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Cent'anni di solitudine

Letteratura straniera

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Da Josè Arcadio ad Aureliano babilonia, Dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquiades finalmente decifrate: "Cent'anni di solitudine" di una grande famiglia i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile, in attesa di un figlio con la coda di porco. Garcia Marquez ha saputo rifondare la realtà e fondare Macondo, il paradigma della solitudine, una situazione mentale e un destino più che un villaggio.



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Cent'anni di solitudine 2022-06-11 13:56:08 saby
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saby Opinione inserita da saby    11 Giugno, 2022
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Realmente Surreale

“Le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”

Nel Caribe colombiano si respira un’atmosfera soprannaturale, un mondo impregnato di tradizioni, creato da leggende e reso magico da accadimenti miracolosi raccontati attraverso la chiaroveggenza.

In Cent’anni di solitudine le vicende di sette generazioni di una famiglia i Buendìa, dal capostipite Jòse Arcadio che fonda il villaggio di Macondo, sua moglie Ursula Iguaràn nonché sua cugina di primo grado, ossessionata dal mettere al mondo un figlio con la coda di maiale, si intrecciano con la storia della Colombia, dal periodo colombiano 1830 alla depressione economica post bandiera 1930.

Gabriel García Márquez riesce magistralmente a raccontare tutti gli aspetti della vera storia della Colombia, creando un’opera d’arte, un quadro variopinto dal folclore dei personaggi con sventurati amori e passioni maledette al limite del grottesco, superstizioni alimentate dall’ignoranza, ma profondamente radicate nella cultura, dove il mondo dei vivi si intreccia con il regno dei morti, in un connubio surreale, la solitudine che si instaura inevitabile in ognuno dei componenti della stirpe, e l’arretratezza che suscita stupore nel scoprire cose nuove come il ghiaccio. Con una prosa intricata molto elaborata e ricca, fa letteralmente cadere in questo mondo grazie anche a quel realismo con un pizzico di fiabesco e stravaganza, anticipando gli eventi senza comportare disturbo, ma ingolosendo il lettore, e la sconfinata immaginazione dell’autore rendono questo romanzo un capolavoro.

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Cent'anni di solitudine 2020-11-08 19:21:18 resme94
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resme94 Opinione inserita da resme94    08 Novembre, 2020
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Buendia

Se non avete mai letto "Cent'anni di solitudine", smettete di leggere questa recensione.
Il libro di Gabriel García Márquez richiede di essere letto senza alcuna anticipazione o aspettativa.
È la storia familiare dei Buendia che attraverso varie generazioni rivela le loro virtù e le loro debolezze.
È anche una storia di tradizione con le sue superstizioni e credenze.
Márquez riporta il lettore ad un epoca lontana che dà la sensazione di essere seduti accanto ad un vecchio che racconta favole.
Quest'atmosfera è incrementata dalla nota di soprannaturale che alleggia attorno tutte le vicende dei Buendia.
In più,  la similitudine dei nomi dei personaggi richiede ulteriore attenzione alla storia.
Infatti, l'edizione che possiedo riporta alla fine l'albero genealogico dei Buendia che mi ha aiutata quando per un giorno non potevo proseguire la lettura.
Questo dettaglio ha infastidito molti lettori e ha portato a molti giudizi negativi.
Personalmente, non ho riscontrato questo "fastidio", perché ho finito in libro in breve tempo e mi ha dato modo di non confondermi facilmente.
Un aspetto che ho particolarmente apprezzato e che ha reso più reali i personaggi, è stata "l'onestà" dello scrittore.
Racconta le loro storie, non per farli piacere al lettore o con una morale, ma semplicemente per ciò che sono, senza fronzoli.
Márquez mi ha definitivamente conquistata e non vedo l'ora di leggere altre sue opere.
Se amate le storie familiari con velo di mistero, questo è il libro adatto a voi.



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Cent'anni di solitudine 2020-09-14 19:01:23 selena penzo
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selena penzo Opinione inserita da selena penzo    14 Settembre, 2020
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"IL TEMPO NON PASSAVA, MA CONTINUAVA A GIRARE INTO

“Non provò né paura, né nostalgia, ma una rabbia viscerale al pensiero che quella morte artificiosa non gli avrebbe permesso di conoscere la fine di tante cose che lasciava incompiute.”
Se dovessi riassumere in una riga il contenuto di questo romanzo direi che è la semplice storia di sette generazioni di una sola famiglia, i Buendia. Ma questa è solo la superficie di un racconto che è stato come un colpo d’aria che mi è arrivato dritto allo stomaco: sono finita per entrare così tanto in sintonia con i personaggi, con le loro vicende e le loro disgrazie, che alla fine della lettura mi sono sentita completamente destabilizzata. Se chiudo gli occhi, riesco ad immaginare il profumo e l’aspetto di Macondo nella semplicità del suo brulicare di abitanti, dello studio del colonnello Aureliano, della bananiera, dei mandorli e delle farfalle gialle di Meme.

Allora, da dove partire per descrivere le emozioni che questa storia ha suscitato in me?
Innanzitutto, il romanzo straborda di personaggi con personalità, caratteristiche e aspirazioni diverse le une dalle altre e il cui unico denominatore comune è la solitudine: la solitudine da cui sembra impossibile scappare e dalla quale non possono nascondersi. Nella visione della vita di Marquez, sembra non esserci via d’uscita dal dolore, dalle sofferenze e dalle disgrazie, se non l’accettazione del destino e l’attesa della morte, che fa scivolare inevitabilmente qualsiasi cosa nell’oblio. Marquez riesce a racchiudere in quest’opera svariati temi, come l’isolamento, la scienza, la magia, i miti, il tempo e la resurrezione adottando uno stile tutto suo. La storia, infatti, è narrata con uno stile elaborato e personale, ricco di prolessi che anticipano drammaticamente gli avvenimenti ancora da narrare. Così, nonostante tu sappia già in che modo si concluderà la vita di ogni singolo personaggio, non sai quali siano le cause e le circostanze che lo guidano a tale destino: perché forse, talvolta, l’importante non è la meta, ma è il viaggio che ti riporta a giungere tale meta.

Devo dire, però, che le sensazioni che mi hanno portato a scriverne un commento, non sono sempre state così, anzi: per le prime cento pagine non riuscivo a cogliere l’importanza e la portata del messaggio che Marquez voleva trasmettere. Non riuscivo a leggere quell’imperscrutabile disegno che solo nell’ultima riga del romanzo mi è sembrato finalmente chiaro, profondo e inaspettato. La storia di questa famiglia così variegata ci viene presentata come un processo ciclico e, come tale, si ripete infinitamente e meccanicamente. Non c’è felicità e possibilità di riscatto per la famiglia Buendia, condannata a girare intorno per l’eternità, in un processo ciclico la cui la sola via d’uscita sembra essere, appunto, la morte.

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Cent'anni di solitudine 2020-03-05 13:34:52 Beatricenevolo
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Beatricenevolo Opinione inserita da Beatricenevolo    05 Marzo, 2020
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IL LABIRINTO

Marquez, per chi probabilmente non è abituato ad uno stile ricco,spesso caratterizzato da lunghi e complessi periodi ,può apparire come una sfida insuperabile. L'esempio portante di ciò è a mio avviso "Cent'anni di solitudine".
Tante sono le vicende narrate che si incrociano tra loro andando a creare molti filoni narrativi che spesso disorientano il lettore,portando coloro che non sono completamenti attratti dall'opera a un bivio:scegliere se continuare la lettura o abbandonare, soccombere alle scelte stilistiche e allo stile narrativo e compositivo dello scrittore che però proprio grazie a quest' opera nel 1967 ha ricevuto il Premio Nobel.
Tanti gli eventi di natura completamente fantastica,ma anche amori osceni,epidemie,guerre,scoperte per portare il progresso a Macondo che fanno dell'opera una delle più ricche e caratteristiche della sua epoca.

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Cent'anni di solitudine 2019-09-27 18:03:22 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    27 Settembre, 2019
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Montagne russe e poi lei: Remedios la Bella

Questo capolavoro, ha tre parti a mio avviso.
La prima, credo la più geniale mai scritta, in cui vi è un turbine di vicende incredibili, uniche, esaltanti con un a infinità di personaggi che sono uno più interessante e caratteristico dell'altro. Insomma in questa prima parte del romanzo, si toccano vette altissime dell'arte dello scrivere.
Poi sopraggiunge una parte, piatta, ripetitiva e inconcludente, che è il nocciolo del racconto.
Credo sia questo normale, poichè sarebbe stato assurdo e irreale che l'autore avesse potuto proseguire a inventare personaggi e situazioni al limite di ogni possibile struttura immaginifica.
Quindi si arriva per forza di inerzia alla terza parte, quella finale che secondo me tocca delle vette di scrittura che sono degne dei classici russi.
Il finale poi è qualcosa di talemente sublime, atroce, irripetibile e grandioso che per il mio umile parere può essere annoverato tra i primi tre finali più belli della storia della letteratura mondiale.
Quando penso a questo finale, ho la pelle d'oca poichè in poche righe il genio dello scrittore, traccia il destino poi di ogniuno di noi.

Vorrei fare una digressione, su un termine spesso usato durante la lettura "vento perenne", che qui assume dei significati quasi biblici. Una definizione unica e meravigliosa che si staglia come una lama nei destini di molti personaggi che troverete durante la lettura.

E poi tra i tanti indimenticabili personaggi uno che più di tutti mi ha colpito è quello della bella, meravigliosa Remedios. Talmente sublime nella sua figura, che tutti coloro che hanno la fortuna-sventura di osservarla, sono quasi presi da un senso di disperazione per l'enorme desiderio che suscita in tutte le persone che la guardano. Perchè come diceva o scriveva il buon Gabriel Garcia: "Remedios la bella emanava un alito di conturbamento e una raffica di angoscia: gli uomini affermavano di non aver mai sofferto un’ansietà simile a quella che produceva l’odore naturale di Remedios".

Grazie Gabriel per averci donato bellezza e fantasia.

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Cent'anni di solitudine 2017-06-03 20:27:47 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    03 Giugno, 2017
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Alla ricerca della solitudine

Folli, instancabili, passionali, coraggiosi, geniali. E soprattutto intimamente soli. Questa è la famiglia dei Buendía, protagonista indiscussa del capolavoro di García Márquez. Una famiglia in grado di creare e poi distruggere un intero villaggio, Macondo, l'intrigante scenario delle vicende verso il quale anche coloro che viaggiano lontano non possono fare a meno di essere attratti e fare ritorno.
Le vicende sembrano un ciclo continuo, un eterno ripresentarsi degli stessi oggetti, delle stesse situazioni e anche degli stessi personaggi. Creando non poca confusione nel lettore infatti, l'autore assegna a più personaggi lo stesso nome, nonché un simile carattere o la propensione a compiere determinate azioni. Difatti, una delle maggiori abilità di García Márquez sta nel non dimenticarsi mai di nessun elemento presente nella narrazione, ma anzi facendolo ricomparire nel momento più inatteso; l'unica eccezione è data dal San Giuseppe di gesso, destinato a non tornare al suo vecchio proprietario.
Risulta arduo collocare la vicenda in un determinato arco temporale, specie a causa del totale isolamento del villaggio nei primi anni della sua fondazione, quando solo le carovane degli zingari osavano affrontare i pericoli della foresta per portare a Macondo le loro futuristiche conoscenze.
Alternando descrizioni dal lessico raffinato ad una estrema semplicità nei dialoghi, in perfetto accordo con il carattere dei personaggi, García Márquez ci trasporta al centro delle vicende dei Buendía, partendo dai capostipiti José Arcadio e Ursula, per poi proseguire con molti Aureliano e altri José Arcadio: un cosmo di personaggi in continua ricerca della solitudine o che, più frequentemente, si abbandonano ad essa come alla solo certezza nelle loro vite.
Se i Buendía, bevitori di caffè senza zucchero, sono i protagonisti, è parecchio ostico individuare un chiaro antagonista: infatti anche i personaggi che presentano dei comportamenti maggiormente denigrabili si riscattano agli occhi del lettore e vengono perdonati; un'eccezione potrebbe essere presentata dalla compagnia bananiera, ma anche in questo caso non si innesca nessuna vendetta o ritorsione di sorta.
L'universo in cui si muovono i personaggi presenta poi un'altra affascinante caratteristica, il cosiddetto "realismo magico": la semplice gente di Macondo non esita a credere ad ogni sorta di magia o superstizione, e l'elemento fantastico non rimane una mera illusione, diventando reale e tangibile in più occasioni. Sembra anzi che con l'avanzare del romanzo, la magia si palesi in forme sempre più forti e concrete. Va però precisato che certi segni, come pure gli spettri frequentatori della magione dei Buendía, non sempre sono visti e percepiti da tutti, come se scegliessero a chi vogliono rivelarsi. Magia e spiritismo sono comunque vincolati a delle leggi, e ciò contribuisce a renderli anche più reali e realistici.
Altro espediente utilizzato dall'autore con grande maestria è l'anticipazione di un determinato evento; alcuni fatti, anche fondamentali per la trama, vengono preannunciati già prima che si gettino le basi per la loro attuazione, ma ciò non diminuisce la suspense e invoglia anzi a proseguire nella lettura per scoprire cosa porterà lì la trama.
Interessante notare come l'autore e alcuni suoi colleghi abbiamo un piccolo cameo nel libro, come gli unici amici di Aureliano (Babilonia) Buendía.

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Cent'anni di solitudine 2016-08-26 16:50:44 the boy who read
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the boy who read Opinione inserita da the boy who read    26 Agosto, 2016
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Macondo e la famiglia Buendìa, due storie un final

Oggi vado a recensire in assoluto il mio libro preferito. Scritto dal premio nobel Gabriel garcia marquez questo romanzo narra delle vicissitudini della famiglia Buendìa, raccontando le loro vicende tramite molteplici generazioni.
Il libro è intriso di realismo magico ed è un romanzo che ha rilanciato la letteratura latino americana in tutto il mondo.
Lo stile è assolutamente sublime, a tratti ci sono dei periodi abbastanza lunghi ma nel complesso il libro si lascia leggere. Non è però uno di quei libri che ti divori,perchè questo romanzo va assaporato parla per parola, capitoli per capitolo fino ad arrivare all' epilogo. Su quest'ultimo mi vorrei soffermare perché é qui che viene rappresentata la solitudine della famiglia Buendìa e di come ogni generazione alla fine torni all'inizio della precedente. Insomma è una sorta di cerchio che si ripete ogni volta e l'elemento fondamentale che lo contraddistingue è la solitudine.
Figure centrali nel racconto di Marquez sono le donne che sono le uniche persone, nel libro, che hanno una forza tale da tenere in piedi la baracca fino all'amaro epilogo.
L'universo creato da Marquez rappresenta i popoli latino americani ed infatti gli stessi popoli hanno eletto tale romanzo come romanzo che in 300 e più pagine delinea tutte le cartatteristiche del popolo sud americano.
La cosa che, dopo tutto ciò che ho detto, mi ha colpito di più sono i momenti in cui cè l'unione tra il surreale ed il reale, come quanda nella morte del capostipite dei Buendìa piovono fiori dal cielo come se fosse una cosa del tutto normale.... assolutamente incredibile. Non cé una netta distinzione tra fantasia e realtà qui è un tutt'uno dove i 2 elementi vengono miscelati alla perfezione.
P.s. Nel libro vengono trattati eventi realmente accaduti, non a caso il libro riprende molte delle caratteristiche del romanzo storico, di cui il maestro indiscusso è Manzoni

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Cent'anni di solitudine 2015-12-29 19:45:52 Aureliano Di Tommaso
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Aureliano Di Tommaso Opinione inserita da Aureliano Di Tommaso    29 Dicembre, 2015
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Magnifico incantesimo, un sortilegio tutto umano

"Cent'anni di solitudine" è la storia della famiglia Buendia, dai tempi della fondazione della mitica Macondo alla sua evoluzione. Da Melquiades con le sue profetiche pergamene fino al piccolo Aureliano che va a scoprire il ghiaccio, passando per Pilar Ternera, meretrice piena d'amore logoro, Marquez ci dipinge splendidi personaggi che illuminano precariamente come stelle il cielo di una solitudine atavica e quasi divina. Un secolo di vita della stirpe dei Buendia viene raccontato tramite singoli avvenimenti che, sebbene svoltisi in un lungo periodo di tempo sembrano coesistere in un solo attimo, in una Macondo in cui il tempo sembra girare in tondo senza portare alcuna novità o miglioria.
L'intera storia è intessuta di eventi magici e portentosi legati ad un destino infallibile in un'atmosfera che sembra satura di un greve sentimento di solitudine che accompagna i personaggi dall'inizio alla fine, in un crescendo che culmina nella follia o in amori velenosi. Anche i morti tornano sulla terra, divorati dal peso della solitudine, per trarre compagnia dai loro stessi boia. Il lettore viene condotto in un universo a sè, in un'opera tutta umana e raffigurante come un dipinto la condizione dell'essere su una terra aspra che sembra respingere ogni vita. Se il lettore resta amareggiato dalla lettura di un romanzo colmo di malinconia, resta anche completamente irretito e affascinato dalle stupende immagini di un universo magico: dalla bufera di minuscoli fiori gialli che si depositano come neve fresca a farfalle color del sole che circondano i personaggi in un'aura di mistero e magnifico incantesimo, in un sortilegio tutto umano. Straordinaria la capacità di Marquez di fare della linea temporale un filo di lana da arrotolare e srotolare sulle dita, da tagliare e da ricomporre a proprio piacimento. Tramite una lettura ricca di splendide e musicali espressioni possiamo immergerci nella cisterna del "realismo magico" rimanendo folgorati da uno stile portentoso e lirico. Dopo aver letto "Cent'anni di solitudine" è inevitabile sentirsi cittadini della magica Macondo sperduta nella palude e paradigma dell'esistenza umana e percepire un legame, nel profondo, con la stirpe dei Buendia.

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Cent'anni di solitudine 2015-08-03 07:55:00 letterata curiosa
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letterata curiosa Opinione inserita da letterata curiosa    03 Agosto, 2015
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Affascinante

Libro indubbiamente originale sulla famiglia dei Buendia, raccontata nel susseguirsi delle generazioni.
Il lettore viene catapultato in uno strano universo, composto da un piccolo villaggio sperduto abitato da personaggi molto strambi che funge da contesto ideale per riflettere sul tema della solitudine umana.
A tratti potrebbe risultare ripetitivo in quanto di generazione in generazione si ripropongono nomi e vicende simili, ma a ben vedere Marquez non narra nulla di superfluo. Ogni particolare, ogni dettaglio descritto è in realtà fondamentale ed indispensabile per ritrarre la cultura di un popolo, per restituire un'idea completa della famiglia Buendia, con i suoi soli e le sue ombre.
Sicuramente non è una lettura da spiaggia, è un testo impegnativo, ma il finale è una trovata davvero geniale e leggerlo ha premiato tutta la mia fatica.

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Cent'anni di solitudine 2014-09-17 12:22:04 Maria Concetta
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Opinione inserita da Maria Concetta    17 Settembre, 2014

Al di là di ogni strettoia razionale, nell’abisso

“Cent'anni di solitudine” 1967 del Premio Nobel colombiano Gabriel Garcia Marquez, rappresenta una tappa significativa nella storia evolutiva del romanzo moderno.
Il primo vero romanzo (è chiaro, in sede, d'"Alta letteratura"), inteso come azioni vissute da
personaggi, raccontate in prosa da una voce narrante, nasce come romanzo storico: "Ivanhoe"
dello scozzese Walter Scott, dove però la storia funge ancora da sfondo, mentre il primo "vero"
romanzo storico nasce in Italia con A. Manzoni: "I Promessi Sposi", dove la storia è
protagonista. Nonostante la lontananza sia geografica che cronologica, mi sento di evidenziare
una certa affinità fra quest'ultimo e il romanzo di Marquez. Ambedue le opere sono un misto di
storia e invenzione. Ne “I promessi sposi” la storia è realisticamente vera e influenza la vita dei
personaggi al punto tale da far affermare al grande critico Luigi Russo che "vero protagonista
dell'opera è il seicento", in "Cent'anni di solitudine" la storia come metafora o allegoria viene
trasferita in un'altra dimensione, dove domina il "surreale".
Cosi la fondazione di Macondo da parte del capostipite della famiglia, Jose Arcadio Buendìa,
e gli eventi successivi (l'arrivo degli zingari, della chiesa e del "correggitore" governativo
conservatore) sono la metafora della fondazione della Colombia moderna (intorno al 1830) dopo la dissoluzione della grande Colombia di Simon Bolivar; la guerra dei mille giorni (1899-1901) ovvero la guerra del colonnello Aureliano Buendìa, conclusa con la pace di Neerlandia, è l'allegoria della capitolazione dei liberali nella "piantagione banani di Neerlandia", mentre
l'episodio del ghiaccio è la metafora dell'arrivo della tecnologia, ma anche dei nord-americani
della multinazionale "United Fruit Company". L' "invenzione" ne "I Promessi Sposi" è
il "verosimile" cioè un' invenzione scaturita dalla ragione, in "Cent'anni di solitudine" si tratta
invece di un' invenzione partorita dalla fantasia irrazionale, che corre incontrastata tra i meandri
dell'inconsapevolezza, sconfinando nel surreale. La novità quindi del romanzo di Marquez va
ricercata nel rapporto col mondo, che avviene attraverso la fantasia dell'inconscio.
In effetti è proprio il modo di filtrare la realtà che ha differenziato e caratterizzato la produzione
letteraria in genere, romanzo compreso, nel corso della storia della letteratura.
Cosi si passa da "I Promessi Sposi", in cui il rapporto col mondo avviene attraverso ragione
e sentimento, ai romanzi naturalisti e veristi in cui l'autore si limita, secondo i canoni di quel
periodo letterario, a fotografare la realtà: "Impersonalità dell'arte", a "Il ritratto di Dorian Gray"
di Oscar Wilde o a "Il piacere" di D'Annunzio, dove il rapporto con la realtà avviene attraverso
i sensi, o ancora, in seguito alla scoperta della psicanalisi, ai romanzi di Pirandello, Svevo,
Joyce, dove il rapporto col mondo viene gestito dalla psiche o, meglio, dall'inconscio.
Ecco perchè, come già detto, il romanzo di Marquez rappresenta una tappa interessante
nell'evoluzione di questo genere letterario, in quanto cambia il rapporto col mondo: esso
avviene attraverso la fantasia, che si muove nel labirinto dell'inconscio per cui diventa surreale
e necessiterebbe pure di nuove tecniche espressive.
Come si potrebbe definire la tecnica espressiva mediante la quale l'autore, entrando nel
profondo del personaggio "Ursula", esprime l'intuizione o la telepatia della disgrazia nel
momento in cui muore il figlio Josè Arcadio? Tale presentimento viene allegoricamente
materializzato da un rigagnolo di sangue che, dalla casa di Josè Arcadio, scorre fino a
raggiungere la madre Ursula, che si trova nella cucina della propria casa. La vista del sangue
rappresenta il presentimento della sciagura da parte di Ursula, ed il rigagnolo dello stesso,
che la guida verso il luogo della disgrazia, rappresenta quel "sesto senso", inconsapevolmente
nascosto nel profondo dell'inconscio.
Ma, come si potrebbe definire tale tecnica espressiva? Forse "flusso dell'inconsapevolezza"?
o "allegoria dell'inconscio"?
A chi di dovere l'"arduo compito".

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