Esercizi di stile
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L'arte dello scrivere
Un ragazzo che indossa uno strano cappello con cordicella, sale su un autobus affollato della Linea "S", inveisce contro un passeggero accusato di spintonarlo durante il sali-scendi generale, poi decide di evitare qualsiasi ulteriore scontro e si siede in un posto libero. Qualche ora dopo lo stesso ragazzo viene rivisto in un altro punto di Parigi, in compagnia di un amico che gli consiglia di mettere un bottone sul suo soprabito.
Storia finita! In realtà non si tratta di un maldestro tentativo di "spoilerare" questo libro di Queneau ma semplicemente di presentare la vicenda, perchè in questo caso quello che conta sono gli altri 98 modi diversi con i quali viene raccontata (il novantanovesimo, cioè il primo, sarebbe appunto la storia nuda e cruda sopra riportata...). Il divertimento consiste nelle varianti, nella confezione adottata di volta in volta si potrebbe scrivere, con cui sempre e solamente quella nota storia viene introdotta. Attraverso l'uso di figure retoriche (es. litote, protesi, poliptoto.....) ma anche raccontando alla maniera di un convinto reazionario ("Naturalmente l’autobus era pieno e il bigliettario sgradevole. L’origine va cercata come è ovvio nella giornata di otto ore e nei progetti di nazionalizzazione"), piuttosto che di uno scrittore di sinistra ("scusate compagni, io non sono abituato a intervenire in situazioni politiche di un certo tipo..... lo vorrei dare una testimnianza di classe di quel che ho visto ieri sull’autobus......"), come se si trattasse del verbale di un interrogatorio, o ancora come la presentazione di un teorema di geometria, piuttosto che riscrivendo il tutto sottoforma di una permutazione di parole affastellate senza senso logico, ecc. ecc ....Questi citati sono solo alcuni degli esempi adottati dall'autore che in appendice a questo divertente esperimento linguistico (tradotto in italiano dalla geniale mente di Umberto Eco) confessa di avere avuto l'ispirazione ascoltando "L'arte della fuga" di Bach, il quale, partendo da una composizione musicale molto semplice e limitata, ne ha previsto lo svolgimento con diverse varianti e modalità.
Lettura pertanto consigliata, leggera ed istruttiva anche se a mio avviso presenta due trascurabili "appunti" da rilevare: in taluni casi il titolo dato ad ogni variante l'ho trovato fuorviante rispetto poi al reale contenuto, inoltre trattandosi di un libro con testo bifronte nell'originale francese di Queneau, la traduzione adottata da Eco non sempre è fedele all'originale ma spesso viene (volutamente e necessariamente) reinterpretata.
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I mille volti della lingua.
Arguto.
Se penso a un aggettivo che potrebbe definire questo libro, penso inevitabilmente a questo: arguto.
Raymond Quenau ha saputo veramente lasciarmi incantata da tutto ciò, decidendo di raccontare un semplice fatto, assolutamente banale direi, in 99 modi diversi, spaziando e sperimentando figure retoriche, generi letterari e comportamenti linguistici quotidiani. Novantanove modi di raccontare una storia molto semplice, in realtà: un uomo che sale su un autobus, assiste a una discussione tra due persone e incontra nuovamente qualche ora dopo una delle due in un altro punto.
Basta. E non è un modo di dire: basta veramente, non succede altro, nessun grande messaggio profondo da questo semplice fatto.
Perché in questo libro il messaggio non sta nel contenuto, bensì nella forma: è questo uno dei pochi casi in cui si deve prestare più attenzione al significante che al significato.
Ma non c'è solo sperimentazione in queste pagine: c'è proprio un intento parodistico, come si può intuire da alcuni stili - in particolare protesi o epentesi - storpiati volutamente dalla loro concezione originale, portate al parossismo.
Forse mi sarebbe piaciuto leggere in novantanove stili un evento più significativo - credo che sarebbe stato ancora più efficace l'intento dell'autore - anche se presumo che Queneau abbia temuto di spostare l'attenzione del lettore sul significato e quindi far perdere valore al significante.
Grandissimo anche Umberto Eco, che ha reso perfettamente il tutto nella nostra lingua, nonostante non fosse un lavoro così immediato.
Ottima lettura.
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Giochi di retorica
La prima recensione di “Esercizi di stile” letta era la seguente:
“Gli amanti del significato non lo troveranno un capolavoro.
Gli amanti del significante sì.”
Sembra banale, ma non lo è, poiché esprime con due parole tutto il contenuto.
La stessa storia, scritta 99 volte, con 99 stili diversi; alcuni irripetibili, altri sensazionali, certi addirittura scadenti, ma pur sempre 99 stili che trasformano e plagiano la storia in base al “significante” utilzzato.
Un libro strano, non trovate?
Raymond Queneau è stato quasi geniale, ma di più Umberto Eco, il quale ha saputo tradurre tutte le versioni con una maestria eccezionale.
Non sto parlando degli stili, poiché alcuni sono davvero opinabili, ma parlo della traduzione. Eco ha saputo rendere perfettamente lo stile in italiano, giocando, come solo un esperto sa fare, con le parole, mescolandole, trasformandole a suo piacimento, senza però capovolgere o distruggere il “significato”.
Di sicuro il merito va per il 70% a lui.
Simpatici si sono rivelati i seguenti stili: “Animoso”, “Filosofico”, “Apostrofe”, “Maldestro”;
Insuperabili i “Litoti”, “Aspetto soggettivo I”, il “Reazionario”.
Quindi concludo dicendo:
“Gli amanti del significato non lo troveranno un capolavoro.
Gli amanti del significante sì.”
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MITICOOO!!!!
Che genio!!!
Dio buonino se lo è! Esercizi di stile non è un romanzo. E' forse un “libro di lettura “ nel senso più classico del termine. A questo sembra atto.
E’ una figata tremenda: perché Queneau ,essenzialmente un matematico, trascrive per 99 volte lo stesso episodio facendo uso di tutte le figure retoriche, … E’ veramente una idea pazzesca!!!
Il tutto dentro ad una logica di variabili algebriche di cui, a dire il vero non so dire per mia ignoranza in materia.
Una chicca: scritto in francese, questo testo, risultava intraducibile, anche per il grande Eco, cha ha dovuto riadattare tutto il testo alle sue regole. Dunque doppia figata!!!
Per raccontare che cosa?
In buona sostanza di come a Parigi un uomo che sale su un tram, si scontri verbalmente con un passeggero, il quale sembra infastidirlo ad ogni sobbalzo del tram e di come - appena dopo - la voce narrante lo incontri nuovamente, in una piazza, tutto preso da una efficacissima conversazione con un tizio relativamente ad un dettaglio del suo abbigliamento.
Belli miei, largo ai pregiudizi, ai luoghi comuni, alle isterie e agli eccessi caricaturali dell’uomo nel suo essere “personaggio”!!!
E poi, - devo per forza dirlo - non è la trama che mi ha convinto: non c’è storia, non c’è perché; è il modo, il MODO di rendere lo stesso episodio completamente diverso, ogni volta.
E’ la celebrazione del linguaggio, della capacità di scrivere ed interpretare e non è un caso che sia stato portato in vari teatri proprio questo testo che nulla ha di teatrale se non l’ordinarietà di un banale episodio quotidiano, reso straordinario dalla penna e dai 99 punti di vista dell’autore.
Adoro Queneau, per come è: la sua storia è il suo ritratto.
E questo libro, il suo scioglilingua.
Ipse dixit:
“Non s’era in pochi a spostarci. Un tale, al di qua della maturità, e che non sembrava un mostro d’intelligenza, borbottò per un poco con un signore che a lato si sarebbe comportato in modo improprio. Poi si astenne e rinunciò a restar in piedi. Non fu certo il giorno dopo che mi avvenne di rivederlo: non era solo e si occupava di moda.” Com’eravamo schiacciati su quella piattaforma! E come non era ridicolo e vanesio quel ragazzo! E che ti fa? Non si mette a discutere con un poveretto che sai la pretesa, il giovinastro! lo avrebbe spinto? E non ti escogita niente po’ po’ di meno che andar svelto a occupare un posto libero? Invece di lasciarlo a una signora!
Due ore dopo, indovinate chi ti incontro davanti alla Gare Saint-Lazare? Ve la do a mille da indovinare! Ma proprio lui, il bellimbusto! Che si faceva dar consigli di moda! Da un amico!
Stento ancora a crederci!”
“Mi trovavo sulla piattaforma di un autobus violetto. V’era un giovane ridicolo, collo indaco, che protestava contro un tizio blu. Gli rimproverava con voce verde di spingerlo, poi si lanciava su di un posto giallo.
Due ore dopo, davanti a una stazione arancio. Un amico gli dice di fare aggiungere un bottone al suo soprabito rosso…”
“Io proprio non so cosa vogliono da me. Va bene, ho preso la S verso mezzogiorno. Se c’era gente? Certo, a quell’ora. Un giovanotto dal cappello floscio? Perché no? lo vado mica a guardare la gente nelle palle degli occhi. Io me ne sbatto. Dice, una specie di cordoncino intrecciato? Intorno al cappello? Capisco, una curiosità come un’altra, ma io queste cose non le noto. Un cordoncino... Boh. E avrebbe litigato con un altro signore? Cose che capitano.
E dovrei averlo rivisto dopo, un’ora o due piú tardi? Non posso negarlo. Capita ben altro nella vita. Guardi, mi ricordo che mio padre mi raccontava sempre che...”
Trooooppo bello, vero?