Narrativa straniera Romanzi Cose che si portano in viaggio
 

Cose che si portano in viaggio Cose che si portano in viaggio

Cose che si portano in viaggio

Letteratura straniera

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Katia è nata nella Berlino del secondo dopoguerra, in una famiglia di comunisti spagnoli fuggiti dopo la Guerra civile. Insieme alla sorella vive un'infanzia tutto sommato serena, pur tra le numerose difficoltà: l'incontenibile malinconia della madre, la testardaggine del padre, convinto sostenitore dello Stato socialista, e una valigia intoccabile, nascosta sotto il letto, piena di ricordi di cui le figlie devono restare all'oscuro. Nel 1971 Katia lascia clandestinamente la DDR proprio come clandestinamente vi erano entrati i suoi genitori, per seguire un ragazzo dell'«altro lato» di cui si è innamorata, dando ascolto al più irragionevole degli istinti. Non ha ancora vent'anni e quella decisione la separa per sempre dal solo passato che possiede. La sua è una scelta che si configura come un tradimento: fuggendo Katia tradisce la famiglia, la propria storia, il paese in cui è nata, e commette un'azione imperdonabile, che la condanna a vivere senza un'identità, senza le radici che ha dovuto strappare per oltrepassare il Muro... Quali sono le cose che porterà con sé in un viaggio come questo, da cui non c'è ritorno?



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Cose che si portano in viaggio 2020-05-12 14:44:39 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    12 Mag, 2020
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Berlino est, Berlino ovest

«Il nome che avevo allora. La donna che ero allora. Giusto un’estensione di pelle con vent’anni dentro. La memoria è la facoltà che permette di conservare e ricordare quel che accade nel passato. Codificare, archiviare e ritrovare. Si muove a livello incosciente, come una marea, portando alla luce della notte il fondo sabbioso sott’acqua (…) L’emozione è il filtro e la marea. È la rivoluzione»

È il 1956, le atmosfere sono cupe, il clima è rigido e impenetrabile. Katia è una studentessa universitaria della Berlino est ed è figlia di comunisti emigrati durante la guerra di Spagna. Vive con suo padre Manuel, la madre Isabel e la sorella minore Martina. La famiglia è costretta a sopravvivere nella dura realtà della DDR e per questo tra razionamenti del cibo, mancanza di libertà o di qualsivoglia svago o oggetto personale che non rientra in quel che può essere definito “prima necessità”. Le norme imposte sono ferree, rigide, improcrastinabili. Sono anni duri, il secondo conflitto mondiale è da pochissimo giunto al termine, gli equilibri sono precari, le vite spezzate. Tuttavia, un giorno come un altro, Katia conosce Johannes. Johannes che inizierà un serrato corteggiamento, Johannes che le parlerà di un altro mondo; quello dall’altra parte del muro. E sarà sempre lui a convincerla a seguirlo, ad oltrepassare la frontiera in un viaggio impervio e ricco di difficoltà in cui tra documenti falsi e peripezie sarà superato un confine invalicabile. Perché Katia deciderà di seguirlo ma da quel momento non potrà più tornare indietro e non potrà più rivedere la sua famiglia. Si sposerà con l’uomo, vivrà un rapporto coniugale freddo e ostacolato dai suoceri, avrà due figlie, Theresa e Isabel, che non riusciranno a restituirle il calore. La donna che ha lasciato un mondo con tante privazioni ma con l’amore di suoi cari abita adesso in una condizione più agiata ma all’interno della quale non vi è spazio per sentimento alcuno, soltanto per l’indifferenza, il distacco. Ma cosa ne sarà stato dei suoi genitori? Ella potrà scoprirlo soltanto molti anni dopo quando il muro cadrà e la Berlino est e ovest potranno ricongiungersi.
Quello di Aroa Moreno Duràn è un esordio che solletica le corde dell’animo del lettore e che lo spinge a riflettere e ad interrogarsi su quegli anni e sulla loro precarietà. È una fotografia dell’Europa novecentesca, un titolo che al suo interno presenta un forte carattere introspettivo e che non teme di parlarci delle criticità del tempo. Un testo immediato che arriva e resta. Forse ancora un po’ acerbo ma molto interessante.

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