Ci vediamo per un caffè
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Un addio sottotono
Quarto volume nella serie antologica che ha reso celebre il caro Toshikazu, "Ci vediamo per un caffè" rappresenta per me l'ultimo capitolo in questa narrazione; non perché mi abbia deluso enormemente, ma per la concomitanza tra delle storie troppo simili tra loro per accendere la mia curiosità ed un'edizione italiana sempre più pigra ad ogni nuova pubblicazione: ormai non si accontentano di mentire spudoratamente nelle sinossi, ma piazzano anche un bel refuso nella prima pagina del libro! Quindi, pur sapendo che la serie sta ancora continuando con successo in Patria, preferisco fermarmi qui; ma prima di scrivere la parola fine, andiamo a vedere cosa ci riserva questa quarta raccolta.
Le vicende ambientate nel presente si collocano un anno dopo rispetto a "Finché il caffè è caldo", andando quindi ad anticipare quanto già raccontato nei due seguiti precedenti. Ci troviamo nuovamente nella filiale di Tokyo, con Nagare e Kazu Tokita dietro al bancone della caffetteria in cui è possibile viaggiare nel tempo, seguendo un decalogo di regole a dir poco restrittivo. Come sempre sono presenti quattro novelle, tra le quali la prima ha la funzione aggiuntiva di illustrare il contesto; di volta in volta, nuovi avventori giungono come al termine di un pellegrinaggio, con la speranza di poter risolvere problemi emotivi e sentimentali incontrando qualcuno nel passato.
Andiamo subito a vedere i -purtroppo pochi- punti a favore di questo volume. Innanzitutto, se cercate solo una nuova raccolta con le stesse vibes e gli stessi buoni sentimenti, potrete apprezzarla al pari delle tre precedenti; inoltre, se la trasferta passata/futura ad Hakodate non vi ha fatto impazzire, sarete sicuramente felici di ritrovare l'ambiente familiare della filiale di Tokyo. Per quanto mi riguarda, questi aspetti non mi interessano più di tanto, però ho trovato molto valida la storia di Sunao Hikita: un racconto diverso da tutti gli altri per idea e risoluzione. Non è affatto male neanche la novella che vede come protagonisti la studentessa universitaria Michiko Kijimoto e suo padre Kengo; forse un filino pedante, ma con una valida contestualizzazione ed una svolta finale non scontata.
Potrete forse indovinare che le altre due storie non mi siano troppo piaciute. In realtà, il racconto su Hikari Ishimori e la proposta di matrimonio ha il solo difetto di essere troppo zuccherosa da mandar giù; per contro quello di apertura su Monji Kadokura non l'ho per nulla apprezzato, perché concede uno spazio eccessivo al riepilogo delle varie regole ed arriva troppo rapidamente ad una conclusione a malapena abbozzata.
Ritornano poi l'infelice particolarità dei dialoghi, nei quali è sempre ostico capire l'intonazione, e le fin troppo frequenti ripetizioni: se alla pagina X mi hai presentato Tizio identificandolo come il padre di Caio, non è necessario ribadire questa parentela alla pagina X+1! Rispetto agli altri capitoli, credo che ad avermi tanto deluso sia stata la scelta di non sviluppare ulteriormente la storia della famiglia Tokita e non inserire alcun nuovo elemento relativo ai viaggi nel tempo. Peccato, perché questi erano proprio gli aspetti per i quali avevo continuato a leggere la serie, pur trovandola un po' ridondante. In buona sostanza, avrei forse fatto meglio a fermarmi già al terzo libro.
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Un tuffo nel passato.
Toshikazu Kawaguchi, dopo aver pubblicato, con successo , i libri intitolati Finchè il caffè è caldo, Basta un caffè per essere felici, Primo caffè della giornata; torna in libreria con Ci vediamo per un caffè; un libro di grande interesse e ricco di emozioni.
Il romanzo racconta, con un linguaggio scorrevole ma preciso, quattro storie particolari ed uniche nel suo genere. Il luogo in cui queste si svolgono è già di per sé degno di nota: in una caffetteria situata in un luogo sperduto tra le montagne del Giappone. Il luogo, però, risulta facile da individuare dal profumo intenso di caffè. Cosa accade in esso?
“C’è una curiosa leggenda metropolitana su una sedia della caffetteria di una certa città. a quanto pare, se ti siedi su quella sedia, ti porta indietro nel tempo in qualunque momento desideri. Ma le regole sono estremamente irritanti e una terribile seccatura:
1. Le uniche persone che si possono incontrare nel passato sono quelle entrate nella caffetteria.
2. Qualunque cosa si faccia quando si è nel passato, non si può cambiare il presente.
3. Un cliente è seduto sulla sedia che riporta nel passato; questo significa che bisogna aspettare finchè non si alza.
4. Quando si arriva a destinazione, non bisogna alzarsi dalla sedia.
5. Il viaggio comincia quando il caffè viene versato nella tazza e dura finchè il caffè è caldo.
Dunque, in questo posto si mutua il destino di cose e persone? Non proprio, perché:
“non si può cambiare il presente, ma si può tornare nel passato.”
Così il professor Kadokura che ha sempre trascurato gli affetti lì potrà rivedere la sua adorata moglie; i coniugi Sunao e Mutsuo rivedranno il loro amato cane; Hikari il suo promesso sposo e Michiko, il padre amato ma non compreso. Quattro storie differenti, ma accomunati da una magia che intesse tutto il romanzo.
Un salto all’indietro per cercare di ovviare ad errori commessi. Un romanzo che si divora per le abili storie umane descritte e non solo. All’insegna del motto,secondo cui:
“La vita è un viaggio, dove la felicità può sempre tornare!”.
Dunque vicende sentimentali importanti, un po’ malinconiche, ma certamente forti e coraggiose nel proprio vissuto. Una lettura “adorabile”.
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Uno speciale caffè per tornare al passato.
“Ci vediamo per un caffè” è il quarto romanzo di una saga di Toshikazu Kawaguchi, scrittore e sceneggiatore giapponese, ambientato, come gli altri, in una caffetteria singolare, con gli stessi personaggi: è un luogo leggendario, dove accadono cose strane e dove addirittura si può tornare al passato. Ci sono però alcune regole: le più importanti sono che, qualsiasi cosa succeda nel passato, non si può cambiare il presente e che il viaggio a ritroso dura finché un particolare caffè servito al tavolino rimane caldo. Ma le stranezze non sono solo queste: bisogna sedersi su una particolare sedia appena questa si libera, essendo costantemente occupata da una figura femminile biancovestita (un fantasma?) che sfoglia un libro. Queste le premesse alle quattro storie narrate: nonostante le regole siano ”estremamente irritanti”, come le definisce l’autore, ci sono persone che decidono di visitare la caffetteria per rivivere il loro passato e porre rimedio a comportamenti che hanno segnato profondamente la loro vita.
Le storie sono esemplari e commoventi: la vicenda di un marito, sempre occupato dal lavoro e da continui viaggi, che trascura la moglie, in coma vegetativo a seguito di un incidente, la padrona di un cane che non riesce ad essere presente alla morte del suo adorato animale, la ragazza che non sa decidersi di fronte ad una proposta di matrimonio, la figlia che non sa corrispondere all’affetto del padre.
Sono trattate tematiche universali, affetti non corrisposti, rimpianti per ciò che poteva essere e non è stato. Si riscoprono affetti perduti, ci si riconcilia con persone che ormai non ci sono più, si tenta di giustificare un percorso di vita sbagliato anche se, purtroppo, il presente non può essere mutato. A volte basta una sola frase, come quella del quarto episodio, quando Michico, la figlia ribelle, sta per esaurire il tempo concessole nel passato e, asciugandosi le lacrime, riesce finalmente a sussurrare al padre che sta per lasciarla “… sono felice di essere tua figlia”.
Ritornando al passato, si fanno i conti con la propria coscienza e gli affetti perduti: è una sorta di miracolo che non cambia il presente ma che permette di ripercorrere la propria vita e rimediare a lacerazioni apparentemente insanabili ed a tormenti ai quali si vuole a tutti i costi porre fine.
Tutti avrebbero potuto agire diversamente, ma hanno avuto il coraggio di ritornare al passato e di rievocare l’accaduto sotto altri aspetti per poter vivere il presente serenamente e senza rimorsi: imparare dai propri errori è ciò che conta veramente, sembra ammonirci l’autore. La caffetteria serve a questo: l’idea è originale ed ha rappresentato un fenomeno editoriale di grande successo, sia in Giappone che all’estero, soprattutto in Italia. In fin dei conti possono essere considerate favole per adulti, che accarezzano l’anima e stimolano buoni sentimenti. Gli episodi raccontati sono esemplari e toccano comportamenti della vita di tutti i giorni: sembrano scelti dall’autore con cura, a rappresentare esempi di vita comuni e abbastanza frequenti, vicende che accadono e fanno riflettere, costringendo a rimpianti quando ormai il tempo è scaduto e non è più possibile porre rimedi. La caffetteria speciale è, purtroppo, solo una originale e fantastica invenzione letteraria, che aiuta però ad immaginare un futuro più sereno.
Lo stile è semplice, scorrevole come quello di una bella fiaba: non traspaiono intenti educativi, ma solo il desiderio di stimolare curiosità e riflessioni. Predominante il ricorso al colloquio, abbastanza frequente l’utilizzo di suoni onomatopeici. Allo stile non mi sento di dare un voto superiore a 3, al contenuto invece 5, se non altro per la trovata geniale, mentre assegno 4 alla piacevolezza, anche se nuoce un po’ la ripetitività degli argomenti.
Buona lettura!