Dall'oblio più lontano
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Recensione della Redazione QLibri
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La memoria ha bisogno di radici
“Nelle grandi città , le persone che si sono perse di vista da tempo, o che non si conoscono, si ritrovano una sera su una terrazza per poi perdersi di nuovo. E nulla è davvero importante.”
In queste righe il vero tema del romanzo di Patrick Modiano “ Dall’oblio più lontano” uscito in questi giorni edito da Einaudi. Una storia semplice, apparentemente banale, che vede come protagonisti un giovane ventenne che vive della vendita occasionale di libri vecchi, una donna, Jaqueline e un uomo, Gerard Van Bever, di cui non si sa nulla, che si mantengono con le vincite al gioco nei casinò di provincia e di piccoli traffici poco chiari. Ciò che accomuna questi personaggi è la mancanza assoluta di radici stabili. Ognuno fugge da un passato al quale si accenna solo brevemente o che si ignora del tutto. Tre individui che gestiscono la loro libertà senza tuttavia riuscire a raggiungere uno stato di serenità che possa garantire loro un minimo di felicità. Il loro è un continuo vagabondare per le strade di Parigi, con qualche sosta nei bar, dove spesso allacciano relazioni casuali e superficiali con sconosciuti, senza tuttavia colmare quella profonda solitudine che non li abbandona. E i loro giorni senza meta trascorrono pervasi dal profumo penetrante dell’etere, facile rifugio nei momenti peggiori. Sullo sfondo di queste vite senza passato e senza futuro, una Parigi descritta dettagliatamente, itinerario per itinerario. Una Parigi che è l’unico punto fermo, l’unica certezza per queste esistenze alla perenne ricerca di una identità . Ed è proprio l’assoluta mancanza di identità la caratteristica principale del protagonista, di cui non conosciamo neanche il nome. E d’altronde anche per Jaqueline il nome ha carattere di provvisorietà: dopo essere scomparsa per lunghissimi anni, ella riappare con un nome diverso, Therèse. Dunque la realtà è ingannevole quanto mutevole. L’unica certezza che resta è la città con la sua toponomastica, con i suoi percorsi immutati, l’unica possibile sede di una memoria che svanisce se non radicata nel passato e proiettata verso il futuro.
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Modiano artista del tempo
La memoria è la chiave di tutta l’opera di Modiano, la memoria vista come le pagine di un libro che si sfogliano lentamente, parola dopo parola veniamo a conoscenza di vite che erano e che ancora sono, dove lo spartiacque è una delle tante pagine del libro, una scelta improvvisa e imprevista che cambia tutto. Una scissione netta che mette insieme due periodi di tempo separati da quindici anni, anni della quale non sappiamo nulla di certo, ma che Modiano ci lascia immaginare.
Parigi, Londra due città fantastiche dipinte con poche pennellate, dove i nomi dei luoghi sono essi stessi parte della storia, sono personaggi comprimari, le atmosfere sono le solite di questo fantastico scrittore, evanescenti, un po' in ombra, appena accennate eppure così intense.
Una storia semplice, senza colpi di scena, ma che tiene comunque attenti i lettori, una narrazione lineare dove due ragazzi si innamorano, vivono il loro amore e tentano una fuga, per abbandonare tutto e lasciarsi alle spalle il loro passato.
Poi il “buio” che dura quindici anni, una specie di oblio che cancella o forse solo allontana un pezzo di vita. Due incontri casuali, il primo che porta con sé l’amore, il secondo lascia invece tante domande, alla quale i protagonisti non sanno rispondere, e alla quale forse neanche noi lettori possiamo dare seguito. Il tempo è una variabile imprevedibile: guarisce o uccide, logora o lenisce, ma inevitabilmente lascia un segno e questa è l’unica costante di questa variabile che condiziona tutte le nostre vite.
Modiano non delude mai, è un artista del tempo, è in grado di plasmarlo e renderlo essenza stessa della sua letteratura, gioca con la vita dei suoi personaggi manipolando il tempo, così come Miles Davis faceva cantare la sua tromba semplicemente con tre tasti e il suo magico respiro.