E' la mia storia
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A chi appartiene una storia? Quando pubblicarla?
“Le storie non sono di nessuno,” era riuscito a dire alla fine.
“Quindi non esistono storie così personali che non sia permesso esporle pubblicamente?”
Quando è realmente giusto pubblicare una storia, ma soprattutto, quest’ultima a chi appartiene davvero? A chi l’ha scritta che non sempre è anche chi l’ha vissuta, all’editore, a chi la legge, a chi l’ha provata in prima persona? Chi ne è il vero autore? Chi può arrogarsi il diritto di sentirla sua?
È inverno, la neve sta cadendo mentre l’editore sta leggendo l’elaborato di un importante e noto autore italiano per decidere se mandare o meno in stampa il lavoro. Ad un tratto entra lei, Petra Vinter, con i suoi occhi trasparenti, con il suo pezzettino di lobo mancante. Una sola frase, “è la mia storia”. Perché lei si trovava in Morenzao durante il processo di pace, perché lei quelle cose le ha vissute sulla pelle. Ecco perché quel libro non deve essere pubblicato; semplicemente non appartiene a chi lo racconta che non ha per questo mantenuto fede a chi di quelle vicende è stata protagonista. Qual è la responsabilità di una casa editrice? Chi è davvero responsabile delle pubblicazioni? Chi e in base a cosa può decidere cosa deve essere pubblicato o meno?
In un continuo di riflessioni che si susseguono tra loro, Jane Taller invita il lettore ad interrogarsi su un tema affatto scontato e affatto semplice. Pone l’attenzione cioè su una problematica che tutti i lettori, gli editori e aspiranti tali (perché non è una decisione così automatica come può sembrare) e tutti gli scrittori si sono posti almeno una volta nella vita: come viene scelto cosa viene pubblicato. Ma a questa, che è in realtà la seconda domanda, se ne anticipa una prima che si sostanzia nell’interrogativo della paternità di una storia. C’è chi ritiene che il narrato sia dell’autore, chi dell’editore, chi del lettore una volta che questo è passato al vaglio della sua lettura. Al contempo è naturale interrogarsi sulla liceità della pubblicazione poiché talvolta le vicende sono così intime e dolorose, nonché espressione di una violenza inaudita, come in questo caso, che decidere se renderle o meno di dominio pubblico è un qualcosa di sinceramente molto delicato.
Forse non c’è una vera risposta, forse il quesito resta irrisolto ma chi legge non resta indifferente.
«Ho capito una cosa, mentre ero lì sdraiata: possiamo sopravvivere a quello che ci fanno gli altri, non a quello che noi facciamo a loro.»