Come il vento tra i mandorli
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Michelle Cohen Corasanti ha una laurea in Studi sul Medio Oriente conseguita presso l’Università ebraica di Gerusalemme e un master a Harvard. Inoltre, è avvocato specializzato in diritto internazionale e in diritti civili. Ebrea americana, ha vissuto per sette anni in Israele, poi in Francia, Spagna, Egitto e Inghilterra, e attualmente abita a New York con la sua famiglia. Ha fondato The almond tree project, un’associazione che promuove il dialogo tra israeliani e palestinesi tramite letteratura, musica e teatro. Con Feltrinelli ha pubblicato Come il vento tra i mandorli (2014).
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The almond tree
Il romanzo è uscito in Italia con il titolo di ‘Come il vento tra i mandorli’, il che tradisce un po’ le premesse da cui è nato: ‘The almond tree’ è anche un’associazione che lavora alla pace fra arabi e israeliani fondata dall’autrice, avvocato statunitense di origine ebraica che si è votata alla causa dopo una lunga permanenza in Israele. Il libro rappresenta il suo esordio letterario e, al netto di alcuni difetti e di qualche necessità di limatura, è una buona storia che, pur raccontata in modo lineare, è capace spesso di emozionare sforzandosi nel frattempo di portare al centro la questione palestinese . Per farlo, ecco allora l’immaginaria autobiografia – che somma romanzo di formazione e classica ‘success story’ a stelle e strisce - di Ichmad, ragazzino arabo dal precoce talento matematico che, malgrado le difficoltà, riesce a sfruttare le sue doti per arrivare ai vertici mondiali della fisica. Il desiderio di far passare il racconto per i momenti cruciali in Medio Oriente negli ultimi sessant’anni costringe il povero Ichmad a passare attraverso una serie impressionante di sfighe (fratelli che cadono come mosche, padre imprigionato per decenni, lavori manuali malpagati, amori della sua vita che svaniscono improvvisi), ma contro simili avversità egli rimane forte magari nascondendosi dietro le sue elucubrazioni matematiche e, comunque, avendo la capacità di annodare un rapporto duraturo con un vecchio nemico. In tutto questo, il protagonista finisce per dare l’impressione di un certo egoismo, visto che fa tutto per sè e per la propria famiglia d’origine, ma tralasciando il suo popolo, come gli rinfaccia puntualmente il fratello Abbas. Questo suo essere una figura contraddittoria (si veda anche come il giovane ‘illuminato’ tratta la moglie Yasmina) è però un pregio in un romanzo in cui le figure troppo caratterizzate non sono poche: il padre è una specie di santo, la madre una cocciuta tradizionalista, il fratello ovviamente arrabbiato e gli Israeliani, specie quelli in divisa, dei trucidi figuri che forse era meglio la Gestapo. Come già accennato, tutto questo si svolge sullo sfondo della difficile situazione degli arabi di Palestina che l’autrice si sforza di mettere in evidenza specie a beneficio del distratto Occidente, ben sapendo che un romanzo può più di cento saggi, con la speranza che l’amicizia, nata dalla reciproca conoscenza, tra Ichmad e Menachem (che di cognome fa Sharon, tanto per esser chiari) possa servire in qualche modo da esempio. Ciò non toglie che, talvolta, la raffigurazione di quel tormentato angolo di mondo assomigli alla visita che un realizzato Ichmad – ormai ricco cittadino statunitense – fa a Gaza strozzata dalle imposizioni isreaeliane (e dal Muro): anche se le scene dell’occupazione violenta non mancano, la sensazione di un certo paternalismo non è evitabile e risulta particolarmente evidente nel confronto tra il Palestinese buono (Ichmad) e quello cattivo (Abbas).
N.B.: Ho ricevuto una copia gratuita di questo libro come Anteprima Omaggio su Goodreads.
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La giustizia e il sogno
Questo è un libro che parla di israeliani e di palestinesi, fin dall'alba del loro dolore. Ne parla un'israeliana dalla parte della pace, che in quanto a rinunce non porta meno dolore della guerra. Il protagonista è un bambino palestinese che, a causa della violenza dei soldati che obbediscono alla politica del governo e della rabbia dei terroristi che sono stati anche suoi amici, perde tutto quello che può perdere un essere umano: l'agiatezza, la possiblità di studiare, due sorelline uccise e un fratello che si abbandona alla vendetta, il padre condannato innocente, la casa. In questo niente che ha, aleggia l'insegnamento del padre ("non si può vivere di rabbia") e così Ichmad si assume la responsabilità di capofamiglia a dodici anni, lavora anzi che studiare, raccoglie e guida la madre e i fratelli più piccoli attorno all'albero di mandorlo che da posto di vedetta è diventato casa presso cui sdraiarsi al coprifuoco. La ricerca tenace della pace parte da qui, da questo apparente nulla. E si nutre del talento e dei sogni di questo ragazzino, che riesce a insegnarci la vita anche dove la vita sembra non potersi più vivere. Il libro è scritto in uno stile giornalistico che non lascia spazio a sentimentalismi e raggiunge sicuramente lo scopo di far riflettere sugli anni che hanno cambiato il corso della storia nel mediterraneo. Più in generale, su come si possa non farsi snaturare dalla violenza se si cede all'amore per la propria gente e, in ultima analisi, per se stessi.