Company parade
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Volti al femminile
È il 1918 e Hervey Russell è stanca. È stanca di quel marito, Penn, che nella veste di ufficiale dell’Air Force a Canterbury, non vuol saperne di tornare a casa per vivere con la moglie e il figlio con un lavoro normale. In verità i due vivono due realtà e due esistenze separate, una separazione della quale alcuno sembra davvero soffrire. Hervey è satura di aspettare. È satura di dover fare i conti ogni giorno con quel denaro mai sufficiente, è stanca di fare la casalinga e madre a tempo pieno, la sua personalità ha mille sfaccettature e ha bisogno di uscire, di trovare realizzazione. Ecco perché decide di lasciare il figlio Richard ad una balia e di lasciare lo Yorkshire per cercare fortuna a Londra. Riesce a diventare assistente di copywriter in un’agenzia pubblicitaria dove il suo capo, David Renn, vede in lei molte potenzialità. Deve imparare, Hervey, ma non si butta giù e tra la ricerca di uno slogan e l’altro esce dall’ufficio con la speranza di poter incontrare i due amici storici Philip, più idealista, e T.S., dalla mente scientifica; amici conosciuti prima della guerra ed entrambi ex soldati tornati da questa con ferite e perdite indelebili. Al tutto si somma il rapporto già in crisi con Penn, i reciproci tradimenti che li vedono protagonisti nonché molteplici riflessioni sul tempo che passa, sugli strascichi di perdite di vite umane e di prospettive, di un nuovo cammino che va delineandosi, di nuove prospettive lavorative.
«Ancora non sapeva che la gabbia erano i suoi pensieri e il suo stesso corpo. All’improvviso balzò in piedi e iniziò a picchiettare con le mani sul davanzale»
Ma una volta terminata, cosa resta? Come può il mondo andare avanti quando qualcosa è cambiato, quando tutti coloro che sono stati sfiorati dal conflitto sono rimasti indelebilmente segnati da quel che hanno vissuto e che ancora – e per sempre – sentono dentro?
Un racconto interessante è “Company parade”, un racconto sull’emancipazione femminile, un racconto sull’amore in tutte le sue declinazioni (dal figlio, all’amante passando per l’amicizia e l’amore per la libertà), un racconto sulla vita, un racconto sulla nuova epoca che va delineandosi. Un racconto che rispecchia molto l’autrice e le sue stesse scelte di vita. Un racconto talvolta, proprio per queste ultime, risulta un poco confusionario, un poco lento.
Dal punto di vista stilistico la prosa è lineare, la penna talvolta un po’ prolissa. Adatto a chi ama il genere.
«E riuscirà a farlo soltanto quando crederà in ciò che scrive.»
Indicazioni utili
Diario al femminile
“....Dicembre 1918, subito dopo l’ armistizio una giovane donna giunge a Londra. E’ inesperta, povera, ambiziosa e sfiduciata, questa è la sua storia “...
Hervey Russell viene dalloYorkshire, è un’ aspirante scrittrice che si guadagna da vivere come autrice per la pubblicità, ha lasciato Richard, l’amato figlio di tre anni, ed il marito Penn, ufficiale di terra della Air Force, ancora arruolato dopo la fine del conflitto, per realizzare i propri sogni.
Londra è un cumulo rumoroso di macerie, sicuramente non un luogo di gioia, ma in procinto di rinascere.
Hervey, posseduta dal demone di ambizione ed energia, non prende le persone sul serio, vivrà in un mondo culturalmente effervescente, tra riviste letterarie, case editrici, giornalisti, scrittori, critici, imprenditori che scruta con occhi instancabili, ma ancora non sa di essere ingabbiata dai suoi giovani pensieri e dal suo stesso corpo e che non tornerà indietro.
È troppo insoddisfatta e sopraffatta da un desiderio di ricchezza che dia al figlio Richard una esistenza agiata, presto capirà che il mondo circostante è prevalentemente maschile e maschilista, di quanto il suo lavoro e’ inutile, il suo primo romanzo un fallimento e la voglia di tornare a casa grande.
Nessuno la conosce ne’ Hervey si trova a suo agio con gli altri, spesso, sola, pensa a Richard ed a Penn, un uomo indecente, superficiale e senza un vero senso della famiglia. Lo fa con impazienza e tenerezza, come si pensa ...” a qualcuno che non dovrebbe piacerci ma a cui non possiamo smettere di volere bene “....
Ma chi è realmente Hervey, un’ eroina ondivaga, brillantemente scriteriata, una romantica anticipatrice dei tempi, una femminista renitente, una giovane sognatrice o semplicemente un’egoista?
Di sicuro possiede una metà appassionata, avventata, avida di esperienze, inaffidabile, trasgressiva, cinica, perspicace, forse la più autentica, ed un’altra metà da giovane avveduta e tradizionalista, che la osserva, la tiene a bada e fa quel che può per guadagnare soldi e conquistarsi una vita stabile.
È una donna che ha lasciato casa, marito e figlio, con un amante che non ha voluto sposare, un americano violento ed incivile, incolto e complicato, Hervey detesta la letteratura d’ evasione ma scrive slogan pubblicitari e darebbe qualsiasi cosa per fare uscire il marito dalla propria vita. Sfortunatamente sono troppe le cose irrisolte e non ha la forza di lasciarlo, lui incarna la sua prima giovinezza, è legato a lei da tutte le emozioni di quel periodo, mentre il solo pensiero della solitudine la impaurisce enormemente.
In lei vive un altro pezzo di storia, l’ immenso amore per una madre tuttora epicentro della sua vita in cui annegano amarezza e sofferenza mentre il fantasma della nonna Mary Hervey continua a volteggiare sulla propria inadeguatezza, una donna solida e concreta che aveva fatto i soldi con i cantieri navali.
Nella sua memoria prevale uno stato di quiete, sempre in bilico tra sconcerto, delusione e menzogna, in un’ agonia mentale che crede più facile da sopportare di quella fisica.
Gli anni scorrono, la nuova era si accompagnerà alla irragionevolezza, alimentata dalla violenza e spazzerà via le persone ragionevoli.
Hervey scriverà il suo terzo romanzo, assaporerà un certo successo, pur non stimandosi come scrittrice, e dopo tre anni ritornerà nel luogo natio.
Li’, pur sentendosi sepolta viva, ignara di tutto, comunque ritornerà, richiamatavi da un che di imprecisato.
Nel frattempo, continuando a ripetersi che farà fortuna, scopre che il suo cuore è ancora in trepida attesa, ma di cosa esattamente?....
Primo capitolo della “ Trilogia “ Lo specchio nel buio “ della scrittrice e giornalista inglese Margaret Storm James, “ Company Parade “ ( 1934 ) è considerato un manifesto del femminismo in un’ epoca di radicali mutamenti dopo la prima guerra mondiale.
L’ autrice tratteggia un mondo politico, sociale, antropologico e culturale visto con gli occhi di una giovane donna ambiziosa ed insoddisfatta, recalcitrante agli stereotipi in uso, che lotta per diritti da conquistare e sviscera desideri sedati, in primis il conseguimento di una certa libertà identitaria e di genere.
Alcune scelte di Hervey paiono confuse, discutibili e contraddittorie ( l ‘allontanamento dall’ amato Richard, il tira e molla inconcludente ed impropriamente giustificato con Penn ), forse dettate dalla giovane età, dal desiderio di essere, dal ruolo-simbolo che ha nel racconto.
Come in Rebecca West il mondo femminile descrittovi, partendo dal privato tenta di ricostruire un’ epoca di cambiamenti, riuscendovi solo in parte, e ritengo la profondità e vivacità intellettiva dei personaggi della West decisamente più intrigante, insuperabilmente musicale, come la prosa, qui, per il momento, siamo fermi a linearità ( in taluni personaggi ) e ad una certa confusione di pensieri ed accadimenti, in grado di suscitare un gradevole assenso ma nessun moto di particolare sorpresa ed ammirazione.