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Letteratura straniera

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Qualcosa sta per accadere - la consapevolezza di questa tensione è l'ossatura del libro - perché nulla accade mai a Highland, Wyoming, profondo e gelido West, dove un impenetrabile cowboy di mezz'età, uno tra John Wayne e Gary Cooper, vedovo, laureato in storia dell'arte con una passione per Klee, Kandinskij e le caverne, naturalmente nero vive la sua appartata quotidianità fatta di giornate che iniziano alle cinque e trenta, un centinaio di chili di escrementi di cavallo da spalare, cavalli difficili da addestrare, un cucciolo di coyote con tre zampe da curare. Perché la comunità locale, compresi gli amici del protagonista, apostrofa con pesanti epiteti il ragazzo gay scomparso? E l'intolleranza bruta che permea il doppio fondo dell'etica individuale, una reazione che ricorda da vicino i cartelli imbracciati da migliaia di persone comuni nelle contromanifestazioni "per ristabilire i princìpi etici" dopo il tragico omicidio del giovane Matthew Shepard nel 1998, sempre da quelle parti, dichiarato punto di partenza della riflessione di Everett. Con uno stile disadorno e lontano da qualsiasi genere, Everett dimostra che la narrativa è un mezzo, e che qui la suspance non è tanto data da ciò che il lettore non si aspetta che accada, ma dal fatto che accada ciò che il lettore sa perfettamente debba accadere.



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Ferito 2018-02-06 22:45:01 68
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68 Opinione inserita da 68    07 Febbraio, 2018
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Complessità relazionale e crudeltà dell’ evidenza

Highland, Wyoming, provincia americana del gelido west, in una terra inospitale dove nulla sembra all’ apparenza accadere si erge il ranch del bizzarro protagonista, un nero di mezza età con una laurea in storia dell’ arte, un agricoltore ed allevatore di cavalli che ha da sempre cullato il sogno di una vita all’ aria aperta a contatto con i ritmi naturali, che vive in un isolamento volontario ed ha scelto con chi stare, perché la’ fuori molte persone sono piuttosto pericolose ma vi è anche parecchia gente come si deve.
Un uomo pratico e riflessivo, piuttosto razionale, vedovo da alcuni anni, che ama esplorare e ritirarsi a pensare in una caverna, che non cede facilmente alle lusinghe dell’ amore e che vive secondo la lentezza ed i cambiamenti stagionali.
L’ attesa protratta di un qualsiasi accadimento segue lo svolgimento della storia stessa , un omicidio efferato, un sospetto vicino, una fine enigmatica in una traccia che pare da sempre la stessa.
Una storia costruita su diversi intrecci relazionali-famigliari-sociali laddove la quotidiana perseveranza sembra conservare un peso rilevante, la diversità è rigettata dall’ ignoranza, il colore della pelle desta tuttora sospetti infondati e recalcitranti e l’ omosessualità è scansata e tollerata solo se riguarda qualcun altro.
In primis spicca il profondo rapporto affettivo tra il protagonista ed il giovane David, fuggito dalla tradizionalita’ e maldestra inconsistenza famigliare per potere vivere liberamente la propria omosessualità, agli occhi altrui ancora inaccettabile, in un angolo di mondo ed affetti che senta finalmente propri.
John lo tratterà da padre e da amico insegnandogli i trucchi del mestiere e continuerà a vivere come ha sempre fatto pur sapendo che nulla sarà più come prima e che sarà difficile conservare un senso di identità ed appartenenza, sorvolando l’ ignoranza e le cattiverie della comunità’.
Ma c’ è anche una sfera delle piccole cose, una dimensione umana, quella conoscenza costruita su gesti ripetuti, fatica, sudore, freddo, condivisione, stima e fiducia.
Trattasi della vita all’ interno di questo microcosmo, con i propri legami duraturi ed incipienti, la possibilità di un matrimonio, il senso delle piccole cose.
C’è anche un altra porzione di mondo la’ fuori, che in parte è lo stesso ma con protagonisti diversi, crudele, cieco, assassino, imbrattato di falsità e brutalità più di quanto raccontino gli affetti domestici e l’ istintualità del regno animale.
John lo conosce bene e vi si muove con saggezza e cautela, per alcuni è un punto di riferimento, un saggio e pacato cowboy, anche se il colore della sua pelle sembra essere ancora un punto di partenza, un’ attesa sottaciuta, precludendogli relazioni e legami ( ma non famigliari ).
La storia si tinge di mistero all’ interno della crudeltà della vita che mostra tutta se stessa offrendosi ad una fluidità inaspettata, non ci stupiamo ne’ ci stupiremo di quello che accade e sta per accadere, pronti all’ inevitabile e avvezzi al protrarsi dell’ evidenza, è questa la bellezza del romanzo, espressione della semplicità di un sistema relazionale e del giusto equilibrio che accarezza le peculiarità dei personaggi .
Una semplicità di forma e contenuti è funzionale alla narrazione in cui veleggia sempre una certa rassegnazione, un senso di ingiustizia riconosciuto e manifesto, una oppressione ed un turbamento difficili da spiegare e sopire, tratti ben conosciuti per aspetti letterari e caratteristiche evidenti di questo angolo di mondo dalle mille contraddizioni in essere.

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Ferito 2016-12-02 14:04:50 Anna_Reads
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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    02 Dicembre, 2016
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Un uomo buono va alla guerra

Romanzo che si candida ad essere una delle mie letture migliori del 2016.
Evocativo, appassionante e, in un certo senso, “classico”, (molta Antigone in questa storia).
Storia di John Hunt, cowboy di mezza età nel maestoso e solitario Wyoming. Scorbutico, disincantato, profondamente ironico e…nero.
[LIEVE SPOILER
Chi mi ha suggerito questo libro, mi ha detto di un enorme “colpo di scena nelle prime pagine”… arrivata alla 70° senza traccia del medesimo chiedo lumi.
“Ma come! John Hunt è nero! Avresti mai pensato ad un cowboy nero?”
Ovviamente mentre ancora parlava a me è apparso Woody Strode (Cavalcarono Insieme, L’uomo che Uccise Liberty Valance, C’era una volta il West…) e quindi per me il colore della pelle di John Hunt non è stato affatto un “colpo di scena”; l’effetto “Il momento di uccidere” non l’ho avuto, ma ciò non ha inficiato per niente la bellezza di questo romanzo].
Jonh è vedovo (con più di un senso di colpa per la morte della moglie) e vive con un vecchio zio, Gus. Alleva cavalli, ma in realtà è più un etologo, vista la profonda conoscenza che ha degli animali e del loro comportamento. Ha un giovane lavorante, Wallace Castelbury, che, dopo poche settimane che è al suo servizio, viene accusato dell’orribile omicidio, a sfondo sessuale, di un giovane gay.
Il lavorante di John, un tipo semplice e piuttosto sprovveduto, appare subito estraneo al delitto, confesserà addirittura di essere stato innamorato della vittima. Non di meno la sua posizione si fa così critica che il ragazzo si suicida.
Gli eventi precipitano velocemente e John e Gus assistono al riemergere e al riacutizzasi di tensioni mai sopite: sessuali, razziali, sociali in una comunità che – tutto sommato – dimostra comunque un certo sensibile nucleo di umanità.
Perché questo romanzo è così bello?
Per come è scritto e per come sono i protagonisti. Perché è “western” in un certo senso.
Facile, con un tema così “spesso” scivolare nel politically correct, nel sentimentalismo o, peggio, nel machismo da giustiziere della notte.
Invece no.
C’è una presa di posizione molto forte e precisa dei protagonisti contro la violenza insensata (ovvero quasi tutta) che li porta tuttavia al dilemma di essere loro stessi violenti. A violare leggi umane per rispettarne, forse, di superiori (o inferiori, chissà).
Antigone, si diceva.
Ma non c’è machismo, non c’è politically correct, non c’è un filo di retorica.
Ma umanità a palate e non sempre bella, anzi, quasi mai. Ma qualche volta sì.
E il tutto è sorretto da una scrittura mirabile che si snoda passo passo e pagina dopo pagina in modo così asciutto e pulito da far pensare un po’ a Steinbeck (e sapete che io non pronuncio mai questo nome invano). E pure molto a Morrell (neppure questo). E c’è una natura incomparabile e tremenda che non resta sullo sfondo. E ci sono cavalli spaventati, cani fedeli e cuccioli di coyote a tre zampe.
E uomini buoni che vanno alla guerra.

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Consigliato a chi ha letto...
Steinbeck, Morrell, McCarthy, Elmore Leonard...
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Ferito 2009-05-19 17:51:27 Luisella Dal Pra
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Opinione inserita da Luisella Dal Pra    19 Mag, 2009

Ferito

“Questa è la frontiera , cowboy… la frontiera è ovunque” .

E’ una frontiera difficile da vedere, impenetrabile, labile confine tra il bene e il male.

“FERITO” Il libro di Percival Everett edito da “Nutrimenti“, presenta una storia ambientata in un profondo West, una storia di intolleranza che riguarda a diversi livelli la comunità tutta; l’intolleranza alberga nei più reconditi spazi della coscienza di ognuno e trova espressione in balordi che individuano nel diverso sia esso nero, apache o omosessuale, l’oggetto su cui scaricare la propria rabbia insensata.

Il libro è una continua e lenta attesa, che genera in chi legge un’ansia che aumenta progressivamente nel corso della lettura: si sente che qualcosa sta per accadere, si avverte nell’atmosfera, ma chi legge non riesce a intuire da dove stia arrivando “qualcosa di terribile”.

Questo pericolo incombente è sottolineato dallo strapotere di una natura selvaggia che detta le condizioni di vita.

Al lettore si presentano paesaggi sterminati, densi di neve e gelo, in cui anche i sentimenti sembrano raggelarsi in una rudezza che disvela, però, attenzione e amore nel rispetto del dolore di un piccolo coyote salvato da una morte orribile, o nella capacità di sentire e interpretare il vissuto degli animali ma anche nell’affetto che il protagonista nutre per il vecchi zio, la moglie ormai morta e il giovane ragazzo accolto in casa. La vicenda ruota attorno ad un ranch di proprietà di un nero John Hunt, l’arrivo di un ragazzo gay figlio di un amico, determinerà il dipanarsi di una vicenda i cui contenuti andranno chiarendosi mostrando i chiaroscuri delle coscienze coinvolte, in un intreccio abilmente costruito in cui il lettore rimane avvinghiato e impossibilitato ad interrompere la lettura. Questo libro intenso mi ha talmente travolta che, pur con tutti gli impegni di lavoro, sono riuscita a leggerlo in soli due giorni e quindi non posso far altro che consigliarvelo .

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