Eccomi
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Il nuovo romanzo di Jonathan Safran Foer, atteso da oltre dieci anni. Ambientata a Washington durante quattro, convulse settimane, "Eccomi" è la storia di una famiglia in crisi. Mentre Jacob, Julia e i loro tre figli sono costretti a confrontarsi con la distanza tra la vita che desiderano e quella che si trovano a vivere, arrivano da Israele alcuni parenti in visita. I tradimenti coniugali veri o presunti, le frustrazioni professionali, le ribellioni adolescenziali e le domande esistenziali dei figli, i pensieri suicidi del nonno, la malattia del cane: tutto per Jacob e Julia rimane come sospeso quando un forte terremoto colpisce il Medio Oriente, innescando una serie di reazioni a catena che portano all'invasione dello stato di Israele. Di fronte a questo scenario inatteso, tutti sono costretti a confrontarsi con scelte a cui non erano preparati, e a interrogarsi sul significato della parola casa.
Recensione della Redazione QLibri
Ebraismo tra vita, rimpianti e ricerca di un senso
Come si vive l' ebraismo all' interno della famiglia Bloch, da tempo in crisi, in cui tutti provano ad essere un qualcosa che diventa ricerca di una rappresentazione scenica migliore anziché di una vita migliore?
Washington, l' oggi, un nucleo famigliare composto da Jacob, scrittore di serie televisive, sempre sulla porta, ad aspettare, come guardasse se stesso scomparire e Julia, architetto che non ha mai costruito un edificio, moglie infelice, che progetta e sgretola in silenzio la quotidianita'.
Tre figli, Sam, adolescente critico e cervellotico, che trascorre in prevalenza il proprio tempo nel mondo virtuale di Other Life, Max, di un' empatia estrema ed alienazione autoimposta e Benjy, l' ingenuità' della giovinezza.
In mezzo quella cerimonia da celebrare, il Bar Mitzvah, l' arrivo dei parenti da Israele, un terribile suicidio all' interno della famiglia, la lunga e dolorosa malattia dell' amato cane Argo, un fortissimo terremoto che colpisce il Medio Oriente e la guerra dichiarata allo stato israeliano.
La corposita' del romanzo abbraccia presente e passato, in una interconnessione tra storia e sentimenti, vicende inesplorate e nebulose, sofferenze che ritornano, storie da raccontare, rimpianti, dolorose presenze, accompagnate da quella precisa identità ebraica, fatta di cultura, religione, tradizioni da rispettare e cerimonie da celebrare.
L' oggi ha l' aspetto tumefatto di una coppia in crisi, e parte da quel cellulare abbandonato, da messaggi inopportuni e scandalosi, dalla possibilità di un tradimento, solo intellettivo, che trascina dubbi e certezze da tempo consolidate e un epilogo che segna l' inizio di qualcos' altro.
Tutti, all' interno della famiglia Bloch, conoscono la verità, ma nessuno la rappresenta, la loro vita e' un insieme di non domande, di attese, di silenzi o solo di immaginazione.
Julia e Jacob si nascondono dietro il lavoro e la gestione della propria quotidianita', in una dicotomia profondita'-divertimento, pesantezza-leggerezza. Lei considera l' infanzia come periodo di formazione dell' animo, e lega i propri figli a regole integerrime, lui valuta i problemi con leggerezza, in un approccio ludico e spensierato.
Il loro matrimonio non funziona e sovente si fermano silenti, senza condivisione, esplorando ( insieme ) gli spazi circostanti ciascuno per conto proprio o cercando la felicità' che non hanno a spese della felicità di qualcun altro.
Sam sa che i genitori divorzieranno, ed ha scelto la malattia perché non conosce altro per rendersi visibile. La somma delle loro presenze diviene assenza, ma in fondo ognuno ha paura esclusivamente della propria solitudine.
Ed allora l' ebraismo come si pone all' interno di una vita e di una famiglia siffatta? Come affronta la contemporaneita' e quali risposte da' alle problematiche di un mondo iperconnesso, alla fragilita' dei sentimenti, alla vulnerabilità' dell' essere umano, ai nostri figli, ed al proprio passato tormentato, irrisolto, con la tragedia vissuta, il dolore della memoria, rigide tradizioni ancestrali e cerimonie identificative, oltre che precetti ben delimitati e delimitanti?
E poi vi è una questione geopolitica, lo stato di Israele, il " nemico " arabo alle porte, i conti con la propria storia ed identita', e quell' essere ebrei in patria ed a migliaia di chilometri di distanza.
Vi è un duplice piano, una discussione intra-famigliare che vede i " vecchi "(Irv) su posizioni ideologiche radicali, irremovibili, così come i quarantenni ebrei di Israele ( israeliani ) pronti a dare battaglia per la sopravvivenza del proprio stato,( Tamir ), mentre gli ebrei d' America hanno occhio critico nei loro confronti ed i propri figli dialogano a migliaia di chilometri di distanza con i problemi di una adolescenza che antepone la sfera privata, il se', l'autoriconoscimento, al centro del mondo, chiedendosi giustamente: " E se la guerra non finisse mai "?
Lo stato d' Israele vive di profonde contraddizioni, in una terra arida ma resa fertile, tra ricchezza, cultura, ipermodernismo, conservatorismo e posizioni filoamericane.
Tra le pagine traspare l' identità dell' autore, ma anche la denuncia di una ancestralita' che intralcia la modernità oltre che di un passato e di un presente vissuti in prevalenza tra rimpianti e senso di persecuzione.
La conservazione della memoria e del dolore deve lanciare un occhio al futuro, l' identità non puo' precludere la possibilità di vivere pienamente la propria esistenza.
E gli ebrei americani? " Farebbero qualunque cosa salvo praticare l' ebraismo per instillare nei loro figli un senso di identità ebraica. "
Sam ( da adolescente ) riflette sul passato, sui campi di sterminio, sulle atrocità della guerra, sugli odiati tedeschi, su quelle migliaia di corpi straziati le cui immagini ha visto e rivisto.
Ha la consapevolezza che " ...la sua vita e' inestricabilmente connessa a quella sofferenza in un' equazione esistenziale con le loro morti. Oppure e' un semplice sentimento, ma l' argomento in famiglia non è mai nominato, esplicitato, e' una non-conversazione. E cos' e' quel sentimento? Ha a che fare con la solitudine ( sua e altrui ), con la sofferenza ( sua e altrui ), con la vergogna ( sua e altrui ), con la paura ( sua e altrui )..."
Eppure " ... non e' davvero nessuna di queste cose ne' la loro somma. E' il sentimento di essere ebreo. Ma di che sentimento si tratta? ..."
Probabilmente è la fede, l' amore, il vivere nel mondo, il riconoscere l' unicita' della vita in quella sinagoga che è la nostra casa, circondati dalle persone che amiamo, dalla nostra famiglia, prima che sia troppo tardi ( per Jacob ) e si cerchi disperatamente ( dall' esterno ) di forzare quella porta che può essere aperta solo dall' interno, senza esserci accorti di avere vissuto lì dentro.
Il tema della famiglia, intesa in senso allargato, primeggia tra le pagine, insieme ad un velo di solitudine e di rimpianto, e lo scorrere inevitabile del tempo cambia e corregge il passato, indirizza il presente, prevede il futuro, che è e sarà la somma del vissuto senza possibilità' di ritorno, o di correzione, un po' amaramente, con dei rimpianti ( da parte di Jacob ) ma coscientemente, perché questa è la nostra vita.
Il ritorno di Safran Foer ci consegna un testo impegnativo, denso di sfumature, dettagli, la difficoltà sta nel creare ed incastrare una storia famigliare ( i Bloch ) all' interno di una vicenda secolare ( l' ebraismo ) con vista sull' oggi.
L' autore indubbiamente da' prova del proprio talento letterario, con una sapiente e sorprendente creativita' narrativa, intelligenza, umorismo, sarcasmo, in tratti descrittivi onirici, metatemporali, in un fluttuare di termini significanti nel contesto trattato, nell' uso del linguaggio della tradizione ebraica per riaffacciarsi, d' improvviso, sull' oggi, con dialoghi e termini della contemporaneita'.
La fusione di più elementi traccia l' uniformita' del racconto anche se talvolta si cade nella prolissita', si ripetono situazioni e contenuti che si perdono nella corposita' della storia.
Senza dubbio trattasi di un romanzo sorprendente, vivace, ben scritto, la cui lettura e' consigliata, pur nella consapevolezza della difficolta' di una recensione chiara ed esauriente di un' opera dalle attese e pretese importanti.
Buona lettura
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Opinioni inserite: 5
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Nel solco della tradizione ebraica
Lettura complessa questo “Eccomi” di Safran Foer. Tanto per la difficoltà in alcuni punti del testo (soprattutto all’inizio, quando l’autore anticipa situazioni, personaggi e avvenimenti che verranno chiariti solamente nel proseguo dell’opera per cui il lettore rischia di rimanere spiazzato), quanto forse per la pretesa di parlare di molte, troppe cose: famiglia, amore, religione, tradimento, politica. Una ricetta con troppi ingredienti, ma anche “un’opera-mondo che si insinua nelle fondamenta della società e nei nostri amori”, come la sintetizza lo scrittore Marco Missiroli proprio in prima di copertina. Un libro che richiede pazienza ed anche parecchio tempo da dedicare viste le 660 pagine di lunghezza non sempre particolarmente scorrevoli, ma che comunque può valere la pena di leggere considerata l’arguzia di certe riflessioni (se ne potrebbero citare un’infinità dalla prima all’ultima pagina, tra cui ad esempio quella in finale di libro detta dal protagonista: “La vita è preziosa e io vivo nel mondo”), le metafore, il sarcasmo di cui trasuda. Notevole inoltre la capacità narrativa dell’autore, Jonathan Safran Foer, che prosegue idealmente la ricca tradizione degli scrittori ebrei-americani come Philip Roth, Saul Bellow, giusto per fare qualche accostamento (magari azzardato..).
Il libro infatti è un evidente manifesto a proposito della “questione ebraica”, fin dal titolo, quell’ ”Eccomi” che richiama le parole di Abramo nella Genesi, quando risponde alla chiamata di Dio che decide di metterlo alla prova chiedendogli di sacrificare il suo unico figlio Isacco. L’ebraismo è una presenza fissa e costante, a partire dalla cerimonia del Bar Mitzvah, attorno alla quale ruota gran parte delle vicende narrate, che rappresenta il rito di iniziazione di un adolescente ebreo alla Torah, fino ad arrivare prepotentemente al conflitto israeliano-palestinese che esplode con violenza a seguito di un terribile terremoto che devasta il Medio Oriente, in particolare lo stato di Israele ed i territori occupati dai palestinesi. Il tema religioso traspare in tutta l’opera: la necessità di rispettare le tradizioni ebraiche, il senso di responsabilità nel ricordare le proprie origini anche se lontani dalla madrepatria, il senso del dovere nel chiedersi se rispondere alla chiamata di Israele per tornare “a casa” e difendere i confini dalle minacce di attacchi islamici preservando così l’eredità del popolo ebraico sopravvissuto miracolosamente all’olocausto, oltre che la sua intelligenza e forza. Perché comunque l’autore ricorda che nonostante gli ebrei rappresentino solamente lo 0,2% della popolazione mondiale, hanno ricevuto il 22% di tutti i premi Nobel !
Ed èquindi accanto al tema religioso, che si combina con quello civile e politico, che Safran Foer costruisce la vicenda umana della famiglia Bloch, sovrapponendo gli intrecci coniugali dei due protagonisti Jacob e Julia e dei loro tre figli, ed evidenziando altresì la crisi all’interno della coppia. L’incapacità di comunicare, i tradimenti non consumati ma comunque vissuti attraverso scambi di sms tra il marito ed una presunta amante (solo virtuale), le accuse reciproche, spesso represse, riguardo all’educazione dei figli, la presenza talvolta ingombrante dei genitori di Jacob e del nonno. La fotografia che viene presentata è in definitiva quella di una coppia mediamente borghese, alla deriva, che non riesce a ricomporre una distanza ormai insanabile ma che tenta di non affogare nella tempesta della vita.
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Letteratura e letterati oggi
Che l’epoca a noi contemporanea sia di difficile definizione, di aspro inquadramento, presumo dunque di difficile rappresentazione, mi appare ancora più lampante dopo la lettura di questo romanzo. Esso riesce sicuramente a restituire l’epoca coeva, le sue disarmonie, l’omologazione dei vissuti pur descrivendo un preciso gruppo sociale nella Washington odierna e non disdegnando l’immaginazione di un futuro apocalittico per Israele fra terremoto ed ennesimo conflitto, eppure a questo scritto manca il sentimento universale. Languisce in oltre seicento pagine nell’individualismo che ci caratterizza, si inabissa nella famiglia Bloch e nella sua incapacità di reggere alla sfida della propria epoca, è deludente anche perché i fatti narrati evolvono in negativo e l’intera narrazione si chiude con una scelta dolorosa.
Nello stile tipico di Foer che caratterizza la sua prosa con abbondanti dialoghi, qualcuno al limite della decenza della rappresentatività , o per l’uso di un lessico animato da volgari riferimenti sessuali o per ridondanza o per inutilità pura, la narrazione vive anche di piccole brecce che fanno intuire il potenziale di questo autore capace di narrare e indubbiamente di consegnare al lettore interessanti spunti di riflessione. Lo scritto è animato dal sentimento del tempo, fuggevole, che tormenta in particolare Jacob, l’antieroe, padre stupendo ma uomo irrisolto, ingabbiato da un ‘identità ebrea che nulla a che vedere con la religiosità, incapace di conoscersi e di darsi agli altri, immaturo nella sua disfatta. Foer ha saputo creare un ottimo personaggio, disgregato però nell’identità, perso fra le innumerevoli pagine. Solo quando la narrazione si focalizza su di lui e non tramite lo strumento del dialogo ma attraverso il più necessario narratore esterno, allora si gode di una buona scrittura. La moglie, Julia, è personaggio secondario ma necessario a individuare i limiti di Jacob, per cui perfettamente funzionale, i tre figli infine sono ben caratterizzati e offrono lo spunto per parlare di genitorialità, rapporto di coppia, crescita. Vi sono pochi altri personaggi e sono quasi tutti appartenenti alla famiglia: sono i parenti che vivono in Israele, sono i genitori e il nonno di Jacob, sono insomma le sfaccettature assunte dalla diaspora nel terzo millennio, funzionali anche esse a far riflettere sul lascito della storia di questo popolo, sulla sua evoluzione che pare sfociare nell’involuzione culturale delle nuove generazioni depauperate anche del credo ma ingabbiate dalla cultura religiosa, dai riti e dalle celebrazioni che non si sanno più comprendere ed accettare. È tramontato il senso di appartenenza, essere ebrei sembra quasi un inutile fardello che può inorgoglire solo a livello culturale.
Personaggio a parte il cane Argo, quasi il fulcro di un universo disgregato e disgregante.
Consiglio la lettura solo a chi è capace di apprezzare quanto per me ha rappresentato un limite, non rientra nei miei canoni estetici.
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Genesi 22
Da Genesi 22 la parola più disturbante di tutta la Bibbia:” Eccomi”, detta da Abramo (nome il cui significato è ”Padre Grande”) a Dio, quando gli chiede la prima volta di sacrificare il suo unico figlio e la seconda di salvarlo. Per l’autore questa parola sembra significare il desiderio di essere una persona sola, integra. Un tutt’uno da offrire al mondo, non un soggetto diverso, in base alle circostanze della vita o alle persone con cui si interfaccia. Perché le nostre molteplici identità le viviamo in un equilibrio precario, che in ogni momento può saltare.
In tutto il romanzo si trova un'incompatibilità tra l’ideale, i valori, la ricerca di libertà e la prassi quotidiana. Di sottofondo il tendere a qualcosa che non c’è: trattare la vita domestica, quotidiana, fatta di piccole cose, come se fosse solo una distrazione o un ostacolo rispetto alla felicità. Sempre presente il dibattito tra la felicità personale e la propria realizzazione (ideale a cui tendevano i nostri padri) e la felicità dei figli e della famiglia, per i quali molti di noi sono disposti a sacrificare quasi tutto (nel futuro dei nostri figli vediamo e cerchiamo la nostra redenzione). Mai come oggi i figli sono considerati dei "pari" e sono presi in considerazione per molte delle decisioni famigliari, anche quelle importanti.
Foer (Abramo), in questo libro, da buon ebreo, insegna ai propri figli che bisogna essere coinvolti nelle cose del mondo e che affari di famiglia e questioni globali si intrecciano irrimediabilmente. Per questo alla crisi famigliare di Jacob e Julia si intreccia la crisi politica e sociale di Israele e dello Stato ebraico.
“Eccomi” è un romanzo in cui ogni argomento allude a un altro, in un intrecciarsi continuo che ci porta a riflettere su singole parole o frasi intere, ad annotare, sottolineare, pensare. Ha molta politica al suo interno, ma non esprime una specifica idea politica. Questo romanzo è quello che io considero un vero e proprio arricchimento culturale, personale e spirituale.
In questi ultimi anni sono irrimediabilmente attratta da libri e romanzi di scrittori ebrei: Yehoshua, Oz, Grossman, Roth e ora Foer (sarà un caso che gli ebrei costituiscano lo 0,2% della popolazione mondiale e abbiano ricevuto il 22% dei Nobel al mondo?)
In ogni caso, l’argomento principale, al di là del sottofondo politico e religioso è la famiglia, caposaldo di molteplici religioni (tra le quali anche quella cristiana ed ebraica) e nello specifico il disgregarsi di un matrimonio quasi ventennale. Il processo di disgregazione viene chiamato “unlearning”, disimpararsi. Accade quando il corpo dell’altro, che prima è un territorio sconosciuto da esplorare con emozione, diventa indifferente, solo la copia sbiadita di qualcosa che in passato ci aveva fatto vibrare. Questo probabilmente, pensandoci a ritroso, quando ormai tutto è finito, avviene perché non abbiamo saputo apprezzare le cose semplici, di tutti i giorni e probabilmente erano quelle la vera essenza delle felicità. Forse non le abbiamo sapute trattenere e a un certo punto le abbiamo lasciate andare, per sempre, senza via di ritorno.
“Come aveva fatto la somma di tutta la presenza a trasformarsi in assenza?», scrive Foer. E in quel disimpararsi c’è tutto lo strazio di un amore che finisce, quando si pensava fosse per sempre. Ma forse è proprio il “per sempre” il problema: è la monogamia a essere una perversione.
Jacob, come Abramo, alla fine riesce a dire "eccomi" anche alla sua coscienza, quando gli chiede di lasciare andare Argo per non vederlo soffrire. Pensa a lui e al suo bene, ad alleviargli la sofferenza, prima di pensare alla propria di sofferenza, che sicuramente vivrà a causa della mancanza del suo amato cane, l'unico essere umano che gli è rimasto vicino.
Un romanzo da non perdere, per chi ha voglia di affrontare temi importanti, senza superficialità.
"Il genere umano si salva non perché meriti di essere salvato, ma perché la rettitudine di pochi giustifica l'esistenza di altri";
"L'infanzia va bene. Il resto è tutto un trascinare le cose";
"Baratti l'ambizione emotiva con la compagnia";
"Più i genitori vogliono che i figli vedano, più è difficile che ce la facciano, perché l'amore si mette in mezzo";
"È' troppo amore per essere felici..."
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La vita è preziosa e io vivo nel mondo
È questa una delle ultime battute pronunciate dal protagonista di “Eccomi” di Jonathan Safran Foer, Jacob, che suona come una accettazione della vita, dopo lunga e sofferta meditazione.
Un romanzo lungo quanto una vita, secondo l’intento stesso dell’autore, che ha voluto descrivere nei minimi dettagli la routine quotidiana di una famiglia ebrea americana, alto-borghese, che si trova a dovere gestire le conseguenze della profonda crisi esistenziale e sentimentale che travolge i genitori Jacob e Julia.
Siamo di fronte a un’opera di grande impegno, non solo per la sua imponente mole, ma anche per i molteplici temi affrontati e approfonditi con grande sensibilità. La vicenda in sé può coinvolgere e riguardare qualsiasi coppia del nostro tempo, che abbia da affrontare quotidianamente i problemi riguardanti l’educazione di tre figli esigenti, circondati da un ambiente culturalmente evoluto, abituati a porsi domande e a dare risposte complesse e argomentate. Il racconto, come ormai avviene sempre più spesso nella letteratura contemporanea, non può tralasciare di soffermarsi sull’uso della moderna tecnologia. È la scoperta di quegli sms fin troppo esplicitamente erotici mandati furtivamente da Jacob a una donna da un cellulare nuovo tenuto nascosto, che scatena quella crisi latente in Julia, che rivede la sua vita insieme al marito sotto una luce diversa e la induce a mettere in discussione ogni scelta, ogni momento della loro convivenza.
Ciò che rende più interessante il racconto e che complica notevolmente le cose nella vicenda è l’appartenenza della famiglia Bloch al mondo ebraico. Questo notevole e importante particolare fa sì che una gran parte del romanzo sia concentrato sulla differenza reale esistente tra l’ebreo americano e l’israeliano.
Appare evidente che l’ebreo americano, identificato in Jacob, non è particolarmente religioso. Rispetta le tradizioni, come rituali ricorrenti, senza interpretarne fino in fondo il significato. L’israeliano è assai più ligio e condizionato dalla sua fede. Foer dunque sembra interrogarsi su ciò che significa essere ebrei. Jacob si confronta con Tamir, il cugino giunto da Israele per il Bar Mitzvah di Sam, e prende coscienza per la prima volta del suo reale totale disimpegno nei confronti della questione israeliana. Il confronto tra i due personaggi apre il tema del Sionismo e di tutta la problematica ad esso concernente.
Né viene trascurato il ricordo della Shoah, che riemerge attraverso le rimembranze dei più vecchi. La morte è costantemente presente sia come naturale conclusione di una vita, sia come scelta attraverso il suicidio, sia infine nella forma di eutanasia, anche se ciò appare unicamente in relazione alla fine dell’amato cane Argo.
La drammaticità del romanzo si evidenzia soprattutto nella ansiosa ricerca di Jacob di un’identità che chiarisca il suo ruolo nella società, a fronte dei gravi tragici eventi che travolgono la terra dei suoi antenati. Allo stesso modo suo figlio Sam cerca in Other Life il suo alter ego che possieda quelle qualità che a lui mancano. D’altra parte questa esigenza di Jacob di acquisire una coscienza civile e politica allo stesso tempo trova la più significativa espressione nella citazione della risposta di Abramo a Dio che gli chiedeva di sacrificare suo figlio. “Eccomi” risponde Abramo a Dio. “Eccomi” risponde Abramo al figlio. Allo stesso modo Jacob, cosciente ormai del suo pur limitato ruolo di padre e di ebreo, dichiara tutta la sua disponibilità ad essere più e meglio di ciò che è. Disponibilità che si traduce in una totale accettazione della vita. Di fronte agli occhi di Argo destinati a spegnersi, Jacob ripete: “La vita è preziosa e io vivo nel mondo.”
Amore e dolore sono strettamente connessi in questo romanzo: il dolore che scaturisce da una separazione di due coniugi che non riescono più a trovare un equilibrio per condurre una vita in comune è descritto con una delicatezza e una sensibilità a volte commoventi. È il grande amore che genera sofferenza, perché l’amore è ansia, apprensione, tensione continua.
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Questione di (non) stile
Jonathan Safran Foer ha telento e questo è un fatto innegabile. A ciò si aggiunge il fatto di aver scelto un argomento difficile, dibattuto, complesso, articolato ed efficace a livello narrativo per far riflettere e anche, perché no, per vendere libri.
"Eccomi" (Hinneni in ebraico) è una delle parole ebraiche per eccellenza, è una parola sacra, indica il rapporto con Dio perché è la risposta dei Patriarchi, di Abramo in primis, ma poi anche di Mosé. È una parola carica di storia e densa di significati e Safran Foer la sceglie non a caso come titolo del suo romanzo.
Però Eccomi implica anche accettazione, sacrificio, rinuncia dei propri desideri in favore della volontà di un altro, per gli ebrei, di Dio, di Colui che li ha chiamati a essere il suo Popolo, il Popolo eletto.
Un carico pesante, un fardello che può anche schiacciare e il senso di soffocamento è una delle caratteristiche di questo romanzo. È un testo che pesa, anche per la mole. Nella versione italiana sono 666 pagine, un numero che è un caso? Biblicamente è il numero di chi rifiuta Dio, della Bestia contrapposto al 777 il numero della Perfezione.
Altro dato, la smania, la smania di essere altro, di vedere oltre, di risolvere il senso de perduto. È come se i protagonisti del romanzo avessero paura di scegliere la realtà perché rischiano di perdere altro, una realtà che non esiste, se non nel desiderio che li muove.
Tuttavia, nonostante queste premesse che ne farebbero un grande libro, intenso e coinvolgente, pulsante e dinamico, Safran Foer pecca di stile. Da consumato docente di scrittura creativa, sembra voler concretizzare i classici motti della creatività americana: show don't tell è il jingle preferito dai docenti di scrittura negli USA. Non mostrare chi è il personaggio, non descriverlo, ma renderlo presente in ciò che fa. Safran, a mio avviso, esagera sotto questo aspetto, limitando le descrizioni a barlumi, facendole desiderare come fossero acqua nel deserto. Per far comprendere la psicologia dei personaggi usa pagine e pagine di dialoghi che diventano delle maratone estenuanti, senza respiro.
Perfino tra una battuta e l'altra di dialogo evita gli attributivi (disse, urlò, ripeté con rabbia), e perfino un fece silenzio diventa uno sterile e asettico tre punti tra virgolette.
E poi le astute descrizioni di autoerotismo, ormai immancabili oggi, come se il pudore, anche nello scrivere, fosse la vera perversione. Altro tormentone della scrittura creativa americana, il lavoro sui filtri sociali e culturali della narrativa. Oppure semplicemente perché certe cose fanno schizzare le vendite e questo è difficile negarlo, siamo sotto l'egida delle sfumature a colore, improbabile sfuggire alla dittatura dell'erotismo narrativo e nemmeno Safran Foer ci riesce, con tutto il suo talento, il mercato è mercato.
La prima pagina inchioda a uno stile perfetto, andando avanti ci si perde in faccende inutili. È vero ci sono dei guizzi d'autore, ma anche delle cadute di stile impressionanti. Le sperimentazioni linguistiche fanno pensare a un maxi laboratorio di scrittura nel quale siamo invitati e cogliere la grandezza tecnica dell'autore, innegabile, ma la narrativa non è solo tecnica. Togliendo qualche inutile digressione tutto sommato forse di pagine ne bastavano anche 333.