Crepuscolo
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Una voce lieve in una scrittura densa
Terzo capitolo della trilogia della pianura di questo famoso scrittore americano, trilogia che io non sono sicura di aver letto secondo l’ordine consigliato, anche perchè non ho ancora capito quale sarebbe l'ordine più corretto. Decisamente è il capitolo più bello. Non so se è così perché ci è voluto del tempo perché io mi abituassi a queste atmosfere, che comunque sono lontane dalla nostra cultura o non so se è proprio oggettivamente il meglio riuscito. Fatto sta che la voce lieve dello scrittore ci accompagna in una scrittura densa, dove non si distinguono i dialoghi, proprio perché non viene utilizzata la classica punteggiatura che di solito li differenzia, dove si mescolano le vite di tutti i personaggi di Holt, questa cittadina immaginaria del Colorado. E’ un libro che fa da specchio alla pienezza della vita e degli affetti dei personaggi che lo popolano, alcuni dei quali mi sono rimasti addosso, in particolare il vecchio Raymond e la piccola Joy Rae. Unica nota negativa...chiudendosi una trilogia, io non ho avuto la sensazione della chiusura di una storia.
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Sul far della sera
Il crepuscolo è quel momento della giornata in cui la luce è appena accennata nel cielo: è il momento che coincide con l’alba o che è appena successivo al tramonto, è il breve spazio tra il giorno e la notte, e, metaforicamente, tra la vita e la morte, simbolo d’una lieve speranza. Con questo termine carico di significati e suggestioni, Fabio Cremonesi ha tradotto il titolo dell’ultimo romanzo della trilogia di Kent Haruf “Eventide”. Per meglio comprendere la scelta di questo termine sia da parte dell’autore che del traduttore, è utile fare riferimento a una intervista di Luca Boldrini a Fabio Cremonesi che così si esprime riguardo al titolo del romanzo: “Eventide significa crepuscolo, ma è un termine ancora più alto; ha una forte connotazione religiosa, oltretutto, perché è il titolo di un inno molto conosciuto dai cristiani americani, e in questo senso si avvicina il termine crepuscolo all’idea di fine vita.” Ed è effettivamente all’inno “Eventide – Abide me” scritto da H.F.Lyte e musicato da W.H.Monk che Cremonesi si riferisce.
D’altra parte la componente spirituale e religiosa è costantemente presente nell’opera di Haruf, come si è visto sia in “Canto della pianura” che in “Benedizione”.
Ancora una volta ci troviamo a Holt, questa piccola cittadina immaginaria del Colorado, in cui la vita scorre con i ritmi rallentati tipici della campagna, dove le ore di una giornata sono scandite dai doveri pastorali e dagli obblighi casalinghi. Qui la vita del singolo si intreccia con quella del vicino, la sorte dell’uno è parte integrante della vita dell’altro, come nel caso di Raymond soccorso e aiutato da Guthrie e da Maggie. Quelle che sembrano banali vicende quotidiane sono raccontate con un realismo che rende sorprendentemente interessante la lettura, perché in fondo è la vita dell’uomo qualunque che viene descritta come se fosse stata vissuta dallo stesso autore. Né Haruf trascura alcuni dei temi che più affliggono la società moderna, come le violenze sui minori e gli atti di bullismo tra i giovani.
Ma su tutto prevale quel drammatico senso di solitudine che ognuno cerca di superare come meglio può, a volte aggiungendo errori ad errori, perché l’uomo non è mai pronto ad affrontare il silenzio d’una casa o il buio di stanze non vissute.
Eppure al di là delle difficili prove alle quali la vita sottopone ogni singolo individuo, si apre talvolta uno spiraglio di luce, non importa se sia al tramonto della vita e non all’alba, quella leggera luce porta con sé una speranza, anche se è una speranza non priva di illusione.
Con spirito laico mi piace riportare il testo dell’inno “Eventide – Abide me”:
1. Resta con noi il giorno ormai declina, resta con noi e avremo la tua pace.
Sola speranza nella nostra vita, resta con noi Signore, resta con noi.
2. Dono d’amore, pane che dà vita, ospite dolce di chi crede in Te.
Luce e conforto all’esodo dell’uomo, resta con noi Signore, resta con noi.
3. Rifiorirà in Te la Creazione, nel grande giorno della tua venuta.
Verrà quel giorno aurora senza fine, immensa gioia per l’eternità.
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La storia siamo noi
Secondo volume della Trilogia della pianura, Crepuscolo, come per gli altri, è ambientato nel Colorado, a Holt, immaginaria cittadina rurale che, pur tuttavia, appare notevolmente realistica, riassumendo caratteristiche di numerosi analoghi insediamenti americani. Ancora una volta Kent Haruf dimostra le sue straordinarie qualità di narratore, capace di rendere avvincenti fatti che sono per lo più del tutto ordinari. Lo stile asciutto, ma non povero fa sì che il romanzo avvinca il lettore dalla prima all’ultima pagina, grazie a un’ambientazione che si potrebbe definire quasi perfetta e a personaggi, che pur nella loro normalità sono portatori di storie e situazioni di straordinaria umanità. Non c’è un preciso filo conduttore, ma ci sono storie, all’apparenza del tutto autonome, che poi finiscono per l’incrociarsi, una serie di racconti accomunati solo dal luogo, appunto Holt, e dalla volontà dell’autore di farci conoscere personaggi che finiscono con il diventare protagonisti, come è il caso del ragazzino DJ Kephart che vive con l’anziano nonno, unico parente rimastogli, essendo orfano e che ha un disperato bisogno di comunicare con qualcuno della sua età, trovandolo in una coetanea vicina di casa, o i coniugi Luther e Betty Wallace, e i loro due giovani figli, che vivono ai margini della società a carico della pubblica assistenza, o ancora la vicenda dei fratelli anziani e scapoli Harold e Raymond McPheron che un giorno hanno accolto e assistito Victoria Roubideaux, una giovane con la sua bambina piccola. Sono figure che normalmente potrebbero apparire anonime, ma occorre considerare che ognuno di noi ha una sua storia, unica e irripetibile, che molto probabilmente non sarà mai conosciuta. Ecco, Haruf vuol far conoscere le storie per niente straordinarie di gente come noi e che tuttavia rivela qualità insospettabili, sovente non note agli stessi interessati. Per lo più aleggia una certa malinconia, ma l’abilità dell’autore sta nello stemperarla, di lasciarla come un cenno e, soprattutto, di lasciare spazi, magari dopo tanto dolore, alla speranza. E’ questo il caso dei McPheron, che, poco dopo che la ragazza che avevano ospitato li ha lasciati, unitamente alla sua bambina, per seguire i corsi universitari, vanno incontro a quello che avevano sempre temuto, cioè l’assoluta solitudine, assoluta perché Harold muore ucciso da un toro e, benché i vicini e anche Victoria Roubideaux stiano per quanto possibile accanto al superstite Raymond la vita non è più la stessa e l’uomo ha bisogno di ben altro, non di affetto, ma di amore, ed è bello vedere quanto si presti una famiglia amica affinché ciò avvenga. I primi approcci di un uomo anziano, che mai aveva avuto donne, sono di una bellezza incredibile e inevitabilmente emozionano e commuovono.
A Holt, che a prima vista può sembrare un agglomerato urbano in cui regna la monotonia, invece si nasce, si vive, si ama e si muore, certamente come in tutto il mondo, ma ciò che conta è che la storia di ognuno , con suoi pregi e con i suoi difetti, è lo specchio di un’umanità di cui siamo parte. Altri luoghi, certo, altre latitudini, ma non c’è nulla di più bello di accorgersi che la storia non è tanto quella scritta sui libri di scuola, non è quella dei personaggi famosi, perché la storia siamo noi.
Un capolavoro.
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"Eventide"
Le stagioni si susseguono ad Holt, con la loro calma, con il loro flusso dirompente, con quelle esistenze che si intercalano ed intrecciano in quell’inesorabile divenire di imprevedibilità che la vita stessa è.
Sono trascorsi già due anni da quando Victoria e i fratelli McPheron si sono incontrati, eppure, il tempo è ormai maturo per una nuova separazione, per un quel nuovo cammino, universitario, che sta per avere inizio. Ed ecco che i fratelli sono nuovamente soli nella loro vecchia e malandata casa. Maggie Jones e Tom Guthrie nel mentre sono divenuti una coppia stabile, seppur ciascuno continui a vivere per proprio conto con i rispettivi affetti familiari. Ma tra le vecchie conoscenze, si affacciano in questa landa del Colorado anche nuove ed interessanti realtà. Conosciamo così Betty e Luther, genitori di Joy Rae e Richie, che sopravvivono grazie al sussidio statale e all’aiuto di Rose Tyler, assistente sociale, che non manca di dar loro supporto e consigli. Conosciamo ancora Dena ed Emma, sorelle, figlie di Maggie, madre sola e disperata, nonché Dj vicino di casa che abita con l’anziano nonno di cui si prende costantemente cura, ed ancora conosciamo Linda May, fragile infermiera. E come in “Canto della pianura” Russell Beckman rappresentava la sfiducia dell’autore nei confronti del genere umano, in “Crepuscolo”, detta figura è interpretata da Hoyt Raines, zio di Betty nonché uomo violento e brutale.
Tanti gli avvenimenti che si susseguono, tante le circostanze che mettono a dura prova i protagonisti dell’opera. Raymond si ritrova completamente solo in quella campagna che ha creduto amica per tutti i lustri che ha trascorso su questa terra. Il silenzio è la sua unica grande compagnia. Ed ancora Betty e Luther si dimostrano genitori deboli; soggiacciono alle angherie dello zio e a pagarne le conseguenze sono i nipoti, ed ancora Dj che ha appena undici anni, deve sobbarcarsi il compito di gestire tutte le esigenze di un uomo di terza età.
In “Eventide”, titolo originale di questo capitolo della trilogia, la sensazione immediatamente provata dal lettore è quella della crudezza. A differenza che in “Plainsong”, che rappresentava l’inizio, il maturare di emozioni, sentimenti e sensazioni, infatti, le relazioni crescono e con la loro complessità nulla risparmiano. Lo sguardo dello scrittore resta freddo, oggettivo, in ogni intercalare. Nessuna sbavatura è presente nell’opera, Haruf non si lascia andare a sentimentalismi inutili nemmeno quando le violenze sono così forti da lasciare senza fiato, anche quando l’avventuriero stesso, vorrebbe in tutti i modi “poter fare qualcosa”. Conseguenza di questa impostazione è l’ineludibilità del futuro che si apre per i molteplici personaggi. Ciascuno si abbandona al suo destino, ai ricordi, alle più intime riflessioni, in quel crepuscolo che immancabile sopraggiunge. Tuttavia, in questa consapevolezza implicita, resta radicata la speranza. Le generazioni si scambiano, le parti si accudiscono, errano, redimano, cadono nell’egoismo, nell’impotenza, obbligano i figli a maturare troppo presto, ma non smettono mai e poi mai di credere nel domani. Ciò è riscontrabile soprattutto nei bambini che osservano silenziosi quello scenario che gli viene proposto, aspettandosi il rimprovero, aspettandosi la frustata, aspettandosi le lacrime di genitori impotenti ed incapaci, aspettandosi il cambiamento.
Non mancano le evoluzioni, non mancano gli elementi della natura, onnipresenti in ogni scritto dello statunitense. Assistiamo però ad un nuovo mutamento narrativo. Se in “Benedizione” lo stile presentato era rigido, minimale ed austero nonché caratterizzato da dialoghi, se in “Canto della pianura” era descrittivo, ricco, propenso all’avvenire, “Crepuscolo”, è caratterizzato dalla pienezza della vita e degli affetti in contrapposizione al cinismo ed alla drammaticità degli avvenimenti, è composto dalla ricchezza lessicale nonché dalla varietà dei registri.
Tra tutti gli episodi della Trilogia, questo è senza dubbio quello più complesso non tanto per temi poiché in ogni testo ve ne sono di ampi e significativi, quanto per contrasto tra bene e male, tra brutalità e bestialità degli esseri umani e la loro capacità empatica.
Tra i passi più forti oltre che alle vicende relative ai più piccoli protagonisti vi è quello relativo a Raymond McPheron. Il suo approccio alla solitudine, alla famiglia e di poi all’amore, sono semplicemente di indescrivibile gentilezza, sensibilità, ingenuità, purezza.
« Non credo che smetterò mai di sentire la sua mancanza, concluse Raymond. Ci sono cose che non si superano mai. E questa secondo me è una di quelle cose» p. 102
«Non piace nemmeno a me, rispose lui. Semplicemente sappiamo tutti e due che bisogna fare così. Quello che ci piace sembra che non abbia nessuna importanza. Le cose stanno così» p. 146
«No signore. Sembra troppo lavoro per una persona sola. Raymond lo guardò. Cos’altro potrei fare? Il ragazzo annuì e proseguirono» p. 244
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Il calore degli affetti
Altro bellissimo libro di Kent Haruf. La cosa interessante delle sue storie è la semplicità dei dialoghi unita alla essenzialità e profondità delle frasi che non cadono mai nel banale. Sembra che tutti parlino mettendo a nudo l'anima, personaggi positivi e negativi (pochi questi ultimi). Nelle sue storie gli affetti sono sempre il motore e il faro. I personaggi positivi si incontrano e si aiutano, cercano di sollevare i fardelli altrui per cui il mondo di Kent sembra più positivo e vivibile del nostro e leggere le sue storie fa pensare che la vita potrebbe essere migliore di come è. Molti personaggi positivi maschili hanno una certa trasparenza e ingenuità, per esempio i fratelli Mc Pheron che hanno preso in casa la ragazzina incinta sollevando a Holt un vespaio di chiacchiere e cattiverie. Ma anche le cattiverie non sono descritte, restano sullo sfondo per far risaltare la positività dei personaggi. Anche il rapporto di Raymond McPheron con le donne è improntato alla ingenuità e al candore. I personaggi sono tutti a caccia di relazioni e di calore. Mc Pheron ha due incipit di relazioni sentimentali, una con l'infermiera e una con l'assistente sociale in cui manca la fase di innamoramento e c'è la sensazione che qualsiasi donna gentile potrebbe essere adatta a colmare la solitudine dell'uomo. Così come le relazioni tra persone buone sono sempre positive e di aiuto ma sono anche poco personali in un certo senso, un po' adirezionali, nel senso che la simpatia o la preferenza che si potrebbe nutrire per un essere umano piuttosto che per l'altro è spesso assente. Le persone buone in genere si piacciono tra loro sempre e comunque. I tre diversi romanzi hanno in comune Holt e il modo di procedere narrativo che sfiora diverse esistenze ma non si concentra mai su un personaggio solo. Anzi, sembra che all'autore sia necessario cambiare personaggio per affacciarsi su più vite in una visione di passaggio come da un treno in corsa piuttosto che analitica da romanzo. Il modo di guardare le cose è suggestivo, ma data la trilogia, a me è dispiaciuto che alcuni personaggi siano spariti nel senso che secondo me avrebbe dovuto proseguire anche le loro vicende e accompagnarli per un altro pezzo di strada (ad esempio il prof. Guthrie e i due figli).
In un certo senso le sue storie potrebbero ricordare come spirito più che come stile Marylinne Robinson. Lo stile invece Cormac soprattutto per il tipo di dialogo: frasi corte, essenziali, che hanno una specie di risonanza dovuta alla loro essenzialità che è come se facesse vedere chi le pronuncia sotto una lente.
Dei tre libri il più bello è il Canto della pianura.
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Destini incrociati e speranze consolidate
A Holt la forza di un paesaggio dirompente ed il fluire del tempo scandiscono giorni ripetuti e silenti, tra nuovi protagonisti e graditi ritorni, abbracciando memoria e speranza.
Se " Canto della pianura" segnava un nuovo indirizzo, nella solitudine e mestizia di fondo di una vita che rifletteva sentimenti ancora embrionali, in " Crepuscolo " crescono relazioni importanti, anche lontane, inizi sorprendenti, complessi intrecci famigliari che avvolgono eta' differenti, una neo-dimensione di se' e, per contro, volti e maschere di violenza e follia.
Victoria, con la figlia Katie, ha lasciato Holt per affrontare gli studi universitari, i fratelli McPheron vivono la propria quotidianita' con certezze affettive consolidate, Tom Guthrie ha intrapreso una nuova storia sentimentale.
I rapporti intrafamiliari accendono la narrazione, il piccolo DJ si prende cura dell' anziano nonno, mentre Betty e Luther vivono grazie al sussidio statale e faticano ad accudire i figli Joy Rae e Richie e Dena e' una ragazzina che convive con le ansie quotidiane e i turbamenti sentimentali della madre Maggie.
E poi la premurosa assistente sociale Rose Tyler, la dolce infermiera Linda, mentre una figura violenta e brutale irrompe minacciosa.
La profondita' della vita impressiona e percuote ogni istante e risuona una verità che è realta' descrittiva, cruda violenza, o, per contro, espressione di sensibilita' e tenerezza.
Lo sguardo dell' autore volteggia super partes mantenendosi oggettivo, glaciale, in una narrazione quasi documentaristica, gli accadimenti evolvono da se', in un flusso continuo, seguendo un destino inesorabile o solo inafferrabile.
Ed allora i protagonisti si buttano a letto sfiniti, confortati oppure no, demoralizzati oppure no, da ricordi e pensieri famigliari logorati dal tempo.
Eppure non mancano colpi di scena, cambi di rotta improvvisi, inaspettati, ed una forza interiore che trascina ogni singola storia.
C' e' uno scambio intra-generazionale, un rapporto ed un accudimento tra anziani malconci, indifesi, offesi, e bambini prematuramente cresciuti, responsabilizzati, ma affettivamente soli, in un sorprendente ribaltamento di ruoli.
E poi c'e' la trasandatezza di un mondo di adulti-bambini, egocentrici, irresponsabili, inconcludenti, arresisi ad una bieca quotidianita', declinanti la genitorialita' o che non la hanno mai conosciuta.
Ed allora i bambini non sono per niente sorpresi da ciò che vedono, oppure si fermano sulla soglia e guardano l' impossibile, a volte si addormentano in quello stesso posto che un tempo era stato così piacevole e comodo.
Spesso sono il volto della saggezza, e della speranza, ed allacciano delle relazioni personali profonde e struggenti.
È una piccola comunità che si autoalimenta, quella di Holt, ogni vita, e storia, entra a fare parte della sua storia, a volte ne esce, e se resta tesse intrecci insperati e complessi.
I giorni si susseguono, e con l' arrivo del Natale, in quel breve momento, ciò che solitamente succedeva nelle case sembra avere una scarsa importanza.
La crescita accarezza i tempi della vita, ma prevalentemente i rapporti umani e se stessi, quell' entrare in contatto con elementi ed affetti assenti, negati o dimenticati.
Cambia lo stile narrativo che si avvale di un ritmo incalzante, di dialoghi fitti, alternati ai soliti silenzi, di vita vissuta, della semplice quotidianita' dei protagonisti.
Haruf sa introiettare e metabolizzare il fluire degli eventi, amalgamando stile e contenuto, in un insieme armonico che stupisce per equilibrio, forza espressiva, coinvolgimento.
Gli accadimenti si susseguono, trascinandoci in un vortice esistenziale, ed udiamo persino il frastuono del silenzio.
C' e' sempre, la' fuori, un mondo crudele, bestiale, violento, ma prevale la possibilità' e la certezza della condivisione e della tenerezza, trattasi del fluire della vita nella propria complessita' e coralita'.
Bellissima, a questo proposito, la nascente storia d' amore tra Harold McPheron e Rose Tyler, così' lontani per professione e carattere, eta' e vita vissuta, ma accomunati da un inesplicabile senso di appartenenza, dalla gentilezza, dalla semplicità' dei sentimenti, dalla proprie sofferenze e dalla capacità' di ascolto.
A Holt, come sempre, ogni cosa ritorna all' inizio, ma qualcosa e' cambiato...
".... Intanto, all' esterno della casa , fuori dalla stanza silenziosa in cui erano seduti, Il buio inizio' ad avvolgere le strade.
Presto i lampioni si sarebbero accesi tremolando, per illuminare tutti gli angoli di Holt.
Ed ancora più in la', fuori città, sugli altipiani, si sarebbe alzato il vento, avrebbe soffiato negli spazi aperti senza trovare ostacoli sui vasti campi di grano invernale, sugli antichi pascoli e sulle strade sterrate, portando con se' una polvere pallida mentre il buio si avvicinava e scendeva la notte. E loro erano ancora seduti insieme nella stanza, in silenzio, il vecchio con questa donna gentile tra le braccia, in attesa. "