Cose che succedono la notte
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Recensione della Redazione QLibri
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Non si scende da treni in movimento
In una intervista di qualche tempo fa, alla domanda in cosa consistesse il suo attuale lavoro, Peter Cameron rispose che stava lavorando a un romanzo che ha come protagonisti una coppia eterosessuale, che si reca in un lontano paese nordico per adottare un bambino. E questa è in effetti la trama di "Cose che succedono di notte", riassunta un poche parole.
Sette capitoli contenenti sette giorni della vita di un uomo. Dico un uomo, perché al lettore non è dato conoscere il suo nome così come non si conosce il nome di sua moglie. Una settimana che sembra scorrere come una notte, in effetti rappresenta una settimana di buio, una notte interminabile, perché ci troviamo in un paese ai confini del mondo in cui per sei mesi è notte e per gli altri sei è giorno. Un buio perenne accompagna il lettore dalla prima riga fino all'ultima in una bellissima struttura narrativa in cui le atmosfere che l'autore crea sembrano gareggiare con i personaggi, sembrano voler attrarre l'attenzione del lettore su di esse, vanitose e ammaglianti. A lettura ultimata ciò che più mi è rimasto impresso sono loro, queste magnifiche "creature" rarefatte composte di buio, neve, freddo ma anche eleganza, fascino e mistero. Una struttura circolare, dall'incipit poetico e che nel finale l'autore riprende nello stesso punto, e anche un po' oltre, dove finalmente il sole compare, assieme a una nuova vita ma anche a una mancanza.
La tematica base è il desiderio di avere un figlio da parte di una coppia eterosessuale che farò di tutto pur di averlo. Però mano a mano che si procede nella lettura, gli eventi precipitano e prenderanno una piega diversa e la vera tematica, a mio avviso, diventa la paternità per un uomo omosessuale, che non potrà offrire una mamma al proprio figlio. Onestamente conoscevo poco della biografia di questo autore ma già dopo le prime pagine un dubbio mi si era istillato e sono andata a controllare in rete: in effetti l'autore è omosessuale, e sotto questa luce il tutto diventa più digeribile per un lettore e il libro lo si legge sotto una nuova luce. Dico digeribile perché ci sono alcune scene che potrebbero urtare, potrebbero essere incolpate di misogina, di superficialità o di una scarsa abilità nel descrivere un atto sessuale. Questo perché l'autore non ne parla direttamente di questo suo intimo desiderio, ma lo fa appunto al buio, nascondendosi, camuffandolo attraverso un desiderio di una coppia eterosessuale ma che inevitabilmente spicca fuori per quel che è. All'enorme desiderio di paternità si sovrappone però anche una terribile paura ma anche moltissima sensibilità. Oltre a questo tema se ne parla anche della solitudine, del radicamento delle persone alla propria terra per quanto essa possa essere ostile, si parla di figli, ma anche della malattia.
Un libro che complessivamente mi è piaciuto, soprattutto per le atmosfere e per la forma narrativa, scritto con una prosa scorrevole e nello stesso tempo ricercata, in cui non mancano gli affondi introspettivi. Mi ci sono affezionata meno ai personaggi con i quali si fatica a entrare in empatia perché bizzarri, egoisti, strani, quasi irreali. Concludo con questo delizioso frammento:
"Qualche istante dopo la donna disse: Resto sbigottita davanti a una tale profondità di sentimento. Sentimento d'amore, immagino. O forse non sarà amore, ma commuoversi fino alle lacrime... Quando si smette di provarli, ci si dimentica che i sentimenti esistono, che le altre persone effettivamente li provano. L'amore, per esempio. Forse sarà una cosa dovuta alla vecchiaia o forse i sentimenti, come i muscoli, si atrofizzano. Penso proprio di sì, almeno nel mio caso. Ecco perché continuo a esibirmi, anche se è difficile che venga a sentirmi qualcuno. Per guadagnarmi da vivere suono il pianoforte e canto laggiù nella hall, cinque sere alla settimana e la domenica pomeriggio. E' l'unico modo in cui di questi tempi riesco a provare qualcosa, per quanto non siano sentimenti veri ma il facsimile del facsimile del facsimile. E poi arriva lei, proprio qui accanto a me, con i suoi sentimenti veri. Mi vergogno. E lo ritengo un onore."
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Opinioni inserite: 4
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Il buio e la luce
Un Peter Cameron insolito, che non mi aspettavo.
Asfissiante senza via d'uscita.
Cupo e tetro, l'oscurità è ovunque, i fatti si svolgono prevalentemente di notte come suggerisce il titolo, anche i personaggi però sembrano rabbuiati e spenti, incapaci di rincorrere la luce.
Imprevedibile con improvvisi cambi di scena che lasciano col fiato sospeso e invitano il lettore a terminare presto la lettura per scrollarsi di dosso quell' attesa verso un finale, inaspettato e aperto.
Il desiderio di una coppia di adottare un bambino in un orfanotrofio li porta a fare un viaggio nel grande nord, in un luogo distante e imprecisato, in cui l'ambiente pare ostile, sinistro, avverso. L'hotel dove alloggiano (mi ha ricordato quello di Shining) è semivuoto, frequentato da poche persone misteriose e ambigue, che si svelano poco a poco.
Insomma, un romanzo che ho adorato per le sue atmosfere, in cui niente è come sembra, ma l'esatto contrario.
Consigliatissimo.
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«L’uomo si chiese come facesse quella gente ad andare avanti, come si potesse sottrarre tanto alla vita – il calore, la compagnia, la cultura, addirittura la luce – e vederla, malgrado tutto, resistere.»
Un uomo e una donna. Un viaggio in un luogo desolato, privo di confini, contorni, privo di orizzonti. Un luogo che sembra disperso nel tempo, un luogo che sembra dimenticato dal mondo. È qui che sono diretti. Stentano quasi a credere di essere arrivati quando il treno si ferma. Eppure la loro destinazione è quella, i lunghi giorni di viaggio li hanno condotti lì, all’estremo nord, alla ricerca di quel bambino da adottare sugello del proprio desiderio di genitorialità a maggior ragione ora che ella sta morendo e quello è l’unico desiderio che ancora la tiene in vita: lasciare lui con un ricordo di lei e un nuovo futuro da scrivere partendo da quel che è stato il passato. Riuscirà la coppia ad adottare il bimbo? Cosa accadrà davvero in questo tempo atemporale che li vedrà protagonisti in queste pagine dense di significato?
«Non è successo. Spesso le persone pensano che sia successo qualcosa quando non è successo niente. Lo desiderano tanto che il corpo si inganna da solo.»
Perché Peter Cameron propone ai suoi lettori uno scritto intriso di magnetismo e capace di suscitare emozioni e soprattutto riflessioni con semplicità e rapidità. Tra queste pagine sono contenuti sentimenti, contraddizioni, omosessualità, egoismi, relazioni, amore, fragilità, perdita, separazione, dolore, speranza per un domani che non è scritto insieme, desiderio di rinascita ma anche di comprensione, desiderio di possibilità. È un titolo delicato che scuote e che lascia il segno, che trascina chiedendo di essere letto un poco alla volta ma soprattutto è uno scritto che trasporta completamente al suo interno anche e soprattutto grazie alle ambientazioni che sono semplicemente vivide.
«Che tiro fuori le parole, i pensieri, le idee. Se non li esprimi, che senso hanno? Muoiono insieme a te. Invece, quando li esprimi, sono nel mondo. Chi lo sa cosa accade ai suoni? Noi pensiamo che scompaiano, ma potrebbero benissimo continuare a vibrare, restare sospesi nell’universo, e magari fra cento milioni di anni qualcuno o qualcosa ne percepirà la vibrazione. Magari sentiranno per filo e per segno quello che ti sto dicendo adesso.»
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Dopo un viaggio disperato la vita torna a sorrider
Il romanzo di Cameron è molto particolare: dopo poche pagine può suscitare nel lettore atteggiamenti opposti, l’abbandono della lettura oppure la curiosità di capire il perché di una vicenda strana e quasi irreale, immersa nel buio di una perenne notte nordica, ammantata dal gelo e dalla neve. Un treno corre attraverso lande desolate, trasportando tra gli altri due personaggi, i protagonisti, un uomo e una donna dei quali non verrà mai svelato il nome: il loro viaggio (da molto lontano, probabilmente oltreoceano) ha come scopo l’adozione di un bambino, in un orfanotrofio dell’estremo nord. L’atmosfera è irreale, il buio incombe su tutto, la neve trasforma tutto in un paesaggio da favola, quasi sospeso nel tempo. I due, la donna sofferente per un tumore, magra, dal carattere indecifrabile, volubile, l’uomo premuroso nei confronti della compagna ma dal carattere fragile, si fermano al Grand Imperial Hotel, una lussuosa ed imponente struttura che sorge come per incanto in una landa desolata e che ricorda, così, al primo impatto, il Grand Budapest Hotel dell’omonimo film del 2014, con quei due leggendari personaggi, Gustave, il portiere, e Zero Mustafà, il fattorino (per inciso, grande film e due indimenticabili protagonisti!). L’Imperial Hotel del nostro romanzo è semideserto, animato solo da strane figure: una cantante in abito da cerimonia, che si prende a cuore i due nuovi visitatori, uno strano viaggiatore per affari, invadente e grossolano, un cameriere puntuale, quasi un’immagine iconica, immobile in un angolo dietro il bancone del bar. Tutt’attorno, lussuosi salotti, saloni da cerimonia e sale da pranzo riccamente arredate: in queste atmosfere d’altri tempi, i due sopravvivono, fino al giorno della visita all’orfanotrofio: per errore vengono portati in un altro Istituto, dove una specie di santone guaritore promette pace e serenità. Alla fine , la donna affascinata dalle parole di fratello Emmanuel (così si chiama il guaritore) decide di fermarsi per sempre in Istituto (dove serenamente si spegnerà), mentre il compagno, con il bambino prelevato dall’orfanotrofio, riprenderà il treno con il cuore spezzato, portandosi però a casa quella creatura, emblema di speranza, a cui dedicherà tutta la sua vita.
La storia prende alla gola, come una morsa, ha tante sfaccettature e invita a riflettere su tanti aspetti della vita: l’unione tra i due protagonisti sempre sul punto di spezzarsi pur dichiarandosi sempre reciproco amore, la solitudine in un ambiente lussuoso e freddo, animato superficialmente da personaggi inadatti a comprendere la crisi esistenziale dei due viaggiatori, alla ricerca di un figlio e di una miracolosa guarigione, la notte perenne, il buio in cui tutto pare sospeso e che avvolge tutto, quel buio che, alla fine, è il vero protagonista del romanzo, quell’allucinante buio che in varia misura può esserci in ognuno di noi.
Lo stile narrativo non si perde in divagazioni: parti discorsive e riflessioni sono essenziali, stringate, esprimono il tormento interiore dei protagonisti sempre alla ricerca di una soluzione alle loro speranze. Soluzione che forse alla fine trovano, lei nella beatificante visione di una fine serena, lui portandosi via il piccolo adottato che gli aprirà il cuore ad una nuova vita.
Lapidaria ed emblematica la frase che Livia Pinheiro-Rima (la donna di spettacolo conosciuta in Hotel) sussurra alla viaggiatrice: “ Viviamo in un’epoca buia, nessuno riesce a trovare la propria strada. Procediamo a tentoni, come i ciechi. Somigliamo a quegli animaletti sotterranei che scavano la terra fredda e umida nella speranza di trovare una radice commestibile. Noi non siamo migliori… “. E’ un po’ la morale del romanzo. Ma ci sono cose peggiori dell’essere ciechi e del procedere a tentoni nel buio: “Essere morti”, conclude Livia.
Cameron ci fa capire di credere in quella fioca luce che spezza il buio e si accende alla fine del romanzo. Simon (così si chiama il piccolo dell’orfanotrofio) sembra proprio rappresentare la materializzazione della famosa citazione ciceroniana “ finchè c’è vita, c’è speranza”: quando tutto è disperato e soffocato dal buio e dal gelo, anche solo un barlume di speranza e di vita comincia a diventare vera forza.
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Doppio viaggio e ritorno
Un uomo e una donna morente diretti ai confini del mondo, lunghi giorni di viaggio nell’estremo nord di un paese nordico, una coppia unita indissolubilmente, un legame a tempo e l’inizio di altro, un bimbo da adottare a suggello del proprio desiderio di genitorialita’.
Il treno avanza lentamente nel cuore di atmosfere innevate, sfuocate, notturne, ad attenderli un hotel dagli ampi saloni vuoti, freddi, bui, figure che si aggirano nella notte, una vecchia attrice che fatica a provare sentimenti, che per guadagnarsi da vivere suona il pianoforte e canta nella Hall, un originale e giocoso uomo d’ affari, un barista enigmatico con una strana espressione dipinta sul volto.
La donna è stanca, dorme continuamente, la sola cosa che le concede un dolce riparo, la voglia di vivere l’ha abbandonata, il sonno la riconsegna alla persona che è stata, ancora sana, consapevole del poco tempo rimastole.
L’ uomo la guarda, anch’egli e’ stanco ma non trova riposo, si aggira nella hall dell’albergo inseguendo un po’ di sostegno, affacciandosi a figure eccentriche e legami inconsueti.
Una simbiosi assodata in pochi giorni restituisce altro, l’ impossibilità di una gravidanza a lungo cercata, inclinazioni omosessuali, un certo egoismo sentimentale, a contorno una figura misteriosa sembra promettere una guarigione miracolosa e un cambio di rotta.
Lentamente l’ uomo e la donna ritornano al passato svelandosi per quello che sembrano non essere, lui nega l’evidenza e le proprie inclinazioni sessuali, nascosto a se stesso e ricercando complicità, ignorando la verità visibile agli occhi altrui, la donna, improvvisamente, pare cambiata, convinta della propria guarigione, rincorrendo una prospettiva del tutto diversa.
Un rapporto che inevitabilmente si guasta, insieme al proprio desiderio condiviso, nell’ incertezza di un’epoca buia in cui nessuno riesce a trovare la via di casa.
Che cosa è realmente successo? Non si sa, qualcosa di diverso, di straordinario, forse solo un desiderio inconscio o un artificio, di fatto la donna ha smarrito ogni forma di autocontrollo, si sente libera, desidera essere finalmente se stessa, assaporando i giorni rimasti nella serenità di un sentimento condiviso che respinge la semplice gentilezza dell’altro.
L’ uomo è confuso, vacilla, cade, si rialza, sembra rivivere un lutto non ancora interiorizzato per tornare alla vita sotto una prospettiva diversa.
Di certo una nuova vita può, nei limiti del probabile, subentrare senza gli errori del passato, evitando il giudizio e la colpa per quello che non è stato e per un atteggiamento egoistico, prendendosi cura dell’ altro, colmandone il senso di vuoto e la solitudine nel respiro disinteressato del proprio amore.
Come Peter Cameron ci ha abituati, tra atmosfere sommerse e romanticamente esposte e l’uso di un linguaggio evocativo, i suoi personaggi si nutrono di interiorità, in un percorso che scava nelle loro vite estraendone verità nascoste. I sentimenti faticano a decollare, l’ incertezza prevale, un senso di smarrimento incombe, sogno e realtà mescolati in un equilibrio precario che genera un cortocircuito.
Il romanzo si addentra in un mondo fiabesco tra personaggi solo apparentemente impalpabili, un viaggio nel viaggio tra sentimenti sbiaditi al cospetto di una apparenza diversa.
La donna vorrebbe essere lasciata andare, sentirsi finalmente se stessa, essere amata, ormai è tardi e non le resta che proiettare i propri desideri, l’uomo vorrebbe amare ma non ne è capace, ancora sconosciuto a se stesso, fino a quell’evento catartico e miracoloso che lo proietta in una neo dimensione e in un futuro di padre tutto da scrivere.