Fino alla fine
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Madri e figlie
Il rapporto controverso tra una madre ( Anna ) affetta da una malattia tumorale in stato avanzato e una figlia medico ( Sigrid) che da anni ne sottolinea le colpe, una famiglia allargata, figli, mariti, nipoti, un padre con un’ invalidità permanente, separazioni, sconvolgimenti, un se’ che non sa e non vuole rileggere la propria infanzia.
Sigrid, terminati gli studi, ha abbandonato il passato trasferendosi a Oslo, tralasciando il sentimento per il marito Jens, per il padre Gustav, per l’ invadente solitudine della madre Anna,
chiusa in se’ stessa e nella malattia del consorte, una donna arcigna, assente, lontana dai propri figli.
Oggi il reale assume colorazioni diverse, l’ invecchiamento e la malattia di Anna e un rapporto da recuperare, nel mentre Sigrid e’ immersa nel proprio senso persecutorio, nel legame con il compagno Aslak che ha saputo accoglierla e sostenerla dopo la separazione da Jens, nei sentimenti che ancora la legano a lui, nel rapporto turbolento con la figlia Mia, così vicina alla figura paterna.
Come può rimediare e ricominciare chi non si è sentito amato, abbandonato a se’ stesso, a un io ferito e dissolto, vittima da sempre dell’ egoismo materno?
Una malattia incurabile e un futuro a termine possono sospendere il passato, l’ essere figlia e la professione medica convivere e influenzare l’ oggi?
In primis si dovrebbe rivedere se’ stessi, quel camice bianco fallimento e riparo da ferite incurabili, anche se le relazioni madre-figlia e medico-paziente non sono complementari e la paura più grande rimane la scomparsa della propria madre.
Anna non sopporta la tendenza di Sigrid all’ autocommiserazione, quel suo ricondurre all’ infanzia dispiaceri e amarezze, anche per lei la vita è stata dura, alle prese con l’ invalidità di Gustav, due figli da crescere. Non tollera la paura, l’ ansia, la prudenza della figlia, vorrebbe decidere per se’, giorni intrisi di una spensierata consapevolezza, lei che sa di non essere una brava paziente, di non averne la capacità, la voglia, la forza.
Un rapporto che vive il non detto, il senso di abbandono e di solitudine, l’ essere state giovani madri e mogli di mariti assenti con la necessità di spiegare ai propri figli che cosa stava accadendo, un legame a tempo, da centellinare, diluire, conservare.
E allora crescono i rimpianti, la nostalgia di affetti negati, la rabbia per un sentimento di abbandono che costantemente ritorna e una neo dimensione, il non sapere come sopravvivere alla propria madre, l’ impossibilità di dire tutto ciò che andrebbe detto, facendo i conti con il passato.
Sigrid vive il desiderio di stare da sola con Anna, di condividere i pochi momenti rimasti, respirando il suo affanno, nel presente ascolto, leggerezza, silenzio, la dimensione più vera accolta in un ultimo bagno…
…” Fletto le ginocchia, spingo i piedi contro il pontile, mi lancio obliquamente contro la superficie scura. Sento uno sbuffo nelle orecchie, l’acqua è accogliente e fresca, io sono senza peso ma i movimenti sono impacciati dalla resistenza del fluido, solo dopo un po’ trovo il ritmo. Sincronizzo i quattro arti, bracciate lunghe e vigorose, scivolo in avanti verso la boa rossa”…
….”Nuoto veloce verso la quarta boa, la doppio e mentre torno indietro vedo Sigrid sul pontile. Si è messa il maglione verde, si fa solecchio con una mano, come se stesse scrutando l’acqua in cerca di me. A metà del percorso mi fermo e le grido: “ Forza, resto qui finché non arrivi”…
Helga Flatland scrive un romanzo relazionale e sentimentale con radici lontane, madri e figlie, un rimescolio che ne ridefinisce le parti. I pensieri di Sigrid e di Anna inseguono una dicotomia evidente, la razionalità medica e l’ irrazionalità del paziente che non ha più nulla da perdere.
Le sovrastrutture di una psicologia sentimentale datata si scontrano con la fragilità di un presente difficile e a termine, ciascuna rappresentazione discutibile e fallace, abbracciando le emozioni più vere, quei fugaci attimi di serenità che possono restituire il senso di una vita.
Un romanzo a forti tinte nordiche laddove penetra nei meandri di un’ intimità sovente celata e sottratta, in primis a se’, voci negate, un senso di vuoto a rendere, il dolore imploso nel tempo.
Tra le pagine la forza dell’ ironia, la capacità di leggere la complessità della vita e i suoi rivolgimenti cavalcando un senso di leggerezza che sa di profondità.