Dizionario dei nomi propri
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Plectrude
Il nome è spesso sinonimo di radice ma anche di destino. Chi lo porta ne rappresenta l’essenza, il cuore, l’anima. E questo, Plectrude, lo sa molto bene. Lei che sarà una donna fuori dagli schemi e che ha un percorso di vita estremamente difficile essendo nata in quel di un carcere da Lucette, una madre uxoricida e suicida dopo la nascita, che le imprime sulla pelle un nome che è un peso non indifferente. Adottata dalla sorella della madre e con già due figlie, ella cresce in un ambiente dove non è semplice sopravvivere alle pressioni.
Seppur sia immancabile quel tocco tipico della penna di Amélie Nothomb in questo scritto quel che viene trattato è un tema molto forte e reale che porta l’autrice ad abbandonare quei toni un po’ più ironici e dissacranti a cui ci siamo abituati nelle letture dei suoi scritti. Perché se da un lato ritroviamo temi cari e già affrontati che vanno dal passaggio dall’adolescenza all’età adulta (che ritroveremo anche in “Antichrista”, per citare un titolo), la narratrice non si risparmia di parlarci di anoressia. Plectrude ama danzare, fa di questo la sua ragione di vita, vi si dedica anima e corpo tanto da cadere in questa malattia così irrefrenabile e inarrestabile. Si chiuderà in uno scrigno le cui chiavi sono andate perdute esattamente come tanti di quei rapporti umani e sentimenti che precedentemente aveva e provava.
E se la linea narrativa stupisce per le descrizioni minuziose di quegli allenamenti, e se da un lato non ritroviamo quel sarcasmo proprio della romanziera, ecco che siamo sbaragliati dai contenuti e anche dal vero. Perché con questa opera Amélie Nothomb racconta la storia della cantante Robert per la quale ha scritto molte canzoni ma ci racconta anche una parte di sé perché è stata lei per prima colpita dalla malattia.
Si potrebbe dire tanto ancora su questo titolo ma credo sia opportuno non andare oltre perché la storia ha molto da offrire dall’inizio alla fine, sino a quell’epilogo che spiazza e che ci riporta a quella componente surreale fedele e onnipresente e chiede semplicemente di essere ascoltata.
Indicazioni utili
Infanzia, crescita e ossessione
E'il quinto libro che leggo di questa scrittrice che adoro, ma non lo considero uno dei più belli e nemmeno uno dei più brutti. Diciamo che è una via di mezzo per tanti motivi.
Innanzitutto in "Dizionario dei nomi propri" la Nothomb abbandona momentaneamente e volutamente, con mio grande dispiacere, quei toni ironico-pessimistici che tanto amo per narrare una storia più "terrena" e realistica ovviamente appuntandovi il proprio tocco personale d'autore.
In questo libro si parla di un tema già affrontato dall'autrice in "Igiene dell'assassino" e in altre sue opere: il difficile passaggio dall'infanzia all'adolescenza.
Ed è proprio la protagonista Plectrude che attraversa questo drammatico momento: già il suo nome (preso dal dizionario che dà il titolo simbolico al romanzo) e la sua particolare circostanza di nascita contribuiscono a regalarle un'esistenza particolare: adottata dalla famiglia di sua zia, fin da piccola Plectrude dimostra subito la sua passione per la danza che riterrà più importante della scuola, dell'istruzione e di tutto il resto. Ma ben presto la passione si trasforma in ossessione: Plectrude sopporta durissimi allenamenti pur di diventare la migliore, sprofonderà nell'anoressia più totale, perderà la capacità di provare sentimenti, nonchè i pochissimi amici che aveva.
L'unico sostegno in tutto questo sarà la sua madre adottiva che, sebbene sembri amarla più di ogni altra cosa al mondo, in realtà nasconde le più cupe intenzioni...
Detto questo devo fare i miei complimenti alla Nothomb per come il suo stile ha contribuito notevolmente alla formazione di Plectrude: da bambina altezzosa e superba (e inizialmente molto antipatica, bisogna dirlo) e bisognosa di restare per sempre nella dolce culla dell'infanzia per evitare le sofferenze della crescita, diventa, dopo l'incidente, una splendida, forte e determinata donna che ha imparato finalmente a vivere.
Anche se ho provato grande nostalgia per le oscure risate filosofiche che la Nothomb suscita in molte sue opere, sono lieta di vedere come sia stata capace di raccontare una vita. Una vita difficile, segnata da molti sacrifici e sofferenze, con il suo occhio attento, preciso e non troppo prolisso.
Ammetto che la parte centrale, dove si descrivono tutti gli allenamenti di danza e ci sono molte ripetizioni, mi ha un po'annoiata, ma per il resto posso chiamare la mia Amelie Maestra.
Tutti i suoi libri, poi, hanno dei finali spettacolari. Sorprendono come bombe scoppiate all'improvviso nella calma e nel silenzio, indignano, colpiscono, rimangono impressi nel cuore e nella mente e confondono. Sono totalmente inaspettati!
Credo che i suoi libri vadano letti solo per quelli.