Come un fiore ribelle
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Un bel romanzo ottocentesco
Di Jamie Ford, autore americano di origine cinese, avevo già letto “Il gusto proibito dello zenzero”. Ne ero stato affascinato perché sembrava una testimonianza storica e per la forza quasi ingenua dei sentimenti narrati. Una storia d’amore romantica nata tra i banchi di scuola tra un cinese e una giapponese trovava mille ostacoli, tra cui il pregiudizio dei cinesi contro i nipponici e la diffidenza degli americani contro i concittadini provenienti da un paese nemico, che li portò a separarli dalla vita civile e a rinchiuderli in campi di concentramento. Un modo nuovo, insomma di vedere il pregiudizio e i suoi danni, ma anche la storia della seconda guerra mondiale dal punto di vista degli statunitensi di origine asiatica. Quindi, la storia d’amore tra i due ragazzi risultava particolarmente intrigante su questo sfondo storico.
Questo nuovo romanzo, apparso nel 2013 sia in lingua originale sia in traduzione italiana (a testimonianza della notorietà dell’autore e del successo ottenuto con il suo primo romanzo), pur riprendendo alcune caratteristiche del precedente (una vicenda lunga e complessa che si snoda nell’arco di un decennio, a cavallo tra il 1921 e il 1934 e l’ambiente, la Cinatown di Seattle), sembra più vicino allo spirito del romanzo d’appendice dell’Ottocento, sia per la vicenda narrata, sia per l’ambientazione (un orfanotrofio e i bassifondi di Seattle), sia per i “buoni sentimenti” di cui è intessuta. La storia è comunque avvincente, la tematica della violenza sulle donne è più che mai attuale, come anche quella della crisi economica che sconvolse gli Stati Uniti dopo il ’29, ma c’è anche una componente che vorrei definire dickensiana o giù di lì.
Il protagonista, William, che vive da cinque anni in un orfanotrofio (non rischiava di essere adottato, in quanto cinese), all’età di dodici anni scopre che sua madre non è morta, anzi, è diventata un’attrice cinematografica. Perciò decide di fuggire dall’Istituto insieme alla sua migliore amica, una ragazza cieca, per potersi ricongiungere alla madre. La fuga dura molto poco e i due fuggiaschi vengono ripresi e riportati nell’istituto, malgrado Willie abbia potuto rivedere – sia pur per poco - la mamma.
Nei capitoli successivi si alternano i capitoli dedicati al passato (gli anni Venti) con quelli dedicati al presente narrativo, ovvero al 1934. Si rievocano le vicende sfortunate di Liu Song, finita, dopo la morte di entrambi i genitori, nelle grinfie del patrigno, lo zio Leo, e della sua prima moglie (arrivata dalla Cina). Dopo essere stata violentata dal primo e schiavizzata dalla seconda, riesce a liberarsi di loro spaventandoli di notte con la maschera di scena della madre. Ben presto si accorge però di essere incinta e, pur tra mille difficoltà, tra cui l’angoscia di far nascere il figlio del suo violentatore, decide di tenerlo con sé, per ricostruire con lui un suo mondo di affetti familiari. Le successive complicate vicende la costringeranno poi a lasciare il figlio all’orfanotrofio e a dimenticarsi di lui, per cercare di conseguire il successo nel mondo del cinema.
Anche la storia di William si arricchisce di diverse disavventure, tra cui il suicidio della propria amica (ha preferito il suicidio al ritorno a casa con un padre violentatore), ma, come tutti i romanzi ottocenteschi, anche qui è in attesa il lieto fine.
Insomma, la vicenda è intrigante e anche avvincente; ma forse un po’ troppo ottocentesca.