Età di ferro Età di ferro

Età di ferro

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Il corpo di una donna chiamata ad affrontare la malattia. Il corpo esile di un derelitto alcolizzato. Il corpo politico del Sudafrica afflitto dall'apartheid. Il Sudafrica degli anni Ottanta, abitato da un cancro che lentamente s'insinua sottopelle e reclama a sé giovani vittime, i ragazzi delle township, impegnati nei boicottaggi delle scuole, perseguitati dalla polizia e dai militari.



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Età di ferro 2017-04-28 08:29:43 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    28 Aprile, 2017
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Afrikaner mambo

Sono dedicate alla figlia emigrata in America le riflessioni ed i ricordi di questo romanzo epistolare che l’anziana signora Curren completa negli ultimi spasmi di una vita malata. Malata a causa del cancro, che sta ormai consumando la figura alta, smagrita e dalla pelle bianca di questa sudafricana borghese. Malata per un contesto sociale degradato e violento, da cui l’insegnante si trova suo malgrado avvolta e annientata.
“Io sto dall’altra parte” dice.
Sono gli anni dell’apartheid ed il Sudafrica e’ squarciato in due realta’ follemente agli antipodi : il tè del pomeriggio nelle grandi e lussuose ville degli afrikaner contrapposto alle baraccopoli col tetto di amianto dove costrinsero i nativi.
Il silenzio dei media, il pugno duro del governo per fermare ogni forma di ribellione di chi minava il sistema.
E’ il momento della rivolta, delle armi impugnate dai giovanissimi durante i boicottaggi delle scuole. Sono le nuove generazioni nate nell'emarginazione e nel degrado che non danno valore alla vita, che non temono di morire per la causa quando l'orizzonte non e' altro che essere scacciati, denigrati, privati della liberta’. Nelle townships demolite dagli incendi dolosi gli scontri tra polizia e bande di ragazzini sono sanguinosi, mietono giovani cadaveri pianti dalle madri ma idolatrati dalla comunita’ nera.

Il romanzo e’ la fotografia di un periodo storico lacerante ma anche il dramma dell’impotenza di quei bianchi che - dopo una vita di fazioso protezionismo del proprio status privilegiato- spalancano gli occhi sull’apartheid, incuneati loro stessi in una sorta di limbo razzista. Da una parte quello epidermico degli africani oppressi e diffidenti, dall’altro quello dei bianchi oppressori disgustati dal dissenso della loro stessa etnia.

“ Io sto dall’altra parte” dice Elisabeth Curren, eppure per quanto si sforzi -nelle parole e nei fatti- di riportare il senno tra le due fazioni, la morte a Citta’ del Capo e’ fredda ed inesorabile, tira le tende ondeggianti nel frusciare umido delle foglie in cortile.

Libro breve ma intenso, Coetzee e’ un compositore elitario nella creazione di pochi personaggi che diventano storia, Paese, persecuzione, angoscia, vergogna e follia.
“Eta’ di ferro” lascia un solco di disturbata spossatezza nel lettore, una narrativa che ci nutre con bocconi indigesti fin giu’ nella gola afona, poi un reflusso di saliva amara.
Buona lettura.

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