Domani nella battaglia pensa a me
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Morte, inganno, ricordo
Titolo ad effetto quello scelto da Marias per questo romanzo fortemente intimista raccontato in prima persona dal protagonista-narratore avvalendosi di lunghe divagazioni, derive della coscienza, che a tratti ricordano lo stile del grande Saramago.
“Domani nella battaglia pensa a me, e cada la tua spada senza filo…” Si tratta di richiami al Riccardo III di Shakespeare che tornano più e più volte nel testo, nei pensieri del narratore, spade di Damocle pronte a cadere in testa, minacce velate tese a rammentare eventi nefasti e tragici. Il romanzo infatti è avvolto da un’atmosfera di tragicità in cui la morte compare fin dalla prima pagina, come a volere indirizzare il lettore fin da subito su cosa avrà a che fare, descrivendo l’improvviso decesso di una donna durante una serata qualsiasi, mentre si trova in compagnia di un amante ed il marito risulta in viaggio per lavoro a Londra. Ed accanto alla dimensione tragica, in cui oltre alla morte si evidenzia il dramma del figlio piccolo rimasto senza madre, si accompagna la dimensione del tradimento. Il più importante forse (ma non certo l’unico) quello della vittima con l’amante (il protagonista-narratore) disperato e spaventato, che non sa come comportarsi e che non vuole lasciare tracce del suo passaggio. Sarà poi lo stesso Marias, nell’epilogo, a svelare al lettore che tema portante di tutto il romanzo è proprio il tradimento, l’inganno, nel senso più ampio della parola in quanto “Vivere nell’inganno è facile ed è la nostra condizione naturale, e in realtà questo non dovrebbe dolerci poi tanto”, “…continuiamo a essere coscienti, per quanto vogliamo ingannare noi stessi, che teniamo dei segreti e racchiudiamo in noi dei misteri, anche se la maggior parte di questi sono banali”.
A questo binomio si potrebbe aggiungere una terza parola “ricordo”, in quanto rimane impressa nella memoria, quasi si trattasse di un’immagine fissata sulla pellicola, il ricordo della persona scomparsa che a tratti assume la configurazione di una presenza, quasi incantata, che rimane personificata nella mente (“Forse il legame poteva limitarsi a questo, a una specie di incantamento o haunting, che a ben vedere non è altro che la condanna del ricordo, del fatto che gli eventi e le persone ritornino e appaiano indefinitamente e non cessino del tutto…dimorino o abitino nella nostra testa...”).
“Morte”, “inganno”, “ricordo”, rappresentano dunque le fondamenta di “Domani nella battaglia pensa a me”, costanti della condizione umana, di una vita in cui “Di quasi nulla resta traccia, i pensieri e i gesti fugaci, i progetti e i desideri, il dubbio segreto, i sogni, la crudeltà e l’insulto, le parole dette e ascoltate e poi negate o fraintese o travisate, le promesse fatte e non tenute in conto, neppure da coloro a cui sono state fatte, tutto si dimentica o si estingue”. L’evanescenza del vivere diventa un elemento inconfutabile perché “Tutto viaggia verso il suo stesso svanire e si perde e poche cose lasciano traccia, soprattutto se non si ripetono, se avvengono una sola volta e non tornano più”. Concetto particolarmente significativo questo della “non ripetizione”, che mi riporta con la memoria ad una considerazione del tutto analoga espressa da Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere.
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LA NERA SCHIENA DEL TEMPO
“Domani nella battaglia pensa a me e cada la tua spada senza filo. Domani nella battaglia pensa a me, quando io ero mortale, e lascia cadere la tua lancia rugginosa. Che io pesi domani sulla tua anima, che io sia piombo dentro il tuo petto e finiscano i tuoi giorni in sanguinosa battaglia. Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori."
Le citazioni per Javier Marias non sono mai casuali o pretestuose. Quella riportata in apertura, tratta dal “Riccardo III” di Shakespeare (come pure le altre citazioni del libro, dalla scena del film di Laurence Olivier, vista dal protagonista in una notte d'insonnia, in cui i fantasmi visitano il re Riccardo turbandogli il sonno, all'altra pellicola guardata distrattamente senza audio la notte fatale, dall'emblematico titolo di “Ricorda quella notte”), è quintessenziale al tema del romanzo, ovverossia la morte. La morte si presenta, se così si può dire, “in medias res”, fin dalle prime pagine in cui lo sfortunato Victor si vede morire tra le braccia, colta da un improvviso malore, la donna con cui si stava accingendo a trascorrere, approfittando dell'assenza per lavoro del marito, la notte. Di lì in poi è tutto un continuo riflettere del protagonista sull'evento definitivo, da come le morti siano spesso casuali, ridicole e perfino vergognose a come le cose dei morti perdano improvvisamente importanza dopo il loro trapasso, per arrivare infine a quello che è il vero fulcro del romanzo, ossia l'impermanenza. Con la morte “non scompare soltanto chi sono ma anche chi sono stata - pensa Victor, immedesimandosi in Marta, la donna morta -, non soltanto io, ma la mia memoria tutta intera, un tessuto discontinuo e sempre incompiuto e variabile costellato di strappi e allo stesso tempo fabbricato con tanta pazienza e con estrema cura”. Anche se non lo si vuole e si fa di tutto per contrastarlo, tutto tende a sfumare e a dissolversi lentamente, e quel che è peggio è che ciò avviene non soltanto dopo il trapasso, ma addirittura mentre siamo vivi, soggetti all'implacabile, inesorabile opera di distruzione compiuta dal tempo, dai giorni, dalle ore e perfino dai secondi “che sembrano sostenere le cose e in realtà le sopprimono”. Il destino dell'uomo è quello di scomparire, inghiottito dal “rovescio del tempo, la sua nera schiena”, condannato a uno sconfortante senso di irrealtà: “E' intollerabile che le persone che conosciamo si trasformino in passato”. Il pessimismo di Marias è agghiacciante. Se niente rimane, niente dura e niente persiste allora “l'unica soluzione è che tutto finisca e non ci sia niente”. La memoria è come una lapide, in cui alla fine rimangono incisi per sempre soltanto i nomi, le uniche cose che delle persone sono destinate a sopravvivere. E' curioso come Marias compia il tragitto inverso di un altro grande scrittore iberico, José Saramago. Se quest'ultimo, nel romanzo “Tutti i nomi”, riusciva a recuperare l'umanità che si cela dietro ogni anonimo nome, passava cioè dai nomi alle persone, Marias fa l'esatto opposto, passando dalle persone ai nomi.
C'è una qualche soluzione a tutto questo, oppure tutto è destinato a soccombere di fronte al nichilismo più assoluto? Il protagonista Victor, dopo la fatidica notte, non riesce a togliersi dalla mente Marta, nonostante che la conoscesse appena e che fosse riuscito ad eclissarsi dalla sua abitazione senza lasciare tracce della sua visita, libero quindi da ogni colpa e da ogni responsabilità. E' un po' come se fosse caduto vittima di una sorta di impalpabile incantamento (“haunting” lo chiama l'io narrante, quasi ci trovassimo in un “horror movie” pieno di possessioni e di stregonerie). Dopo qualche giorno Victor decide di uscire dall'ombra, partecipa, rimanendo in disparte, ai funerali della donna e inizia a cercare un contatto con i suoi familiari. Non si tratta – si badi bene – di uno scrupolo morale, di un modo per tacitare una coscienza non proprio pulitissima (in fondo ha lasciato nella casa un bimbo di due anni incustodito, senza trovare il coraggio di avvertire qualcuno) e tanto meno di un tentativo di scacciare dalla propria testa l'ossessione che lo perseguita. E' piuttosto un inconscio e tutto sommato improbabile tentativo di contrastare quel processo che ho provato a descrivere più sopra: trasformandosi nel filo segreto che collega la donna morta al suo mondo passato e al suo inespresso futuro, Victor si fa l'involontario medium tra i vivi e i morti, garante della continuità della memoria condannata fatalmente a disgregarsi. Palesandosi di fronte al marito, alla sorella e al padre, raccontando la sua versione della storia, Victor cerca di riempire i buchi neri, di colmare i vuoti e di trasformare in qualche modo una fine assurda e inspiegabile in destino. Questa è l'unica cosa che l'uomo può fare per contrastare il tempo, nella cui morsa “tutto si perde” e che è “sdrucciolevole come la neve compatta”: raccontare e dare il proprio minuscolo, insignificante contributo alla verità, giacché un fatto “ non succede del tutto finché non lo si dice e non lo si sa”. Nella lunga e potente scena conclusiva Victor e Dean (il vedovo), vittime dei loro reciproci incantamenti, non hanno altra soluzione che raccontarsi reciprocamente i loro segreti, nella speranza di rendere più leggero il loro fardello condividendolo con l'altro. Se qualche pagina prima Victor aveva pensato, similmente a Jean-Paul Sartre, che “gli altri non finiscono mai”, nelle frasi conclusive si intravede la flebile possibilità di una condivisione, di una fratellanza nel dolore che forse è l'unica ancora di salvezza contro l'indeterminatezza e la mancanza di senso della vita.
Se raccontare è un'attività così importante (attraverso il racconto un fatto non appartiene più al solo narratore, ma diventa patrimonio comune con l'ascoltatore e con il pubblico in genere), se il linguaggio è in fin dei conti, ben più del contatto fisico, l'unica possibilità per interagire con gli altri e dare una qualche forma di permanenza ai nostri ricordi, si capisce come le parole rivestano un ruolo assolutamente preminente. E' del tutto normale quindi che le parole siano il tratto distintivo di “Domani nella battaglia pensa a me”, sublimate in uno stile del tutto personale e inconfondibile. Se le continue divagazioni, le insistite digressioni possono ricordare Saramago, e l'ambiguità ed enigmaticità della trama (quella Madrid notturna e fantasmatica, dove non è possibile neppure sciogliere il dubbio se la prostituta che si è ingaggiata per un paio d'ore di piacere sia o meno la propria ex moglie Celia) fanno venire in mente il Paul Auster della “Trilogia di New York”, è invece del tutto di Marias il particolarissimo uso delle ripetizioni. Meditazioni e reminiscenze, ma anche frasi di film o drammi teatrali, ritornano ossessivamente in altri momenti del libro, come un refrain, a cucire tra loro eventi diversi, passato e presente, realtà e ricordo, narratore e uditore, per realizzare una potente e sconvolgente riflessione sulla vita e sulla morte, e sugli ineffabili legami che il tempo instaura tra loro. Il linguaggio di Marias è sottilmente simbolico, parla di realtà concrete e circoscritte (un decesso prosaico, una convocazione nella dimora di un importante personaggio, una giornata all'ippodromo), le quali diventano ben presto meri pretesti per parlare di problematiche molto più ampie. Così il mestiere del protagonista, che è un “ghost writer”, rimanda ai fantasmi che assillano la sua esistenza, il dualismo tra la prostituta e la ex moglie al tema pirandelliano dell'indeterminatezza dell'identità (qual è la versione veritiera di ognuno di noi, quale tra le tante spacciate a noi stessi e agli altri nel corso della nostra vita?) e in fin dei conti della verità (solo noi stessi la custodiamo, ma solo fino alla nostra morte, dopodiché non rimane più nulla di veramente attendibile, ammesso che la nostra verità, alterata da segreti, omissioni e bugie, effettivamente lo sia). La stessa trama è ambigua: parte come una specie di giallo, ma diventa strada facendo tutt'altro (romanzo psicologico? romanzo filosofico?). Marias sfugge ad ogni definizione, disattende le normali aspettative del lettore (e per questo può risultare anche abbastanza ostico al primo approccio), ma la sua scrittura colta e problematica sa inoltrarsi come pochi altri fin dentro ai più profondi meandri dell'animo umano, per giungere a raccontare con ineffabile esattezza l'angosciante labilità dell'io.
“E quanto poco rimane di ogni individuo nel tempo inutile come la neve scivolosa, di quanto poco rimane traccia, e di quel poco tanto si tace, e di quello che non si tace si ricorda dopo soltanto una parte minima, e per poco tempo: mentre viaggiamo verso il nostro sfumare lentamente per transitare soltanto alla schiena o al rovescio di quel tempo.”
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Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori
Domani nella battaglia pensa a me, e cada la tua spada senza filo.
Domani nella battaglia pensa a me, quando io ero mortale e lascia cadere la tua lancia rugginosa.
Che io pesi domani sopra la tua anima, che io sia piombo dentro il tuo petto e finiscano i tuoi giorni in sanguinosa battaglia.
Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori.
Riccardo III – Shakespeare
Mi è difficile dare un giudizio a questo libro perché, innanzi tutto, non mi è piaciuta la storia.
Lo so, parlare di “storia” è riduttivo, ciò non toglie che io l’abbia trovata un tantino morbosa e a tratti eccessiva.
È morbosa, sì, perché altrimenti non saprei come definire la scena iniziale dove Victor, il protagonista, rimane di fianco a una donna (Marta) evidentemente agonizzante senza chiamare un’ambulanza, un vicino o anche un passante, ma rimanendo a guardare la tv senza volume finché lei non muore tra le sue braccia. Morboso e contro ogni logica.
D’accordo, ci sono delle situazioni attenuanti all’interno della trama, come il fatto che Marta è sposata, ma credo che invece della morte sia preferibile qualsiasi altra cosa, no?
È morboso anche per gli attaccamenti che mostra Victor nei confronti degli oggetti che si porta con se e che non specifico per non svelare troppi dettagli.
Ma come ho detto, parlare di storia è troppo riduttivo. Questo è, infatti, un libro che parla dell’animo umano imperfetto, ingannatore e spesso egoista.
Verità tenute nascoste, domande non poste (ancora non ho capito come è morta Marta) e mille altre sfaccettature della complessa anima umana.
Interessante sicuramente, ma non è stato affatto piacevole leggere questo libro.
Non ho apprezzato nemmeno lo stile troppo ripetitivo in alcune riflessioni che, anche se servivano a ricordare le analogie che possono verificarsi tra due eventi, rallentavano in modo esasperante la lettura.
Inoltre, ammettiamolo, le continue citazioni del Riccardo III di Shakespeare potranno essere poetiche e bellissime, ma alla lunga annoiano!
Devo dire che ho tirato un respiro di sollievo quando sono arrivata alla fine ma, nonostante tutto, non mi sento in grado di stroncare completamente un libro come questo che sicuramente ha contenuti interessanti che potrebbero essere maggiormente apprezzati da altri lettori.
Lascio quindi a chi verrà dopo di me il compito di giudicare meglio questo libro.
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Un libro che entra nel sangue
Questo libro a mio parere è incredibile per un semplice motivo: non è solo un libro, è vita pulsante, è sangue vermiglio, è materia che prende forma. Marias riesce a descrivere perfettamente le più recondite pieghe dell'animo umano in un irripetibile valzer di destini fatalmente intrecciati tra loro. In questo libro c'è l'essenza della vita e della morte, l'irrimediabile leggerezza con cui gli esseri umani conducono le loro relazioni, relazioni pericolose perché talvolta estinte ancor prima che ne muoiano i componenti. Marias si fa struggente narratore di una condizione naturale dell'uomo, ossia la sua ineluttabile solitudine anche quando inserito in una fitta trama di rapporti, il suo perenne ritrovarsi sperduto altrove. E il protagonista è l'unico personaggio realmente libero da qualsiasi retaggio (matrimonio, rapporto genitori/figli, adulterio...), l'unico in grado di restituire ragione di esistere agli altri personaggi proprio con la sua disarmante evanescenza. Questa Opera ci costringe a fare i conti con una tematica davvero controversa: quanto davvero conosciamo chi fa parte della nostra vita? Quanto sono mutevoli le relazioni? Domani nella battaglia pensateci un po' anche voi...
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Domani nella battaglia pensa a qualcun altro
Quando rimango perplesso e deluso dopo una lettura, la riflessione è sempre la stessa: ci sono libri che non mi piacerebbero comunque ed altri che forse con lo spirito giusto potrei riuscire ad apprezzare. Non ho ancora capito bene se nel mio caso “Domani nella battaglia pensa a me” appartiene al primo o al secondo tipo. È già qualcosa di positivo.
Non nego che si tratti di una letteratura di livello, ma resta il fatto che non ricordo di aver durato così tanta fatica a finire un romanzo dai tempi in cui a 14 anni mi fecero leggere a forza i Buddenbrook (e stiamo parlando di un romanzo di 280 pagine, non di 800!!)
Mi è piaciuto poco lo stile, eccessivamente pesante nelle descrizioni e ridondante nel ripetere alcune riflessioni del protagonista e certi avvenimenti della storia; mi è piaciuta poco l’ineluttabilità che permea il senso della storia; ho trovato i personaggi troppo strumentali al messaggio che vuol lanciare e per questo quasi superflui (insomma, potevano essere chiunque).
La storia comincia nel migliore dei modi perché devo ammettere che partire con un uomo (Victor) che si ritrova accanto ad una donna morta (Marta) con cui fino ad un minuto primo stava per consumare un tradimento (lei è spostata) è un incipit intrigante e che lascia intravedere uno sviluppo promettente. Poi però diventa subito una descrizione infinita dello stato d’animo di Victor combattuto tra il comunicare ai familiari che Marta non è morta da sola ed il timore di confessare in questo modo che aveva un (non-)amante.
È un libro sull’inganno, sulle bugie o meglio sulle verità taciute e nascoste, su come in fondo la nostra condizione naturale è ingannare o essere ingannati: non dovremmo opporci più di tanto e non dovremmo amareggiarci, si legge più volte.
A parte il fatto che non sono per niente d’accordo, sul mio giudizio incide molto di più la noia che ho provato nel leggerlo.
Mi rendo conto di andare “leggermente” controcorrente, visti i premi che ha vinto ed i giudizi esaltanti dati anche qui su Qlibri, però vi assicuro che in alcuni momenti ho addirittura avuto la tentazione di abbandonarlo.
Chissà, forse con lo stato d’animo giusto, magari lo si riesce ad apprezzare... Boh.
P.S: non me ne voglia il buon vecchio Shakespeare per aver storpiato la citazione dal Riccardo III nel titolo
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Una rivoluzione
Talvolta un libro è capace di una rivoluzione culturale; le parole affiorano da un'ispirazione geniale e sconvolgono le nostre coordinate sociali. Questa volta è l'ingegno di Marias a insinuarsi pagina dopo pagina nel lettore, a renderlo protagonista attivo di uno smarrimento, un auto-alienazione. E' un libro che proprio per questo affonda nelle tematiche più interessanti delle relazioni interpersonali. E' un testo che ci allontana dalla nostra concezione di io e non-io e inaugura un nuovo rapporto di interazione con la realtà Nulla è come sembra e la storia è fatta di instabili apparenze: trascinati su un palcoscenico dalla mano di Marias veniamo proiettati in una situazione dal sapore surreale. Una serie di avvenimenti vengono lanciati come sassi pagina dopo pagina a costruire un sentiero fino alla fine indecifrabile. E poi si arriva a quell'epilogo che tanto avrà suscitato attesa nel lettore, e quanto si era configurato come un giallo si rivela essere in realtà il contorto percorso della comprensione. Un viaggio che non approda in un intrigo poliziesco ma in una ricerca umana. Il mondo è complesso perché ciascuno lo vede a modo proprio, ciascuno ha una propria giustizia e ciascuno crede nelle proprie idee. Costretti ad una convivenza forzata noi attori dobbiamo adeguarci all'emisfero del non-io, comprimerci tra il nostro essere e l'essere altrui, ritagliarci una tana da cui guardare il mondo. E dobbiamo iniziare a pensare che forse quello che giudichiamo ridicolo non lo è poi fino in fondo ma che a cose diverse ogni volto da un proprio nome. Talvolta nella compatibilità, più volte nella dissonanza il nostro cammino si deve fare spazio tra le identità altrui, deve prestare attenzione a non violarle né fraintenderle. E il nostro vivere comincia ad essere plasmato dalla consapevolezza di una verità diversa dalla nostra.
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Inizio potente, lettura di stile, grande autore
Un libro veramente riuscito.
Le prime pagine sono molto accattivanti e di sicura originalità. Il racconto, non molto veloce, lascia spazio a continue riflessioni, mai banali, sulla vita, le relazioni, le apparenze, le possibilità. Un stile di scrittura a tratti poetico e a tratti ironico. Tristezza, malinconia, ma anche ironia, speranza, sorpresa. Quello che più mi è rimasto impresso è il senso del possibile e quindi della speranza e del rinnovamento che pervade tutto il libro. A significare quante siano le possibilità che la vita può riservare.
E tutto questo, senza essere sottolineato, traspare dalle pieghe del racconto e perciò penetra in maniera più sottile.
Lo consiglio a chi ama le letture un po' impegnative e profonde.
Questo autore, non molto conosciuto in Italia, merita assolutamente di essere letto.