Cinque stagioni
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Molcho ovvero... l'elaborazione del lutto
In questo caldissimo agosto torno al mio amato scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua. Questa volta ho letto il terzo romanzo della Trilogia di amore e di guerra, che comprende anche il celebre “L’amante” e “Un divorzio tardivo”.
Molcho è un cinquantenne un po’ sovrappeso, un impiegato del Ministero degli Interni con tre figli ormai grandi. A Molcho è appena morta la moglie dopo una estenuante e penosa malattia durata sette anni. La loro non era una storia d’amore alla Romeo e Giulietta; erano piuttosto compagni di vita, avevano una famiglia, dei figli e un progetto esistenziale da compiere insieme. Era infatti la moglie, nella coppia, quella più colta, l’intellettuale, l’amante della musica, quella più inflessibile, più rigorosa. Era lei a trainare Molcho, a guidarlo per i percorsi della vita. Poi c’è stata la malattia, lunga, dolorosa e terribile e durante la malattia è stato Molcho a guidare la coppia, a prendersi cura fino all’estremo di quella moglie così necessaria. E adesso è arrivata la morte di lei (siamo proprio all’inizio del romanzo) e davanti a Molcho si apre una prospettiva di apperente libertà, in realtà inizia per lui un momento molto delicato, sospeso fra il desiderio di tornare alla vita e il dolore per la perdita della moglie.
« Subito fu come succhiato dentro, come se la morte che aveva lasciato dietro a sé in autunno gli fosse corsa avanti a precederlo qui, in questo sperduto angolo di Galilea, come un cane crudele che avesse morso a sangue qualcuno e ora se ne stava accovacciato e stanco sotto la tavola, sonnecchiando.»
Molcho non è un eroe tragico, è solo un uomo come tanti, è solo un uomo che ha perso una parte importantissima della sua vita e reagisce come può, cerca di trovare un nuovo equilibrio, cerca di non farsi risucchiare dalla morte ma di risvegliarsi alla vita, e lo fa, a volte, anche in modo ridicolo o assurdo.
Si tratta di un romanzo da leggere con calma, gustandone la particolare intensità. Yehoshua sembra dirci, con le sue storie così affondate nella quotidianità da sembrare strane, che siamo tutti sulla stessa barca, in fondo. La vita è già di per sé una difficile missione. Non giudicate gli altri, ma cercate di comprenderli.
« - Uri,- balbettò, succhiando di nuovo una sigaretta, -Uri cerca una missione, un significato, non cerca solo di sapere quanto piacere si può ottenere e quanto male si deve evitare-. Molcho chiese: -Quale missione? – Beh, è proprio il fatto di cercare continuamente, proprio questo. –Sì, lo so, - disse Molcho in tono un po’ ironico, -questo ce lo diceva quando eravamo ragazzi, trenta e più anni fa, me lo ricordo, ma cosa ha trovato, da allora?- Lei cercò di spiegare: - Non è un’Idea che si possa trovare, ma qualcosa che si deve vivere. –Però, la vita stessa non è già in sé una missione?- chiese lui; -il fatto di vivere semplicemente la propria vita, e non fallire, non cadere e non morire per strada, ma tenere sempre duro, tutto questo non è già di per sé una cosa pregna di significato?- »