Come le mosche d'autunno
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NOSTALGIA CANAGLIA
Un piccolo gioiello, oscurato da titoli più famosi, in primis da “Suite francese”, che, secondo il mio modestissimo parere, non è la sua opera più riuscita. Nella ricchissima bibliografia della Némirovsky, fortunatamente scampata al silenzio dopo la Shoah e pubblicata dalla figlia, ci sono tematiche ricorrenti e, se si leggono di seguito le opere più famose quali “Il vino della solitudine”, “Il ballo”, “ La nemica”, “David Golder” , si corre il rischio di imbattersi in un percorso letterario immaginifico monotono con giudizio errato sulla qualità letteraria della Némirovsky.
Nel racconto “Come le mosche d’autunno “ ho trovato una ventata d’aria nuova, inedita: tematiche diverse, punte di lirismo descrittivo, una dolce malinconia, nuova, se penso alle opere lette sopracitate. È nei racconti che l’autrice dà il meglio di sé, liberandosi da quella ‘scrittura come terapia’ che campeggia nei titoli principali, quell’acredine verso la famiglia di origine, per aprirsi a nuovi motivi narrativi.
In questo racconto l’autrice narra della fedelissima, anziana balia della famiglia Karin, Tat’jana Ivanovna che era in servizio da loro
“ da cinquantun anni. Era stata la balia di Nikolaj Aleksandrovi?, il padre di Jurij, e dopo di lui aveva tirato su i suoi fratelli e le sue sorelle, poi i suoi figli... Si ricordava ancora di Aleksandr Kirillovi?, ucciso durante la guerra di Turchia nel 1877, trentanove anni prima... E adesso toccava ai ragazzi, a Kirill e Jurij, partire anche loro per la guerra...”.
Questa balia è dunque la memoria storica della famiglia, della casa e dei luoghi dove è stata felice, amata e benvoluta dai padroni.
Ai tempi della storia suo marito, i suoi figli, sono già morti da tanto tempo, al punto da faticare anche a ricordarne le sembianze. La narrazione comincia con la famiglia Karin che, sorpresa dalla Rivoluzione di ottobre, è costretta a fuggire verso la Francia. Con l’arrivo della guerra il piccolo cosmo di Tat’jana, fatto di devozione profonda, di cure amorevoli, di rituali che si ripetono nel tempo, come i rigidi inverni russi, viene sconvolto.
Nel corso del lungo viaggio, l’anziana nutrice vede i componenti della famiglia Karin sbattere di qua e di là tra le pareti della casa come insetti in autunno:
“Fin dal mattino venivano chiuse imposte e finestre, e in quelle quattro stanzette buie i Karin vivacchiavano fino a sera, senza uscire, sconcertati dai rumori di Parigi, respirando con fastidio il tanfo degli scarichi e delle cucine che saliva dal cortile. Camminavano avanti e indietro da una parete all’altra, in silenzio, come le mosche d’autunno, allorché, passati il caldo e la luce dell’estate, svolazzano a fatica, esauste e irritate, sbattendo contro i vetri e trascinando le ali senza vita”.
Autunno: stagione della malinconia per eccellenza, con la sua “estate fredda” per dirla con Pascoli, con quel suo senso di stordimento dopo la calura estiva, che esercita il suo effetto subdolo sulle mosche, che sembrano impazzite, sbandate come i personaggi della storia, e sbattono le loro ali contro i vetri delle finestre.
La storia mi ha colpito per la devozione commovente della nutrice, che reca cuciti nell’orlo della veste i diamanti e i preziosi da portare ai suoi padroni, che protegge come se fossero suoi. Che guarda con nostalgia e amore i ritratti dei giovanotti di casa come se fossero figli suoi, suoi nipoti. Che ascolta le storie antiche che le pareti di casa sembrano narrarle.
È la storia di una donna anziana che si tiene in piedi grazie al desiderio di servire e alla speranza di poter accudire anche i futuri figli e nipotini dei padroni. In terra straniera con gli occhi cerca la neve, quelle belle e terribili nevicate russe che avevano rappresentato nella sua vita la sicurezza della consuetudine.
Ma a Karinovka, nuova residenza lungo il percorso che dovrebbe portare i Karin in Francia, l’autunno sembra una stagione perenne.
“Era cominciato in autunno, quando le giornate diventavano sempre più corte, e in casa si aspettava ad accendere la luce per non consumare troppa elettricità. Lei spolverava e scuoteva di continuo le stoffe degli arredi; la polvere si sollevava, ma poi ricadeva subito altrove, come cenere lieve.”
Anche l’immagine della polvere che ricade come cenere lieve é di una potenza poetica notevole, un richiamo alla morte, un correlativo oggettivo, direi, come altre immagini che vi invito a scoprire.
Breve racconto di una nostalgia che diventa quasi agonia, tanto che anche al lettore viene da dire insieme a Tat’jana:
“Com’è lungo l’autunno qui, a Karinovka…”
Se amate Cechov, questo è il libro che più si avvicina al grande russo, nume tutelare della Némirovsky.
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Il rimpianto
E’ indubbio che nei romanzi si ritrova anche l’esperienza maturata dall’autore, un po’ della sua vita e in Irene Némirovsky ciò è particolarmente accentuato, esule come aveva dovuto essere e inevitabilmente con una sorta di rimpianto per il paese natio. In questo senso la figura della protagonista di Come le mosche d'autunno, la vecchia njanja Tat’jana Ivanovna, governante di casa Karin, riassume, per quanto spinta all’eccesso, quell’innata nostalgia che doveva aver provato la narratrice russa. In quella casa si ha l’impressione che ci sia sempre stata e il rapporto di lavoro, poco a poco, ha assunto caratteristiche diverse, si è radicato in Tat’jana un affetto per quella famiglia non sua perfino superiore a quello che avrebbe provato se lei stessa ne fosse stata membro dalla nascita. I vecchi padroni, i signorini, insomma i padroni per lei non sono tali, sono quasi dei padri, dei fratelli. Un tempo lì la vita era trascorsa tranquilla, ma poi, con l’avvento del nuovo secolo, si era manifestata in Russia un’agitazione per molti incomprensibile e, fra rivendicazioni di una maggior libertà, si era arrivati allo scoppio della prima guerra mondiale e infine alla rivoluzione, alla fuga dal paese dei nobili e dei ricchi. Questa era stata la sorte della famiglia Karin, esule in Francia, a Parigi, sempre presente la governante Tat’jana. Ambientarsi a una nuova vita non è sempre facile e se ciò non risulta difficile per i giovani rampolli, che non hanno fatto in tempo a fossilizzarsi in un’esistenza sul suolo russo e avendo davanti a sé molti anni per abbracciare un nuovo corso, per i genitori, più anziani, è un vero problema e dapprima trascorrono il tempo camminando da una parete all’altra del loro appartamento, come le mosche in autunno, e infine riescono a dare una svolta, perché l’istinto di sopravvivenza è nei più duro a morire. Non sarà così per Tat’jana, legata visceralmente ai propri ricordi, alla neve che in quella città le manca tanto.
Come le mosche d’autunno, più che un romanzo breve, mi pare un racconto lungo, intenso, drammatico, venato da una dolente nota di malinconia, permeato dal rimpianto per ciò che fu e che poi non sarà più. Le pagine scorrono veloci, avvincono il lettore, l’analisi dei personaggi è approfondita, ma lo stile snello non appesantisce, è in grado di fornire una serie di quadri che restano scolpiti nella mente come memorie non nostre, ma fatte nostre.
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Affetto e malinconia
E'il terzo e finora il libro più bello che ho letto di questa bravissima scrittrice.
E'piccolino, ma molto emozionante e toccante.
La protagonista è Tat'jana Ivanovna, un'anziana nutrice, che da più di cinquant'anni si è occupata della casa e della famiglia Karin a cui rimane profondamente legata per tutta la vita.
E'il periodo della Prima Guerra Mondiale, e quando i figli più grandi partono per il fronte e l'intera famiglia si trasferisce, Tat'jana Ivanovna resta a custodire la casa e solo in seguito raggiungerà i Karin per poterli aiutare.
Dopo continui trasferimenti, si stabiliscono in Francia, ormai poveri, sconsolati e intorpidi dalle disgrazie della vita, comportandosi come le mosche d'autunno del titolo.
Mentre loro vogliono dimenticare, soltanto la vecchia nutrice prova nostalgia nei confronti del passato, dell'amata Russia con la sua neve e il suo freddo.
A differenza degli altri libri di Irene Nemirovsky che ho letto, questo mi ha appassionata di più e qui ho trovato più sentimento che in ogni altro, tant'è che mi veniva da piangere per l'intensità e la malinconia dei pensieri della dolce Tat'jana Ivanovna, spesso chiedendomi se le sue scelte dipendessero dall'ostinazione, dall'affetto oppure dalla rassegnazione.
Tuttavia sento sempre che manca qualcosa nelle opere della Nemirovsky, o meglio, c'è qualcosa scritto volontariamente con uno scopo preciso per suscitare una determinata azione nel lettore, ma che io vorrei che non ci fosse. Cioè la freddezza e la tristezza di alcuni rapporti esistenti fra i vari personaggi, che mi crea un vuoto nel cuore, una voglia di aggiungere ad un mosaico il tassello che manca.
A parte ciò, però, è proprio uno dei suoi libri più belli e lo consiglio sia a chi ama questa scrittrice, sia per iniziare a entrare nella sua fantasia/realtà letteraria.
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Irene Nemirovsky
Un breve romanzo che si legge in meno di un'ora e che regala il piacere della letteratura russa dei primi del Novecento. Le mosche d'autunno che danno il titolo al romanzo sono i membri di una famiglia caduta in disgrazia a causa della rivoluzione russa. Un interessante riflessione anche sugli effetti della lontananza dal luogo in cui si è vissuti per tanto tempo.
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Letteratura
Lo stile narrativo è privo di fronzoli e ci regala un sofferto spaccato di storia, quella dei russi messi in fuga dalla Rivoluzione Bolscevica. Protagonista è la vecchia nutrice Tat'jana Ivanovna e l'amore incondizionato che nutre per la famiglia Karin. Un piccolo capolavoro letterario da leggere assaporandone le pagine. Buona lettura:)
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Formidabile
La rivoluzione vista dai profughi. Esemplare racconto della russa, non sovietica, autrice raffinata e quindi apparentemente un poco cinica. Prosa sorvegliata che sta alla pari qui con quella dei racconti della bravissima Nina Berberova che ebbe molto più tempo di vivere per scrivere quel capolavoro de Il Corsivo è mio... Formidabile il finale nel quale la 'vecchia serva' entra nella morte con gli occhi aperti. Come voleva la Margherita Yourcenar per il 'suo Adriano'. Da leggere.
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Come le mosche d'autunno
Storia ambientata nella rivoluzione bolscevica. La storia si articola in un unico filone, senza particolari intrecci. I capitoli si susseguono con grandi intervalli di tempo e, come delle fotografie, ci mostrano con l'andare della storia varie situazioni di vita quotidiana che, nella loro brevità ci fanno capire i pensieri e lo stato d'animo. La trama è difatti incentrata sulla situazione interiore dei protagonisti, più che sulla loro condizione di vita.
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Capolavoro
Un vero e proprio capolavoro. In poche pagine un condensato della migliore letteratura russa. La Némirovsky è una scrittrice imperdibile, una delle migliori scoperte degli ultimi anni.