Elizabeth Costello
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Saggio: sei lezioni
Più che nuova forma di scrittura e romanzo in sei stazioni io parlerei di nuova forma di saggio, il saggio in pillole, sei pillole, con lo straterello di zucchero dato dalla leggerissima impalcatura narrativa che serve da supporto al più corposo contenuto. Questo libro deluderà i lettori di biografie, mentre può essere di qualche interesse per gente come scrittori o aspiranti scrittori perché dà una idea dell’ambiente letterario soprattutto nella prima lezione. Quello che colpisce è l’artificiosità di certe situazioni che girano intorno alla scrittura (conferenze, lezioni, interviste, premi) e che con la scrittura non dovrebbero avere nulla a che fare. Sia l’algida intellettuale australiana Elizabeth Costello che lo scrittore Africano Emmanuel diventano, indipendentemente dal tipo di letteratura che rappresentano, degli animali da palcoscenico e come le scimmie ammaestrate entrano a fare parte di un contesto poco stimolante dove il premio, l’assegno o l’applauso sostituiscono egregiamente il lancio della nocciolina (vedi lezione 1 e2).
Devo dire che anche se alcuni temi trattati mi sono sembrati interessanti, il modo di affrontarli è un po’ troppo letterario e intellettuale per i miei gusti. Mi pare che un simile modo di discutere di qualsiasi cosa non voglia arrivare da nessuna parte se non alla auto celebrazione dell’oratore. Insomma mi sembra un modo di discutere non del tutto onesto e proficuo. In particolare tra i temi sollevati, in quelli che non a torto si chiamano non capitoli ma lezioni, particolarmente interessante è quello del male in letteratura e quello del ruolo escatologico della letteratura.
Per quanto riguarda il secondo punto, c’è una discussione tra Elizabeth e la sorella suora, discussione-conferenza-lezione. La sorella, intellettuale non meno d Elizabeth, dice che solo Cristo può salvare l’uomo mentre Elizabeth ha una visione antropocentrica e quindi vede nella cultura classica la fonte della salvezza. Così anche nell’ultima lezione, decide, se ho ben capito, di credere in ciò che è materia e che si può toccare. La discussione più interessante per me è stata quella sul male. Mi è capitato recentemente di farmi la stessa domanda di Elizabeth, su certa letteratura. O comunque di notare una metamorfosi in alcuni scrittori che seguo, come se l’essere entrati in certe stanze ad esplorare in sé e nei propri personaggi il male, il male innaturale voglio dire, non le disgrazie che capitano a tutti, ne avesse cambiato la scrittura rendendola meno empatica e più fredda anche se non peggiore dal punto di vista stilistico. Anche io mi sono chiesta se sia sbagliato frequentare certe stanze come scrittore o come lettore. Devo però dire che le stanze che Elizabeth vorrebbe chiuse non sono le stesse che chiuderei io. Lei si riferisce a uno scrittore, West, che parla di un male storico e di eventi storici che descrive nei dettagli più macabri, eventi legati a Hitler. In questo caso non vedere ha anche la valenza di chiudere la porta a una verità storica sgradevole. Non avendo letto il libro di West non so bene se interpretare la repulsione di Elizabeth come repulsione per il male in sé o per la verità sulla natura umana. In ogni caso, non penso che potrei mai credere (nel senso di avere fiducia) nell’uomo o nella materia che vedo, per passare alla lezione 6, anche in mancanza di valide alternative.