Fuoco amico
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Duetto
Yaari e Daniela sono una coppia di mezza età molto affiatata e complice. Ma per la festa di Hanukkah, diversamente dalle loro abitudini, trascorreranno qualche giorno lontani: lei andrà in Tanzania, a trovare il cognato e lui rimarrà in Israele ad occuparsi di figli, nipoti e dell’anziano padre, oltre che proseguire il lavoro di ingegnere costruttore di ascensori.
Daniela ha deciso di partire da sola per vivere più intensamente il dolore per la perdita dell’amata sorella, avvenuta da alcuni mesi. Il cognato, Yirmiyahu, non solo non vuole tornare a vivere in Israele, ma è deciso a tenersi lontano da tutto ciò che gli ricordi il suo essere israeliano. Qualche anno prima infatti suo figlio è stato ucciso durante un’azione nei territori occupati; rimasto vittima di “fuoco amico” da parte del suo stesso esercito.
Seguiamo quindi Yaari e Daniela in un vivace alternarsi di brevi narrazioni che costituiscono una specie di duetto, in grado di ricomporre il loro stare lontani fisicamente in un continuo scambio di pensieri.
Mentre Daniela comprende a poco a poco il punto di vista del cognato, senza comunque arrivare a condividerlo, Yaari a casa cerca di prendersi cura di tutte le generazioni che formano la sua famiglia, tutti bisognosi, ciascuno nel suo modo specifico, delle amorevoli attenzioni dell’uomo. Intanto è inverno in Israele e il vento entra nel vano ascensore di un grande palazzo, provocando dei suoni angoscianti. Sarà un difetto di fabbricazione dell’ascensore oppure riguarderà un errore nella costruzione dell’edificio? Yaari, in quanto proprietario dell’impresa di ascensori, cerca di capire l’origine di questi strani suoni e risolvere il problema.
“Fuoco amico” è un romanzo denso di significato, richiede una lettura calma e ragionata. Solo apparentemente è la narrazione delle vicende quotidiane riguardanti la famiglia di una coppia di israeliani di mezza età; in realtà l’autore, attraverso la sua scrittura lieve e impreziosita di leggera ironia, sta cercando di interrogarsi sull’identità del suo popolo e sull’utilità di certe scelte politiche che sono state attuate facendo pagare un caro prezzo a moltissime persone, anche israeliane.
Mentre il vento invernale si insinua nel vano dell’ascensore di un grattacielo e provoca come dei lamenti angoscianti che tacciono solo con il calmarsi del vento. In ebraico “ruach” significa vento, ma anche spirito.
Indicazioni utili
Fuoco amico
La cornice in cui si svolge Fuoco amico a prima vista mi sembrava interessante e inoltre avevo già letto con un certo piacere altri romanzi di Yehoshua.
Una vicenda che si svolge interamente nella settimana di Hanukkah e che si articola in otto capitoli, quante sono le candele che si accendono durante la festa più amata in Israele e nelle comunità ebraiche. Un duetto tra sessantenni: Amotz Yaari, progettista d’ascensori, che resta a Tel Aviv e l’amatissima moglie Daniela, insegnante, che parte per la Tanzania nell’intento di ritrovare qualcosa della sorella morta. L’accoglienza del cognato, in Africa per una spedizione di paleoantropologia, non si rivela delle più affettuose per la donna. E qui l’autore ci rivela forse il vero motivo che lo spinge a scrivere una storia per altri versi tanto lunga e noiosa. È il perenne conflitto arabo-israeliano, è l’essenza stessa di Israele che viene messa in questione attraverso la sofferenza del cognato di Daniela, privato del figlio, caduto per errore sotto il fuoco dei suoi stessi commilitoni, “fuoco amico”, appunto.
Nel rifiuto di Yirmiyahu, vedovo della sorella di Daniela, di non fare più ritorno in Israele o addirittura di continuare a sentirne parlare, non c’è solo il dolore per la morte del figlio o l’amarezza per un conflitto che sembra non aver mai fine, perché è la stessa fonte da cui Israele trae alimento ad essere riguardata con sospetto. Una rilettura attenta di alcuni passi della Scrittura rivela infatti altri punti di vista, altri possibili significati.
Peccato soltanto che la strategia narrativa non sia quasi mai all’altezza di un tema così drammatico e inquietante. L’idea stessa di alternare nei capitoli (o accensioni di candele nei bracci della Menorah), le vicende dei due protagonisti, marito e moglie, non si rivela felice e in luogo di evitare di appesantire la narrazione finisce col renderla sovrabbondante e persino ossessiva. Anche perché i fatti narrati non si discostano dalla banalità del quotidiano, fermandosi talora su particolari così insignificanti da indurre il lettore a passare oltre.
L’apatia generale in cui si dipana la storia, se così si può chiamare, è appena scalfita dalla trovata degli ascensori che emettono sibili e ululati, l’uno per via di vecchi ingranaggi, gli altri a causa del vento che s’infila nelle fessure di un palazzo mal costruito da operai stranieri (sic, rumeni e cinesi) e che può far pensare ad una duplice ed efficace allegoria: le molte e contraddittorie ingerenze straniere che portarono alla costruzione della nazione ebraica e il “ruach refaim”, lo spirito dei morti, dei troppi morti, che aleggia di continuo in terra d’Israele.
(Dal Blog: lo zibaldone di Sergio Magaldi)