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Blood, sweat and beer
Nello sport moderno siamo abituati a condannare, giustamente, episodi di violenza come gli scontri tra tifoserie. Avvenimenti piuttosto isolati, per fortuna, e che proprio in virtù di tale rarità hanno un grande risalto mediatico.
Ma il calcio, specialmente quello inglese, ha conosciuto un periodo dove il numero degli scontri tra tifosi era talmente alto da non fare quasi notizia.
Il campionato di calcio inglese, oggi patria del fair play, del rispetto dell’avversario e della cultura della sconfitta, non è sempre stato un modello da seguire in quanto a disciplina e sicurezza.
Dagli anni’60 fino alla fine degli ‘80 tali atteggiamenti da parte dei tifosi più violenti e turbolenti, denominati hooligans, si ripetevano pressoché ad ogni gara. “Blood, sweat and beer”. Sangue, sudore e birra.
I primi morti si registrano verso la metà degli anni ’70. Seguono la tragedia dell’Heysel nella finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool (dove morirono 39 persone) e a quella di Hillsborough (96 vittime), anche se in quest’ultimo caso le cause furono principalmente la disorganizzazione con cui fu gestito l’afflusso dei tifosi alle tribune.
Avvenimenti tragici che hanno costretto il governo inglese, capeggiato dalla “Lady di ferro” Margaret Thatcher, a prendere importanti e drastici provvedimenti per estinguere il fenomeno.
La divisione in vere e proprie bande organizzate, l’abbigliamento casual per non insospettire le forze dell’ordine, i raduni al pub, i tentativi di occupare con la forza la curva dei tifosi avversari, le rappresaglie, gli scontri ad inizio e a fine partita, sia nei pressi dello stadio che al suo interno, erano state le caratteristiche di una problematica che tra gli attori principali aveva registrato persone appartenenti a svariate classi sociali e fenomeni giovanili: membri della cosiddetta rough working class, teddy boys, skinheads, boot boys.
Si ricordi, a tal proposito, che l’Inghilterra degli anni’60-‘70 era l’ombelico del mondo, un vero e proprio laboratorio sociale dove tali subculture trovavano un terreno estremamente fertile.
Lo stadio era un luogo di aggregazione dove affermare la propria autorità e supremazia basandosi sull’uso della violenza. Nacquero rivalità e gemellaggi tra gruppi (in inglese “firm”), i cui nomi stessi incutevano timore: Red Army (Armata Rossa), Headhunters (Cacciatori di teste).
Uno dei gruppi più temuti era quello della ICF del West Ham United.
Il nome ICF prendeva spunto dai treni Intercity utilizzati dai tifosi per raggiungere gli stadi, dato che in questo modo era più facile mischiarsi tra i pendolari e la gente comune per eludere i controlli della polizia.
Famigerati per la loro cattiveria nelle risse, gli hooligans della ICF lasciavano spesso sul corpo degli avversari appena pestati un bigliettino con scritto "congratulazioni, hai appena incontrato la ICF".
Cass Pennant, uno dei leader del gruppo tra gli anni '70 e '80, ha scritto questo romanzo per raccontare appunto le “gesta” e gli aneddoti della firm all'apice della sua fama.
È un interessante spaccato di una realtà ingloriosa che ha riguardato il calcio inglese e delle difficoltà sociali di una parte della working class dell’est di Londra, sebbene il libro sia certamente troppo lungo ed abbia un eccessivo e, a mio avviso ingiustificato, grado di auto-esaltazione.