Narrativa straniera Romanzi Estensione del dominio della lotta
 

Estensione del dominio della lotta Estensione del dominio della lotta

Estensione del dominio della lotta

Letteratura straniera

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Il folgorante romanzo d’esordio di Michel Houellebecq. Trent’anni, analista programmatore in una società di servizi informatici, il protagonista di questo romanzo conduce un’esistenza indifferente. Il lavoro, i viaggi d’affari, le prigioni dell’amore e del sesso, l’assenza di qualsiasi sentimento che non sia di insofferenza verso se stesso, lo scivolare lento e inesorabile in uno stato di insensibilità dal quale sembra non esserci via d’uscita. In una lingua affilata e gelida, che più volte costeggia i territori di tragedie innominabili, Michel Houellebecq compone un romanzo epocale, una educazione alla non-vita, alla noia, all’indifferenza capace di segnare la generazione contemporanea come Lo straniero di Camus segnò i giovani del dopoguerra. “Su un muro della stazione Sèvres-Babylone ho visto uno strano graffito: ‘Dio ha voluto ineguaglianze, non ingiustizie’ c’era scritto. Mi sono chiesto chi fosse quella persona così bene informata sui propositi di Dio.”



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Estensione del dominio della lotta 2021-02-13 21:25:46 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    13 Febbraio, 2021
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DIO HA VOLUTO DISUGUAGLIANZE, NON INGIUSTIZIE

“Il liberalismo economico è l’estensione dell’ambito della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Allo stesso modo, il liberalismo sessuale è l’estensione dell’ambito della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società”.

L’opera di esordio di Michel Houellebecq ha un nome altisonante, richiama qualcosa di tecnico, magari uno studio sociale. Ma non è un saggio, è un romanzo breve che ha per protagonista un trentenne, un informatico che ha una buona posizione lavorativa, non è attraente, ma possiede quel minimo di fascino che gli permette ogni tanto di abbordare qualche donna. Il giovane che conoscerà all’interno della storia, un certo Tisserand , invece, verso cui la natura non è stata certo generosa con il suo aspetto fisico, è un vero frustrato dal punto di vista sentimentale e sessuale. Anche Catherine Lechardoy, la giovane informatica che conosce in una trasferta di lavoro non è dotata di bellezza: “No, non è proprio granché. Oltre ai denti marci ha i capelli di un colore indefinibile, gli occhi piccoli e rossi di rabbia. Seno e culo impercettibili. Dio non è stato molto generoso con lei.”
Tutti cerchiamo di assicurarci un po’ di affetto, nella società capitalistica anche il bambino di sette anni
“che gioca con i soldatini sul tappeto del salotto. Ti chiedo di guardarlo attentamente. Dopo il divorzio dei genitori, non ha più un padre. Vede pochissimo la madre, che occupa una posizione importante in un’azienda di cosmetici. Eppure gioca con i soldatini, e ha l’aria di appassionarsi molto a queste rappresentazioni del mondo e della guerra. Non c’è dubbio che stia già soffrendo un po’ di mancanza d’affetto;(...)

Nel caso del protagonista, voce narrante (probabilmente anche alias dello scrittore, che nella vita è stato un informatico) e dei personaggi sopracitati, la bellezza fisica ha lo stesso ruolo del denaro nella società del liberismo economico, serve a operare differenziazioni e discriminazioni: la vita è una continua lotta per sopravvivere e per accaparrarci quel minimo di affetto necessario per non disperarci nella solitudine e nella vacuità del solipsismo.
La penna di Houellebecq è sin da subito tagliente, schietta e scabra, per niente consolatoria “La scrittura non consola affatto. La scrittura rappresenta, delimita. Introduce un sospetto di coerenza, un’idea di realismo”. In alcuni passaggi le pagine trasudano malinconia, qualche accennata punta di lirismo. Spietato e sincero, a tratti snob. Disturbante.
Divorato in una giornata. Uno dei libri più belli dello scrittore francese, insieme a “La carta e il territorio”.

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Estensione del dominio della lotta 2020-05-15 17:49:14 Almaier
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Almaier Opinione inserita da Almaier    15 Mag, 2020
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Ben scritto

Il piccolo romanzo di Houllebecq mi aveva attirato per il titolo: impegnativo e sofisticato. In questo racconto l'autore descrive un pezzo di ordinaria vita di un informatico a metà carriera, spesso in visita presso i clienti dell'azienda per cui lavora, al fine di tenere corsi formativi e implementare i software commercializzati. Lo accompagnano colleghi sfigati ed emarginati cui lui riserva una vana ma tenera compassione. E’ un individuo disilluso, amareggiato, arreso, portato alla depressione da un'intelligenza cinica che non riesce a trovare un senso nella vita, anche dopo averne sezionato i pezzi con precisione chirurgica. Per questo la affronta in modo sfacciato, senza deferenza. Gli occhi del protagonista hanno una capacità di analisi profonda, soggiogata dalla banalità della vita che lo circonda in cui "*soprattutto resta l'amarezza; un'immensa, inconcepibile amarezza. Nessuna civiltà, nessuna epoca è stata in grado di sviluppare nell'individuo una simile mole di amarezza. Se occorresse riassumere in una parola sola lo stato mentale del nostro tempo*" e del racconto (ndr) "*senza dubbio sceglierei questa: amarezza*". Il capitolo 3 è una bussola che dà delle coordinate per la comprensione del titolo e del libro in cui si descrive il progressivo estendersi di una norma di sopravvivenza imperniata sulla lotta, la selezione sociale, economica e sessuale. Molto homo homini lupus hobbesiano. Nel breve passo delle 150 pagine si articola una struttura narrativa non banale: il libro a volte parla direttamente al lettore, per poi narrare la vita del protagonista e alternare la lettura di estratti di scritti socio-filosofico-zoologici redatti dal protagonista stesso. Il tutto tessuto con una scrittura molto curata: a volte asciutta, spesso ricca e sempre, sempre, cinica e disillusa; tanto da trascinare anche i diversi momenti di ilarità verso il baratro di un teso sarcasmo rassegnato. Una critica alla società liberista, alla legge del libero mercato, alla competizione spietata quale tessuto connettivo della nostra società che ha immolato alla sua causa le relazioni tra gli individui. E che lascia l'amaro in bocca. L'unico esito possibile, per una mente non banale e analitica, sembra la depressione e, l'unica alternativa al suicidio, se dotati di sufficiente modestia, una clinica per alienati. In cui anche scrivere è un'ulteriore motivo di sofferenza e condanna: "*Le pagine che seguono costituiscono un romanzo; cioè, chiarisco: una successione di aneddoti di cui io sono il protagonista. Questa scelta autobiografica non è effettivamente tale, e comunque non ho alternative. [...] La scrittura è tutt'altro che un sollievo. La scrittura rievoca, precisa. Introduce un sospetto di coerenza, l'idea di un realismo. Si sguazza sempre in una caligine sanguinolenta, ma un po’ si riesce a raccapezzarsi. Il caos è rinviato di qualche metro. Misero successo, in verità*". Come dicevo: ben scritto.
Richbar A.

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