Fiesta
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La generazione perduta e il conflitto interiore
Non è mai facile leggere tra le asciutte, spoglie e pragmatiche righe di Hemingway per capire ciò che frulla nella mente di questo premio Nobel per la letteratura (1954). Si rischia sempre di cadere in grossi equivoci perché anche in Fiesta, come in ‘Addio alle armi’ ad esempio, non si ha la certezza della natura autobiografica del racconto. Eppure Ernest è davvero figlio della cosiddetta Generazione Perduta, una definizione che lui stesso ha contribuito a coniare riprendendo la frase di Gertrude Stein con lo scopo di racchiudere tutti quei giovani che avevano prestato servizio nella guerra trascorrendo dentro quella drammatica cornice i loro anni migliori. E infatti, com’è noto, lo scrittore partecipò attivamente alla Prima Guerra Mondiale arruolandosi come volontario nella Croce Rossa e operando sul fronte italiano. Ma non è l’unico indizio. Hemingway era solito recarsi proprio a Pamplona con la moglie e un gruppo di amici per assistere alle corride durante i festeggiamenti di San Fermin. Ed è esattamente questa l’ambientazione della sua storia. Insomma l’idea di voler associare questo romanzo a una sorta di autobiografia è sempre più forte. Ma se togliessimo questi filtri per analizzarlo in una forma più distaccata, la sostanza non cambia. La montatura è sempre quella, indipendentemente dalle lenti utilizzate. Ernest, con la sua forma breve e incisiva come è solito fare, ci introduce in una sorta di documentario descrivendo e narrando le emozioni, le inclinazioni e i costumi che attraversano gli animi e i cuori di quelle persone. Attraverso quei cinque personaggi che animano il racconto (Jake -in prima persona- , Bill, Mike, Robert e la bella quanto sfuggente Brett Ashley) lo scrittore ci racconta cosa sia la Generazione Perduta -o se preferite Lost Generation, dato che di questi tempi le citazioni in inglese hanno un’appeal sempre più efficace- che costituisce il soggetto e l’oggetto del libro.
Indecisione e voglia di libertà. Sono le parole chiave che mi sono subito venute in mente alla conclusione di questo libro. Sono le parole chiave che assocerei ai moti interiori di quei personaggi, e quindi forse allo stesso Hemingway, e quindi sicuramente alla Generazione Perduta. A rigor di logica, uno potrebbe pensare che la tristezza, lo sconforto e la frustrazione siano altri sentimenti emblematici di quel periodo storico. Tuttavia nel libro non ho mai avvertito quello stato d’animo. Dal momento che Jake, Mike, Bill, Robert e Brett non si rendono conto fino in fondo dei loro problemi che appaiono sì causati dal periodo storico in cui si collocano, ma connaturati alla loro stessa natura. Non sembrano avere la lucidità per comprendere la loro incapacità di decidere la propria vita, il proprio amato, il proprio futuro. Ma allo stesso tempo sono animati da una voglia sfrenata di libertà, di movimento. Vogliono viaggiare, vogliono sentirsi liberi, vogliono sperimentare. Se da una parte l’indecisione blocca mentalmente (e anche fisicamente) i personaggi impedendo loro di prendere una decisione, dall’altra la voglia del ‘nuovo’ obbliga loro a muoversi, a discernere, a definire un obbiettivo.
È un paradosso quello tra indecisione e libertà che non può che tradursi in uno scontro che, trasfigurato nella mente di quei personaggi porta alla confusione.
Brett che non sa decidere a chi donarsi, ma continua a cambiare uomo; Robert che vuole viaggiare, ma poi sul momento di decidere fa retromarcia, per poi compiere l’ennesima giravolta con un telegramma (“vengo giovedì”) che rettifica nuovamente la sua volontà; Mike che, non appena l’alcol gli fa effetto, insulta R.Cohn per la sua attrazione nei confronti di Brett che lo sgrida per la sua maleducazione, salvo poi biasimare e odiare anche lei Robert; è sempre Mike però quello che non sembra dispiacersi tanto quando viene a sapere dell’infatuazione di Romero per la sua amata.
Insomma lo scontro etimologico tra libertà e indecisione non è fine a se stesso, come ho appena dimostrato. E quello scontro, il cui effetto è una confusione sempre più palpabile, finisce per avere la sua forma più compiuta nell’alcool, nell’ubriachezza, nelle feste sfrenate, nella vita sregolata. E va da sè che la notte diventa sempre più alienante per i personaggi perché rappresenterebbe il momento della giornata in cui si trovano da soli, costretti a dover guardare i propri limiti e quindi a capire la loro identità che è dilaniata da quel conflitto. Motivo per cui il sonno è come bandito e la notte diventa il momento dei balli, dei drink, della fiesta. Per la generazione perduta non c’è differenza tra la notte e il giorno. C’è un po’ di animo romantico nei protagonisti, specie in Robert, per quell’ansia di libertà che fa muovere i nostri personaggi prima a Parigi per poi arrivare fino a Pamplona ad assistere alle corride.
È la ricerca della soddisfazione e della felicità, ma alla fine prevale sempre “la sensazione che tutto questo fosse qualcosa di ripetuto, qualcosa da cui ero già passato e da cui mi toccava passare di nuovo”. È questo il presentimento che sembra afferrare Jake all’inizio del racconto senza però comprenderlo appieno. È solo quando la festa (pardon, Fiesta) si conclude, quando Pamplona ritorna nel silenzio, quando il duro scontro tra indecisione e tensione verso la libertà si placa nell’animo, quando la musica cessa nelle strade e nei locali, quando gli uomini bevono le ultime gocce di vino nei loro bicchieri, che tutto torna a com’era incominciato. Con una differenza. Ora c’è la consapevolezza. Ed è questa presa di coscienza a rendere, stavolta sì, il finale amaro con Brett che, a mo’ di rimprovero verso se stessa, dice “ci saremmo potuti divertire tanto insieme” rivolta a Jake che replica, quasi sarcasticamente, “sì, non è carino pensarlo?”. Perché ora si può solo pensare, non più vivere. Prima si aveva vissuto, ma non si aveva pensato. È la generazione perduta.
Se mi chiedete come ho trovato la trama, vi risponderei che non ne esiste una, non come la intendiamo noi. Essa è esplicativa. In Fiesta non è il messaggio in funzione della trama, ma è lei stessa ad essere in funzione del messaggio.
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Generazion Perduta
Considerata la coetaneità e l'amicizia che legava Hemingway e Fitzgerald, non mi è sembrato affatto strano trovare dei punti in comune tra "Fiesta" e qualcuna delle opere dell'amico. Il punto d'unione principale sta nei personaggi che popolano questa storia, degni rappresentanti della "Generazione perduta" del primo dopoguerra. Uomini e donne distrutti da fragilità e insicurezze, completamente inconsapevoli di quello che vogliono dalla propria vita e che affogano tutto nel divertimento sfrenato ma soprattutto, nell'alcool.
Hemingway è uno di quegli autori dallo stile inconfondibile, ma non per la sua profondità (in questo era parecchio diverso dall'amico Fitzgerald), ma per la sua schiettezza, per il suo saper descrivere alla perfezione luoghi e stati d'animo senza fronzoli. Con inenarrabile maestria è riuscito a rendere alla perfezione l'ambiente spagnolo di Pamplona durante la "Fiesta" di San Fermìn, durante la quale hanno luogo festeggiamenti ininterrotti, gozzoviglie, corse coi tori (Hencierro) e corride. Mi ci sono sentito immerso.
I suoi personaggi sono delineati alla perfezione e divengono persone in carne ed ossa, capaci di generare nel lettore reazioni che avrebbe davanti ai comportamenti di persone da lui conosciute. Non è difficile capire che nella persona del protagonista l'autore ci abbia messo una buona parte di se stesso, anche se spero per lui che non fosse così arrendevole come dimostra di essere Jake nei confronti della protagonista femminile Brett, che personalmente ho odiato moltissimo. Ma credo fosse questo, l'intento di Hemingway, quello di delineare una donna tanto simile (ma molto peggiore) alla Daisy che porta alla follia Jay Gatsby.
Protagonista è un gruppo di amici che a un certo punto della storia decide di spostarsi da Parigi fino a Pamplona, in Spagna, in concomitanza della festa di San Firmino che avrà luogo a inizio Luglio. Prima dell'inizio della festa, il protagonista e il suo amico Bill (personaggio esilarante) si daranno alla pesca non molto lontano da Pamplona, e questo sembra essere l'unico momento di serenità che si troverà a vivere Jake durante tutta la storia. Sì, perché spostandosi da Parigi la sua vita non muterà di molto, muteranno soltanto il nome dei ristoranti e dei bar in cui si ubriacheranno costantemente, chi per un motivo chi per un altro. Il motivo principale è Brett, donna affascinante ma assolutamente fragile e insicura, sempre alla ricerca di nuove storie sentimentali che possano darle nuova vita. Questa sua continua ricerca la metterà sotto una cattiva luce e scatenerà non poche liti tra gli uomini protagonisti, compreso il nostro protagonista Jake, che farà sempre di tutto pur di farla felice. Ma Brett è una donna perduta come tante della sua generazione e nemmeno la pacatezza e la sicurezza del protagonista potranno scuoterla da questa sua condizione disperata, tanto è vero che non vediamo l'ora che lui si stacchi definitivamente da lei, che è una persona malsana che può fare solo del male e che ne è assolutamente consapevole.
A qualcuno, questo libro potrà sembrare privo di una trama, solo una storiella in cui i protagonisti si sbronzano continuamente e si danno a una vita frivola, ma secondo me Hemingway ha dipinto alla perfezione quella che era la situazione degli uomini della sua epoca. Che la gioventù fosse questa, a quei tempi, non era certo colpa dell'autore; si doveva chiamare "Generazione perduta" per un motivo, no?
Io trovo che Ernest l'abbia tratteggiata alla perfezione, per quanto triste e frivola potesse essere.
"Sorrise di nuovo. Sorrideva sempre, come se le corride fossero un segreto molto particolare tra noi due; un segreto un po' scandaloso, ma assai profondo, di cui eravamo al corrente. Sorrideva sempre, come se nel segreto ci fosse qualcosa di osceno per gli estranei, ma qualcosa che noi capivamo. Non bisognava svelarlo a chi non lo avrebbe capito."
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IL SOLE SORGERA' ANCORA (FIESTA)
Piccolo capolavoro di Ernest Hemingway, "Fiesta" racconta la storia di 5 ragazzi che, spinti dalla voglia di provare nuove emozioni e dalla noia dei Cafè parigini, si spingono alla scoperta della Fiesta di San Firmin di Pamplona, famosa per l'adrenalinica corsa dei tori. Il pretesto del viaggio è questo, ma il gruppo di giovani rimane chiuso a riccio nelle dinamiche disilluse e snob di cui era già prigioniero nelle serate parigine, non riuscendo mai veramente a "calarsi" nella Fiesta; risalta il contrasto tra gli allegri spagnoli (capaci di inebriarsi non solo di vino, ma anche di fuochi d'artificio, canzoni d'osteria, corride e tori) e i melanconici ragazzi anglosassoni, mai partecipanti attivi della manifestazione. il fulcro del romanzo infatti non è la Fiesta in se, né il protagonista Jake (giornalista americano alterego di Hemingway). Il vero centro della compagnia è la bella lady Brett Ashley, promessa sposa del Britannico Mike ma oggetto del desiderio di Cohn, Romero e Jake. Brett è "inconquistabile" perché anche lei inconsapevole di ciò che vuole, a caccia di continue nuove avventure sentimentali. La sua inarrivabile bellezza, complice lo stordimento dovuto all'alcol (il grande combustibile del romanzo) porterà i personaggi del libro alla perdizione e all' oscuramento dei (pochi) valori in cambio di un rapporto passionale ed esclusivo con lei. In questo senso i membri della compagnia si calano perfettamente nel contesto della Fiesta, apparendo come tori spinti dalla foga tra le strade spagnole. Ad attenderli nell'arena l'oggetto del desiderio, Brett, che da abile "torero" è pronta a farli volteggiare a piacere con il drappo rosso della propria sensualità, fino al momento dell'esecuzione. Jake, il più sobrio del gruppo, sembra l'unico a non perdere l controllo, capace di difendere ancora quei valori che in lui intravede anche l'albergatore Montoya, vero "aficionado" delle corride e paladino del loro significato "aulico" (sacralità e incontaminata purezza). Ma anche Jake non è in grado di resistere al vortice passionale di Lady Ashley, sacrificando il promettente torero Romero in onore dell'"amore" di lei.
E a Fiesta terminata dunque cosa rimane? A cosa è valso tutto ciò e come sono cambiati i protagonisti?
Emblematica la scena finale del romanzo, sublime risposta a tutti questi interrogativi.
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L'emblema della ''Lost generation''
La componente autobiografica è sicuramente la base del libro. Hemingway(dalla personalità irrequieta) s'incarna nel protagonista,Jake. Il protagonista appartiene alla generazione degli Americani espatriati in Europa,egli è un giornalista inquieto,che cerca di dare un senso alla vita attraverso i propri viaggi,ma facendo ciò egli non fa altro che permettere alla vita di sfuggirgli. Non è di certo l'Hemingway migliore quello che ritroviamo in questo romanzo,ma il suo stile semplice e discorsivo è alla portata di qualunque lettore.Nel descrivere usi e costumi della ''Generazione perduta'' ,ovvero quella reduce della Prima guerra mondiale,lo scrittore non tralascia alcun particolare.Si tratta di quella generazione che a causa della guerra sembra aver perso la luce per scovare l'essenza della vita,per tale motivo l'intreccio è caratterizzato dal viaggio di quattro irrequieti amici,i quali viaggiano per l'Europa alla ricerca di divertimento,o del ''brivido'',per dare un senso alle proprie serate. Perciò il protagonista di questo romanzo sembra essere proprio l'alcool,il quale dà vita alle serate tra amici,forse è proprio quest'ultimo l'anima della ''fiesta'' . Stimo Hemingway come scrittore,per l'eccellente utilizzo del discorso diretto,attraverso quest'ultimo l' autore dà vita ai propri personaggi trasmettendo al lettore tutto ciò che è necessario sapere di questi ultimi,senza perdersi in noiose e ripetitive descrizioni. Leggendo tale romanzo è possibile percepire l'amore per le piccole cose che caratterizzava l'autore,osservando le deliziose descrizioni che egli dedicava a queste ultime. Il libro mi ha fatto venir voglia di andare a vedere l'encierro a Pamplona!!
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Fiesta
I romanzi di Hemingway riflettono la sua stessa personalità, quella di giornalista e uomo inquieto, e così la sua scrittura, caratterizzata da molti dialoghi, battute graffianti, personaggi tesi alla continua ricerca di senso nell'azione calati in realtà più o meno esotiche. Così è Fiesta, uno dei suoi libri più famosi, dove l'autore rende con tocco da cronista l'ambientazione fra la Parigi dei Café e la Pamplona della festa di San Firmino (celebrata con la famosa corsa dei tori per le strade della città) fra le due guerre. Hemingway ci racconta di un mondo che a noi pare tanto irreale quanto affascinante, popolato da giovani americani sradicati coinvolti nella contraddittoria ricerca frenetica di divertimento e vita da una parte e, dall'altra, consapevolmente dediti a una metodica autodistruzione. Tuttavia un'autodistruzione di lusso, che li vede trascinarsi per mezza Europa tra i bar più alla moda e gli alberghi più costosi, tra battute spritose ma al contempo amare e litri di vino in quantità tali da diventare quasi il vero protagonista del romanzo. Ma Fiesta in fondo è il racconto (particolarmente calato nel contesto storico e temporale) del profondo disagio di una gioventù estremamente ricca che non ha preoccupazioni materiali, che è sempre stata abituata ad avere tutto e ad ottenere tutto ciò che chiedeva ma che, ad un certo punto, si ritrova a fare i conti con la mancanza di senso che questo comporta. Tale inquietdudine giunge al culmine durante i giorni della festa di San Firmino e viene combattuta attraverso l'oblio dell'alcool e il bagliore accecante delle luci del bel mondo: e dopo gli eccessi dell'estate spagnola e l'epica descrizione della frenesia provocata dalla pazza corsa dei tori per le vie di Pamoplona, anche la disperazione sembra più misurata, seppure non ancora risolta.
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Nobel (?)
Ho preso in mano questo romanzo carica di tutte quelle aspettative che ci si fanno quando si sa che il testo che si sta per leggere ha vinto un Nobel. Così si inizia, ci si informa sul background culturale che ha fatto nascere questo romanzo, sulla "Lost generation", su Hemingway. Poi un lungo respiro e si apre il libro. E quando lo si termina ciò che si sente in bocca è un retrogusto amaro che non vuole passare.
Da quello che è considerato il romanzo-capolavoro di Hemingway, mi aspettavo qualcosa di molto più profondo. Desideravo fortemente che fosse uno di quei libri che ti lasciano un messaggio dentro.
In un primo momento l'ho trovato invece abbastanza piatto e ricco di tutti quei personaggi che non apprezzo nemmeno nella realtà. Non trasmette quel disagio esistenziale che dovrebbe permeare ogni singola parola del testo, non ci sono dialoghi che facciano trasparire la profondità o l'intensità delle emozioni. Niente. Immagino che sia una definizione denigrante e superficiale ma, in breve, ciò che ho letto mi ha dato l'idea di un manipolo di amici che trascorrono il loro tempo a bere, dedicandosi al dolce far nulla. Sarebbe questa la rappresentazione del disagio interiore della "Generazione perduta"? Di una generazione che ha vissuto e combattuto nella I Guerra Mondiale? Bere e vagabondare per riempire il tempo? È pericolosamente vicino a ciò che fanno anche molti rappresentati della mia generazione. Quindi a questo punto esiste una "Lost generation 2" anzi... Una "Lost generation 2.0" che la guerra l'ha letta (forse) probabilmente su Wikipedia... (Mi scuso per le frecciatine ma purtroppo sono tristemente vere).
Poi a distanza di giorni ci ho ripensato, e ammetto che forse la rappresentazione è anche azzeccata sotto certi aspetti. L'unica cosa che ancora mi lascia amareggiata sono i dialoghi, che appaiono alquanto superficiali e vacui. Dov'è la disperazione per la propria condizione?! Dov'è la consistenza di questo dialogare a vuoto? Neppure il personaggio-guida della vicenda, Jacob Barnes, che per certi versi dovrebbe fare le veci di un "eroe" (o di un anti-eroe a questo punto), finisce col essere esattamente uguale al resto della compagnia verso la fine della storia.
Cosa ho "portato a casa" di questo libro? Una piacevole sensazione data dalle descrizioni paesaggistiche e nuovi modi per definire aulicamente ed educatamente alcuni dei miei coetanei.
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Un giovane Hemingway
Sarò breve e concreto in questo romanzo di Hemingway che, senza nulla togliere al libro in sè, ho apprezzato un po' meno degli altri, ma forse solo perché questo l'ho letto per ultimo, e quindi ero ormai "saturo" del suo pensiero e del suo modo di scrivere (non essendo comunque uno dei miei scrittori preferiti). "Fiesta" è uno dei primi libri di Hemingway, e forse il primo a dargli il vero successo. La storia ( autobiografica) è molto semplice, 4 ragazzi ed una ragazza decidono di partite da Parigi per andare alla festa di San Firmin (Pamplona) e godersi la settimana di festa e corride che ogni anno si svolge in questa cittadina spagnola durante la festa del santo patrono. Nel corso di questa avventura non mancheranno: corride, battute di pesca, sbronze, litigi e delusioni d'amore. E anche il finale è tipico dello scrittore americano. Il libro, scritto nel classico stile scorrevole e piacevole, si legge che è una meraviglia (sono solo 227 pagine), ed anche il tema è simpatico e caratteristico, soprattutto se amate le corride e le feste di paese, o, più in generale, le piccole città spagnole di provincia. Unico mio problema (ma ripeto, personale) è che dopo averne letti diversi dello scrittore di Oak Park, le dinamiche ( il suo pragmatismo nei confronti della vita ed il suo scetticismo nei confronti delle relazioni durature) risultano essere leggermente scontate ed a tratti ripetitive, soprattutto nei confronti delle relazioni interpersonali ( o storie d'amore appunto). Se avete letto poco o nulla di Hemingway vi consiglio di iniziare da questo, perché può darvi una prima idea sul suo pensiero, altrimenti vi consiglio comunque di leggerlo al più presto, se leggete prima "Addio alle armi" e "Il vecchio e il mare" questo libricino non aggiunge praticamente nulla a quei concetti. Lo consiglio però agli amanti del vecchio Ernest.
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La poetica della vita
"Non m'importava che cosa fosse il mondo. Volevo soltanto sapere come viverci. Forse,se scoprivi come viverci,imparavi anche che cos'era".
Hemingway rinuncia apertamente al mito dell'artista stoico,che si estranea dal mondo in continua evoluzione delle passioni limitandosi a raccontarlo da una visuale privilegiata,influenzata dal punto di vista dell'artista. Il poeta hemingwayiano è il protagonista Barnes,colui che vive le passioni in prima persona,affrontando le tappe della "Fiesta" della vita in un misto di energia vitale giovanile e senso critico proprio dell'artista vissuto.
Il parallelismo è perfetto,incalzante:a descrizioni della Fiesta di San Fermin si alternano le vicende di un gruppo di ragazzi, in un percorso poetico che vede alternarsi ripetutamente speranza,energia e disillusione,sentimenti frequenti nella produzione dell'autore di Oak Park.
Sbagliato sminuire Hemingway a una semplice piacevolezza,"Fiesta" è un libro semplice,dallo stile asciutto,caratterizzato da un realismo alienante quasi comparabile a quello di Bukowski ma nello stesso tempo poetico come una composizione di Baudelaire.
Indispensabile per comprendere la poetica dell'autore.
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Il solito piacevole Hemingway
Bel romanzo di Hemingway ambientato tra Francia e Spagna negli anni 20.
Leggendolo ci si accorge facilmente che l'autore sta raccontando luoghi che ha visto di recente, ed il suo solito stile essenziale e molto scorrevole te li fa vivere in prima persona.
La storia gira tutta intorno ad una Donna (Brett) ed un gruppo di "amici", che tra una bevuta e l'altra ci inseriscono prima nella loro vita Parigina e poi in quella Spagnola con la famosa Fiesta di Pamplona (descritta veramente molto bene, si vivono usi e costumi fuori dal tempo).
L'eroe (Jake) è quello classico di Hemingway, sempre intelligente, riflessivo e razionale ma inevitabilmente legato all'altro sesso.
Tra amori, liti e molti litri di alcool il libro scorre via che è un piacere.
In sintesi libro leggero e molto piacevole, anche se il mio Hemingway preferito non è certamente questo.
Da Leggere.
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Il più ispirato Hemingway
Ho letto, sopratutto in età giovanile, molto Hemingway, di cui ho ammirato (e ancora ammiro) lo stile asciutto ed essenziale. Tra i romanzi questo è quello che ritengo migliore per la perfezione dello stile, l'ambientazione storica e, perchè no, il contenuto. Il personaggio del giornalista Barnes di cui è follemente innamorata la ninfomane Brett e che lui può contraccambiare solo platonicamente per una ferita di guerra è tragico ma dignitoso e non scade mai nel patetico. C'è poi la sublime descrizione della "fiesta" di Pamplona, la passione per la corrida, la descrizione dell' "aficion" (passione che solo gli intenditori possono condividere) la descrizione di paesaggi fantastici di quella parte della Spagna, sopratutto nella scena di pesca alla trota nel torrente di montagna (veramente fantastica) la presenza dell'alcool come ingrediente indispensabile per vincere la malinconia e poi la considerazione........è straordinariamente facile fare il superiore su ogni cosa di giorno, ma di notte è un'altra faccenda....... che riassume in se la folosofia di vita del protagonista. Forse un' Hemingway di questo livello si trova in qualcuno dei 49 racconti.
Non sono certo indicato, per limiti culturali, a poter dare un giudizio obbiettivo sulla consistenza di quest'opera, ma nella mia modesta graduatoria la giudico fra le migliori. Un piccolo capolavoro.