrante.
Ci sono autori che hanno uno stile unico e inconfondibile; che hanno un modo del tutto originale per trattare temi universali e portarli all'attenzione del lettore in salse nuove.
Uno di questi autori è Kurt Vonnegut.
Questi autori, tuttavia, in molti casi o si amano o si odiano, e spesso chi li ama può riscontrare una certa difficoltà nel difenderli senza mai tirare in ballo il proprio gusto personale. Sì, perché non si può certo dire che le opere di Vonnegut siano prive di elementi particolari, surreali, a volte folli o anche privi d'ogni senso. Questo può renderli soggetti ad attacchi spietati volti a sminuirne il valore. Tuttavia , per come la vedo io, questo è l’aspetto più caratteristico di Vonnegut; il modo particolare che aveva per porre l'accento sulle assurdità della vita e dell'uomo. Prendete dunque l'autore per quello che è: un uomo che indaga le controversie degli uomini con un'ironia amara e folle al tempo stesso; capace di indurre a sorrisi dei quali, in certi casi, ci si pente dopo pochi attimi.
Detto questo, dico che ho apprezzato molto "Ghiaccio Nove", così come a suo tempo apprezzai "Perle ai porci”, che pur essendo molto diversi mi hanno lasciato nella testa una forte sensazione di affinità, come se li ritenessi strettamente legati pur non avendo alcun punto di contatto se non, ovviamente, la mente che li ha partoriti. Mentre “Perle ai porci” si concentrava sulle disparità economico-sociali che affliggono l’uomo (quasi) da quando è al mondo, in “Ghiaccio Nove" Kurt Vonnegut sposta l’attenzione a temi più lontani dall'ambito materiale e fisico, verso un contesto più "spirituale”. Al centro di questo romanzo infatti, oltre all'onnipresente spauracchio di un’estinzione di massa che, a causa delle sue esperienze pregresse, è sempre fulcro dei pensieri dell'autore, c'è il rapporto Uomo-Dio e la miserevole condizione umana spesso mascherata da euforia e grida che non sono altro che un modo per nascondere la possibile insensatezza del tutto; una barbara finzione. Non sfugge infatti la profonda amarezza di cui è pregno un romanzo che, pur parendo comico quasi in ogni pagina, ci trasmette la costante convinzione di non essere tale.
Raccattando la storia di un fantomatico padre della bomba atomica, il protagonista intraprenderà un viaggio nelle contraddizioni umane, nella falsità spesso insita nella religione, fino a un epilogo che, pur essendo fantasioso, pare quasi inevitabile.
L'ultimo paragrafo del romanzo ne rappresenta alla perfezione l'anima: triste, comico e dissacrante allo tempo stesso.
“«Guardati dall’uomo che lavora sodo per imparare qualcosa, e una volta che l’ha imparato, non diventa più saggio di prima», ci dice Bokonon. «Egli nutre un risentimento omicida per la gente ignorante che non ha dovuto faticare per la propria ignoranza.»”
Indicazioni utili
Il giorno in cui il mondo finì
Jonah lo scrittore - voce narrante del romanzo deve raccogliere materiale per il suo libro: Il giorno in cui il mondo finì.
Una parte del libro dovrebbe trattare dell'atomica e del suo inventore Felix Hoenikker. Oltre che padre dell'atomica Felix ha tre figli di carne e ossa: il nano Newt, la gigantessa Angela e Frank. Oltre che essere padre della più famosa bomba, Felix ha creato un'arma ben più letale, il ghiaccio 9, un tipo di ghiaccio che differisce dal ghiaccio 1, quello che tutti conoscono, solo per la disposizione delle molecole di H2O nel reticolo cristallino. Un solo cristallo di ghiaccio 9 è in grado di indurre il congelamento di tutta l’acqua del mondo causandone la fine.
Il romanzo di Kurt è particolare: è fantascientifico ma non di genere. E' un tipo di fantascienza surreale e ironica, caustica. Tra le righe affiora un forte pessimismo nella razza umana.
Jonah (un tempo detto John) era cattolico ma ora ha aderito a una nuova religione, è bokononista.
"Quando Bokonon e McCabe assunsero il controllo di questo miserabile paese molti anni fa", disse Julian Castle, "bandirono i preti. Dopodiché, Bokonon, in modo cinico e scherzoso, inventò una nuova religione".
"Lo so", disse.
"Allora quando fu irrimediabilmente chiaro che nessuna riforma governativa o economica avrebbe reso il posto meno miserabile, la religione divenne l'unico vero strumento di speranza. La verità era nemica del popolo, perchè la verità era orribile, pertanto Bokonon si dedicò a fornire al popolo bugie migliori".
I tre figlioli di Felix di dividono fraternamente il ghiaccio 9 alla morte del padre. Forse non sono degli scienziati all'altezza del genitore ma si fanno un'idea di come utilizzare il prezioso tesoro per ottenere ciò che sta loro a cuore.
Il quattordicesimo libro di Bokonon potrebbe dare un'idea di come finirà la storia.
Il Quattordicesimo libro si intitola: “Che speranze può nutrire un uomo ragionevole per l’umanità di questa terra, tenendo conto dell’esperienza dell’ultimo milione di anni?”. Non ci vuole molto a leggere il quattordicesimo libro. Consiste in una parola e in un punto. “Nessuna”.
L’ultima parte del libro è surreale e non. Se si pensa all'esperienza dell’autore sopravvissuto all'incendio e al bombardamento di Dresda all'interno del mattatoio, a quello che deva avere visto uscito di lì probabilmente il libro è un modo di camuffare dei ricordi molto duri. E anche la religione Bokononista basata sulla menzogna ha un suo significato amaro. Un cattolico o comunque un credente che assiste a un massacro come quello di Dresda e a una guerra mondiale potrebbe non apprezzare la eccessiva libertà di arbitrio che Dio lascia all'uomo. E’ difficile spiegarsi il silenzio di Dio.
Da qui le ultime parole di Bokonon, il non Dio che a questo punto della storia sembrerebbe essere un altro alter ego dell'autore (considerando che anche il primo alter ego, cioè Jonah, voleva scrivere il libro e scalare il monte McCabe).
Se fossi più giovane, scriverei una storia della stupidità umana, e scalerei la vetta del monte McCabe e mi sdraierei sulla schiena con la mia storia sul cuscino; e raccoglierei da terra un po’ di quel veleno biancoazzurro che trasforma gli uomini in statue; e trasformerei in una statua anche me stesso, sdraiato sul dorso, con un ghigno orrendo, e il pollice sul naso a fare marameo a Tu Sai Chi.