Narrativa straniera Romanzi Danny l'eletto
 

Danny l'eletto Danny l'eletto

Danny l'eletto

Letteratura straniera

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A Brooklyn, negli anni della seconda guerra mondiale, due ragazzi, Reuven Malter e Danny Saunders, s'incontrano sul campo di baseball nel corso di una partita che presto assume i connotati di una guerra santa. Entrambi ebrei, Danny e Reuven appartengono a due diverse comunità religiose, che da sempre si guardano con sospetto e diffidenza. La ferita che Danny infligge a Reuven durante la partita è anche una ferita simbolica, di sfregio e di sfida, e insieme la cerniera narrativa che consente a Potok di mettere a confronto due modi di concepire la fedeltà alla tradizione e di vivere l'esistenza.



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Danny l'eletto 2016-02-14 14:22:07 PICCOLO P.
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PICCOLO P. Opinione inserita da PICCOLO P.    14 Febbraio, 2016
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CONFLITTO PADRE-FIGLIO

Un romanzo basato su una grande storia di amicizia, al centro di un piccolo universo nel quale gli elementi cercano di orbitare immutabilmente intorno alla propria fonte di verità, ovvero la stella. Danny e Reuven sono due ragazzi quindicenni, entrambi ebrei, che vivono nel quartiere di Brooklyn negli anni che attraversano la seconda guerra mondiale, inseriti nel microcosmo della comunità ebraica. Ma l’apparenza di una identità culturale comune viene solcata in due dalle profonde differenze esistenti tra la comunità chassidica, alla quale appartiene Danny Saunders, e quella degli “apicorsim”, termine utilizzato dai primi per definire sprezzantemente gli ebrei progressisti, alla quale invece appartiene Reuven Malter. La rivalità esplode subito all’inizio del libro, durante l’incontro di baseball che oppone la squadra liceale dei chassidici contro quella di Reuven, e culmina con l’infortunio all’occhio di quest’ultimo, colpito con volontaria violenza dalla palla lanciata da Danny. Eppure sarà questo grave episodio a fornire la scintilla che accenderà la fiamma della loro amicizia. Due mondi all’apparenza così simili e invece diametralmente opposti, troveranno un punto di incontro nel momento in cui si renderanno conto di essere due piccoli ingranaggi inseriti in un meccanismo che ha già scelto quale dovrà essere la loro funzione. La tradizione chassidica vuole che il figlio del rabbino, in questo caso Danny, debba seguire per reditarietà le orme del padre, ma questa usanza secolare si scontra con la mente del ragazzo, predisposta ad un futuro ben diverso e molto lontano dalle aspirazioni paterne. IL romanzo si snoderà attaverso il conflitto interiore di Danny che,passo dopo passo, si renderà conto della voce interiore che prima sussurra e poi urla con disperazione il desiderio di percorrere il cammino della propria vita su un percorso nuovo. E purtroppo anche attaverso il conflitto esteriore con il padre che all’apparenza ripudia ogni cosa che non sia espressione dell’ortodossia chassidica.
Il protagonista del romanzo è indubbiamente Danny, ma la narrazione è improntata dal punto di vista dell’amico, Reuven, un espediente che permette di osservare e comprendere la crescita di un carattere attraverso l’alterità, senza mai far trapelare emozioni e pensieri di Danny.
Molto interessante l’ambientazione storica, dato che il romanzo si sviluppa tra il 1940 e il 1948, anni importantissimi per il giudaismo mondiale culminati con la sofferta creazione dello stato di Israele. Evento, quest’ultimo, che ovviamente creerà un’altra profonda divisione all’interno delle comunità ebraiche Newyorchesi, e sarà terreno di scontro per le figure altamente eurdite dei padri di Reuven e Danny.
Un romanzo che si basa su una storia di amicizia ma che, durante lo svolgimento, introduce molti altri temi interessanti oltre a quelli storici, e personalmente ho trovato di una profondità immensa l’analisi del conflitto tra le aspettative dei padri per i figli e le aspirazioni di questi ultimi per la prorpia vita. Un conflitto che durerà tutto il romanzo e si risolverà in una maniera inaspettata, cambiando il senso della storia nelle ultime trenta pagine.
Una nota positiva la merita anche la prosa di Potok, molto scorrevole pur cimentandosi con dialoghi contenenti termini strettamente Yiddish, tenendo sempre alta l’attenzione del lettore e il desiderio di proseguire pagina dopo pagina. Un libro molto profondo, ma che si divora come una bella avventura.

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Danny l'eletto 2016-01-05 16:10:15 siti
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siti Opinione inserita da siti    05 Gennaio, 2016
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AL SECOLO: AMICI

“Infatti fui anch’io un figlio diletto per mio padre...E mio padre mi ammaestrava e mi diceva:"Accogli nel tuo cuore le mie parole."
(Proverbi, 4, 3-4)”

I rapporti umani , molto spesso quelli che si vorrebbe fossero i più istintivi, i più naturali, racchiudono nelle loro dinamiche, nelle storie di chi li vive, li nutre, li subisce o li patisce, la chiave di lettura della nostra esistenza.
La bellissima storia narrata in questo romanzo è intrisa tutta di rapporti umani. Esordisce con la nascita di una bella amicizia fra adolescenti, prosegue raccontandone l’evoluzione, culmina definendone i contorni alla luce delle rivelazioni sapientemente ed enigmaticamente donate in un finale dal forte impatto emotivo.
Danny il chassid intransigente e Reuven l’eretico escono dai bozzoli tessuti dalle loro famiglie, dalle loro comunità, dalle loro tradizioni e si incontrano: li separano solo cinque isolati, li cresce la stessa America, il suo sport, i suoi college, il suo afflato. Vivono in case pressoché identiche, conducono vite apparentemente simili, conosceranno la diversità che nutre le loro reciproche identità. Impareranno il rispetto, la lealtà, sentiranno il dolore altrui. Cresceranno, evolveranno.
Non solo l’amicizia nutre la trama, molteplici elementi contribuiscono a dare spessore alla narrazione. La contestualizzazione storica - gli anni del secondo conflitto mondiale, della prima seduta dell’ONU, della nascita dello stato di Israele-; l’indispensabile storia dell’ebraismo compendiata nelle pagine centrali; la rappresentazione delle comunità ebree in America, la loro evoluzione, il loro impatto con la secolarizzazione violenta cui le ha costrette il secolo breve. È fondamentalmente un romanzo che narra il rapporto tra gli ebrei e la cultura occidentale. Colpiscono le esistenze dei due adolescenti, il rigore nell’affrontare lo studio nella sua componente laica e in quella religiosa. Colpisce la genuinità delle loro vite, la maturità del loro sentire.
Li accompagnano due figure paterne indimenticabili, due diversi modi di educare i propri figli, un sottile antagonismo tra loro su cui Potok gioca magistralmente per regalarci poi un messaggio diametralmente opposto ed edificante.
“Siamo così complicati interiormente..”

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Danny l'eletto 2015-09-16 12:01:55 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    16 Settembre, 2015
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Tzaddik per sempre

Fin dalle origini della tradizione chassidica, il tzaddik era il capo della comunità, un uomo particolarmente devoto, sapiente e sensibile, che la gente seguiva con fiducia e a lui si rivolgeva per ogni problema. I chassidim riconoscevano nello tzaddik un vincolo sovrumano tra loro e Dio.
Come spesso succede quando i movimenti spontanei, guidati da uomini particolarmente carismatici, si cristallizzano e diventano istituzioni, anche nel chassidismo ci furono abusi. La carica di tzaddik divenne spesso ereditaria, molti tzaddikim vivevano come monarchi orientali, le comunità divennero clan chiusi e dogmatici che, anche per il tramite di barbe, riccioli e vestiti scuri con le frange, si illudevano di fermare il tempo alla Polonia del diciottesimo secolo.
Ogni aspetto estraneo allo studio del Talmud era un potenziale pericolo e si composero liste di cose lecite e di cose proibite, molti libri vennero messi al bando e si diffuse la pratica dei matrimoni combinati fin dalla più tenera età. Studiare le materie ebraiche in lingua ebraica anziché in yiddish era considerato un peccato inaudito, perché l’ebraico era la Lingua Santa e usarlo normalmente in classe era una profanazione del Nome di Dio.
Quando il movimento sionista iniziò a propugnare uno Stato ebraico in Palestina, trovò nelle comunità chassidiche uno strenuo avversario, perché non si ammetteva una patria ebraica che non avesse al centro la Torah, non doveva quindi esserci una patria ebraica fino all’avvento del Messia.
Tutto questo può essere classificato come fanatismo? Certamente. Eppure anche un ebreo liberale, pur non condividendo affatto queste scelte e questi comportamenti, può affermare che “il fanatismo d’uomini dello stampo del rabbino Saunders ci ha conservati in vita durante duemila anni di esilio”. La chiave sta nella precisazione: uomini “dello stampo di”, non uomini qualunque.
Le ultime, sconvolgenti quindici pagine di “Danny l’eletto” gettano una luce nuova su tutto il romanzo e rivelano che ci può essere un’infinita tenerezza nella dura roccia che protegge e custodisce le radici della pianta cresciuta con fatica al suo interno. Se ci si ferma alla superficie, si sperimenta solo il lato duro, ruvido, sgradevole, e anche violento, di uno stile di vita incomprensibile e inaccettabile.
Ma scavando in profondità (e per questo occorre che ci siano delle profondità, quindi l’integralismo non è per tutti) si può scoprire un sorprendente ed inesauribile pozzo di sensibilità, comprensione, amore ed empatia. Si può scoprire che dietro veti, bandi e proibizioni si nasconde la consapevolezza che essi saranno tutti abbattuti e che è ineluttabile che le regole formali, le prescrizioni, i codici siano prima trasgrediti e poi abbandonati. Nel frattempo, con severità, disciplina e rigore ben oltre ogni limite comprensibile, avranno forgiato un’anima, avranno formato un uomo.
Quest’uomo potrà anche tagliarsi i riccioli, la barba, smettere gli abiti scuri e le frange, ma rimarrà per sempre profondamente un tzaddik, un giusto, un sapiente, un caritatevole, un uomo che anche nella confusione delle strade del mondo non perderà mai la propria.
“Danny l’eletto” ci parla dell’amicizia di due ragazzi ebrei newyorkesi, alla fine della seconda guerra mondiale. Reuven è figlio del professor Malter, un ebreo colto e di larghe vedute, sostenitore e promotore del sionismo. Daniel invece è figlio del rabbino Saunders, uno tzaddik di grande carisma, stimato, e rispettato da tutti.
Danny, destinato ad ereditare la carica del padre, è un ragazzo eccezionalmente intelligente, curioso e sensibile. Divora di nascosto letture “proibite”, stringe amicizie pericolose eppure non osa mettere in discussione né l’autorità del padre, né il severo (forse anche crudele) sistema di vita entro cui è cresciuto.
Non si tratta solo di una grande romanzo sull’amicizia: il libro ci parla anche di padri e di figli, di silenzi e di incomunicabilità, di parole dette in silenzio, di canali di comunicazione incredibilmente tortuosi, che devono farsi strada tra le complessità dell’anima.
E’ un libro che invita anche a riflettere, noi apparentemente liberi, liberali, laicissimi, aperti e democratici. Ci invita a non fermarci all’aspetto sgradevole e aspro della roccia, a scavare in profondità, oltre le idee e i comportamenti che ci sembrano incomprensibili, arcaici, ottusi e bigotti. Troppo facile denigrarli, rifiutarli, rispondere al fanatismo con altrettanto fanatica superficialità. L’istinto è quello, ed è naturale. Infatti, anche l’amicizia tra Reuven e Danny nasce da uno scontro, dall’odio persino. Ma poi i due ragazzi fanno leva sulle proprie qualità e da quella contrapposizione nasce una grande amicizia, un legame solido, un ponte tra due mondi apparentemente incomunicabili.
Non dovremmo mai dimenticare che il dialogo è sempre possibile. A due condizioni: che si abbia la voglia e la capacità di scavare, e che sotto la superficie ci sia qualcosa.
Crescere un figlio nel dolore e nel sacrificio, imporre a sé e agli altri privazioni e sofferenze, continueranno a sembrarci un prezzo inaccettabile per forgiare un carattere. Ma chi vive in un mondo protetto da barriere sa e si aspetta che esse siano superate prima o poi, sa che quel mondo si dissolverà e si mescolerà con altri mondi.
Forse è proprio su questo che si fonda il dialogo: la capacità di guardare avanti, pur senza dimenticare la validità delle proprie ragioni e restando intimamente fedeli alle proprie radici

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Danny l'eletto 2014-12-09 14:37:39 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    09 Dicembre, 2014
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La voce del silenzio

“Danny l’eletto” di Chaim Potok è un’opera che coraggiosamente mette in risalto le contraddizioni e i contrasti che caratterizzavano la comunità ebraica alla fine degli anni quaranta, nel momento in cui la tragedia della Shoah veniva alla luce in tutta la sua inconcepibile e incomprensibile atrocità, e negli anni immediatamente successivi, quando si cominciava a parlare più concretamente della definitiva istituzione di uno stato di Israele in terra di Palestina.
Il romanzo si ambienta negli Stati Uniti, terra di rifugio e di riferimento per molti ebrei giunti da diverse parti del territorio europeo. La storia, semplice nella sua trama che vede come protagonisti due giovani adolescenti , diviene la metafora delle differenze culturali e religiose che distinguevano il mondo ebraico. Ancora oggi tali differenze non sono del tutto superate e ciò impedisce una definitiva omogeneità nelle scelte politiche e sociali della classe dirigente dello Stato di Israele.
L’accesa competizione sul campo nella partita di softball che vede Danny e Reuven affrontarsi come nemici più che come atleti, annuncia metaforicamente quelle differenze fondamentali che minacceranno di separare i due ragazzi pur legati ormai da un sentimento di profonda amicizia. L’educazione impartita dal rabbino Saunders al figlio Danny risulta incomprensibile agli occhi di Reuven, abituato a un rapporto di confidenza e fiducia con suo padre, il professore Malter, studioso del Talmud. Sono due concezioni del mondo diverse, in contrasto l’una con l’altra. Da una parte la chiusura e l’intransigenza del rabbino gli impedisce ogni contatto confidenziale con il figlio, che educa e alleva nel silenzio, col timore che l’eccezionale intelligenza di Danny possa essere di impedimento alla crescita e alla rivelazione della sua anima. La fede diviene così qualcosa di freddo e impersonale, un formale inno al Signore. Reuven, al contrario, trascorre molto tempo con il padre che gli spiega nei dettagli le parti più complesse del Talmud. Danny è attratto dalla psicanalisi e dalle teorie freudiane, considerate con disprezzo da suo padre, Reuven, invece, ha una mente più razionale e preferisce la psicologia sperimentale. Due mondi a confronto: ciò che interessa Potok è il rapporto tra ebreo e ebreo in terra americana, tra tradizionalisti e secolarizzati, tra chassid e apicoros, tra l’uso dello yiddish e l’uso dell’ebraico, nel tentativo strenuo di creare una coesione e una unitarietà indispensabili nel momento della creazione di uno stato ebraico. E qui è il punto più politico dell’opera. Il rabbino Saunders ostacolerà ostinatamente il sionismo, che è invece la vera meta che si prefigge Malter, e di cui rende partecipe il figlio Reuven.
Se da un lato Saunders afferma la necessità di attendere il Messia per costituire lo stato di Israele, Malter afferma, più realisticamente: “Il nostro Messia dobbiamo crearlo noi stessi”.
Ciò che risulta più interessante in questo romanzo è proprio l’aver evidenziato il diverso approccio alla religione e alla politica in seno alla società ebraica, e la necessità di superare le differenze o almeno di conciliarle, perché solo con una coesione interna un popolo può affrontare e superare le sfide che gli si pongono di fronte.

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Danny l'eletto 2014-10-18 06:02:37 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    18 Ottobre, 2014
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Danny e Reuven : storia di un'amicizia

"Se devi chiamarmi in qualche modo, chiamami Reuven" ; "Tu allora chiamami Danny".

Questo romanzo è certamente la storia di un'amicizia fra due ragazzi, ma vi è molto di più : il rapporto di due figli coi rispettivi padri; il fronteggiarsi di due concezioni e tradizioni all'interno della religione ebraica...

Le vicende si svolgono a New York, nel quartiere dove gli ebrei, immigrati dall'Europa, hanno ricostituito le loro comunità. Il periodo è compreso fra gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale e i fatti successivi alla proclamazione dello Stato d'Israele nel '48.
Il momento storico è cruciale: l'olocausto in Europa; l'estesa, talvolta ricca e influente, comunità ebraica in America che si sente l'unica rimasta la mondo, quindi responsabile anche nei confronti di chi non c'è più. Poi il Movimento sionista per l'edificazione dello Stato d'Israele, con le dolorose spaccature fra chi agisce in favore del progetto e chi vi si oppone per il timore, in caso di riuscita, di una gestione ormai non in linea con le tradizioni originarie e protesa ad una mentalità sostanzialmente laica, 'americanizzata'.
Per chi, come me, ha una conoscenza piuttosto superficiale e un po' stereotipata del mondo ebraico, trova nel libro anche una fonte di conoscenze storico-culturali in misurate digressioni, mai pedanti, relative al Chassedismo, incline all'ortodossia più severa, ed all'Illuminismo ebraico, portatore di apertura e confronto verso la cultura occidentale di stampo laico: due modalità, a cui diversamente aderiscono le due famiglie protagoniste.

La parte preponderante del libro, e comunque sempre presente, è però l'aspetto relazionale/affettivo: Potok delinea grandi figure di padri, per i quali l'educazione dei figli è questione di rilevantissima importanza.
Aleggia, poi, fra le pagine un grande senso di rispetto per le opinioni altrui, e ancor più per chi le esprime. Si vive con forti valori ("L'uomo deve colmare la sua vita di significato"); c'è inoltre una tensione all'approfondimento capace di sorprendere chi mentalmente avesse già espresso giudizi stando alla superficie delle questioni.

Il libro presenta una struttura a cui solo le opere grandissime possono aspirare: nulla di troppo, nulla di troppo poco. In più si respira un'atmosfera di accoglienza, che consola e dà speranza: anche il dolore può essere un percorso necessario di crescita.
La scrittura, senza alcuna caduta di stile, è piana, senza fronzoli e senza enfasi, totalmente coerente al contenuto. L'ultimo capitolo, poi, è di sconvolgente bellezza e significato.
Si tratta di un libro per certi aspetti sapienziale, da cui si esce arricchiti e maggiormente riconciliati con se stessi e con gli altri. Terminata la lettura, si ha l'impressione di aver concluso una buona giornata.
" La sera si sparse lentamente in cielo " .

N.B. La storia narrata prosegue in un successivo romanzo: "La scelta di Reuven".

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Danny l'eletto 2014-06-06 06:53:51 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    06 Giugno, 2014
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Ponti tra culture diverse (l'amicizia)

Sotto il comune cielo dell'olocausto con 6 milioni di morti, gli ebrei braccati, malvisti, ridotti a quattro gatti si ritrovano anche divisi tra loro da dispute ideologiche nonostante abbiano problemi immensamente più grandi quali la sopravvivenza della cultura ebraica comune e degli ebrei come razza, oltre al dolore per l'enormità dell'accaduto e per il silenzio inspiegabile di Dio.
In un simile scenario Potok sente il dovere di darsi da fare per mettere in evidenza ciò che unisce le diverse culture ebraiche rispetto all'esiguità di ciò che le divide. E lo fa scrivendo i suoi romanzi, che dovrebbero avere lo scopo di costruire ponti tra culture ebraiche sorelle. In Danny l'eletto, il materiale di cui è fatto il ponte è l'amicizia vera che implica dialogo sincero e aperto. L'amicizia tra Danny e Reuven crea un ponte tra le famiglie e le culture molto diverse scalzando i reciproci pregiudizi. Danny è un ragazzo chassid, cioè fa parte di una famiglia di ebrei polacchi considerati dagli altri ebrei dei fanatici, mentre Reuven è figlio di un professore universitario dalla mente molto aperta. Le tradizioni, gli usi sono molto diversi. I chassid combinano matrimoni, hanno metodi educativi fuori da ogni ragionevolezza, deplorano la formazione dello stato ebraico auspicata dagli altri ebrei, gli eretici, tra cui la famiglia di Reuven. Il padre di Danny non parla mai al figlio per la sua scelta di educarlo tramite il silenzio, e il padre di Reuven gli parla con molta sincerità e buon senso. Il libro è volutamente didascalico, il padre di Reuven educa figlio e lettore alla stessa tavola, ma la qualità dell'insegnamento è così elevata che non ci si può di certo lamentare. Il padre rimprovera Reuven di non avere ascoltato il suo nemico che è venuto a parlargli più volte nel corso del romanzo. Il nemico è all'inizio Danny, poi il fanatico padre di Danny. Il libro non fa che sottolineare l'importanza del dialogo che fa cadere barriere e smonta i più radicati pregiudizi.
L'ascolto, il dialogo sincero non possono che avvicinare persone e culture. Persone sincere, oneste non possono che apprezzarsi a vicenda. Solo non parlandosi, non confrontandosi ci si allontana.
Potok è fermamente deciso ad avvicinare altri ebrei e fermo sostenitore del dialogo. Alla fine, dice, la vita umana è come un battito di ciglia. Il tempo che dura il battito è infinitesimale, non ha importanza alcuna, ma sta all'uomo riempire questo battito di significato.
Lo spessore culturale dei due amici e forse anche il tipo di cultura sorprende e spiazza il lettore. Ma il messaggio è universalmente valido e può essere esteso a cristiani di gruppi diversi, a religioni diverse, a persone con diversi ideali in generale, laici o cristiani che siano, purchè ci sia il punto comune di essere aperti al confronto e alla ricerca dell'1% di umanità che ogni persona contiene sotto la sua scorza sia che sia fatta di materia, di animalità o di genio. Alla fine di questa ricerca si scopre che le persone sono più simili di quanto appaia, che fanatico e apichoros (eretico) sono fratelli della stessa pasta.

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