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In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All'inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è cosi. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l'intero paese. Tra la violenza e la lotta per la sopravvivenza si inserirà la figura di una donna che, con un gesto d'amore, ridarà speranza all'umanità.



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Cecità 2022-06-21 18:04:51 68
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68 Opinione inserita da 68    21 Giugno, 2022
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Quale cecità?

L’inizio di una pandemia, una cecità ingravescente, alcune persone messe in quarantena, una malattia che investe tutti indistintamente, inaspettata, paradossale, molte domande, nessuna risposta, se non cercare riparo e conforto nel buio più estremo.
Ma quando, progressivamente, la cecità riguarda ogni dove e si trasforma in pandemia, tutto cambia e inizia una nuova era.
Una massa indistinta attende che … “ il sogno abbia compassione della propria tristezza “…, nella speranza che questa cecità sia provvisoria, come è venuta potrebbe andarsene, certi che solo voce e udito siano di una qualche utilità e che il mondo che conta sia totalmente interiore.
E allora occorre adattarsi a un nuovo equilibrio mondiale, laddove subentrano altre priorità perché nessuno vedrà più le persone e le cose saranno realmente come sono.
A che scopo l’ estetica, l’ igiene, cinema, teatri, musei, la paura accieca, forse si insinua il sospetto di essere già stati ciechi nel momento in cui lo si è diventati, una paura che manterrà per sempre una condizione siffatta, Eppure la cecità, quando si trasforma in reale obbligato, non renderà migliori ne’ peggiori, sarà un semplice cambiamento di status.
Il mondo ,,,’ caritatevole e pittoresco “… dei poveri ciechi è finito e si va trasformando nel regno duro, implacabile, crudele, dei ciechi, buoni contro cattivi, un modus operandi nel quale ragioni e non ragioni umane non fanno che ripetersi, è noto l’ egoismo che permea l’ essere umano.
E’ un reale trasformato e senza speranza nel quale il camminare o lo stare fermi saranno indistinti, un reale allegorico e crudelmente esposto nel quale neppure le lacrime hanno più senso perché ogni senso è perduto, ciechi e già morti, già morti in quanti ciechi, i sentimenti cambieranno e cosa diventeranno? Un governo di ciechi che pretende di governare i ciechi, senza futuro, ed è come se il presente non esistesse.
In un tale stato di ‘ normalità ‘ chi ancora ha la fortuna di vedere è costretto ad assistere all’ orrore che gli altri sentono in una condizione imperante e definitiva, si fanno anche dei voti, si pensa che si guarderanno gli occhi altrui credendoli anima o spirito mentre l’ unico sopravvissuto alla pandemia si farà ogni giorno sempre più cieco perché non avrà nessuno che lo possa vedere.
Questa la neo rappresentazione del mondo di “ Cecità’“, un microcosmo indistinto che si dibatte tra vero e presunto, realtà e distopia, una massa di individui senza nome con tratti e caratteri peculiari, visione estrema ed estremizzata di un incubo che si stenta a razionalizzare, situazione reale e paradossale rivestita di quotidianità presto soppiantata da una capacità di adattamento e di sovversione e dalla crudeltà propria dell’ umana specie.
C’è una cecità vera in una limpidezza di sguardi, una condizione di cecità spirituale e sentimentale ricoperta di finzione, egoismo, nichilismo, sterilità. Individualismo, feralita’, di tutti i vizi imperanti, la presunta malattia non è che l’ estremizzazione di un sentimento indistinto.
L’ incubo è visibile, reale, tra noi, la cecità palese, indigesta, molesta, esposta a una vita che pare inevitabilmente segnata…



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Cecità 2022-01-07 12:09:26 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    07 Gennaio, 2022
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L'orrore

“ (…) voi non sapete, non potete saperlo, cosa significhi avere occhi in un mondo di ciechi, non sono regina, no, sono soltanto colei che è nata per vedere l’orrore, voi lo sentite, io lo sento e lo vedo.”

L’orrore. L’orrore.
Quello di cui parlava il personaggio di una celebre pellicola di fine anni ‘70, fantasma onnipresente che prendeva sembianze e volto (quello di Marlon Brando) solo nei minuti finali del film. Pronunciando quella parola nella penombra, quasi nel buio, una sola parola per infiniti sottintesi: “l’orrore”.
Lì – nel film – l’orrore era la guerra, negazione di ogni residuo d’umanità.
Qui – nel romanzo di Saramago – l’orrore è il crollo dell’organizzazione sociale: vengono giù, insieme, le fondamenta materiali e morali della società. E l’istinto di sopravvivenza non serve a conservarla, ad affermarla, ma, capovolgendo il senso delle cose, ne diventa la negazione.
Tutto è scatenato da un’epidemia, un virus che si diffonde improvvisamente e rende cieca l’intera popolazione, “risparmiando” solo la moglie di un medico. Quando lui, tra i primi a perdere la vista, viene internato in una struttura di ricovero rimediata da un vecchio manicomio, lei finge di essere cieca per poterlo seguire. Quel luogo sprangato e pattugliato all’esterno da militari che hanno ordine di sparare a vista contro chiunque intenda lasciarlo, diventa subito terra di nessuno.

Recensioni molto meritorie, prima di questa, si sono soffermate sul significato metaforico della cecità immaginata da Saramago.
Tutto giusto: i millenni necessari a cementare il contratto sociale – il patto che ci tiene legati e collegati – evaporano nello spazio di 24 ore, nel tempo necessario a capire che nessuna umana organizzazione può ovviare alla generale perdita della vista. E la metafora diventa ancor più evidente nel raccogliere quella già espressa in un altro famoso film: il mondo degli uomini, ora che sono privati di vista, diventa un mondo di zombi… ciechi che si muovono in gruppo, con le mani protese in avanti, con cautela, disorientamento, sporchi, debilitati, si urtano, inciampano, cadono, anche su quelli già caduti, vanno spasmodicamente all’assalto dei supermercati, si contendono il cibo, le riserve alimentari.
Non sono zombie, tuttavia: quelli non avevano coscienza, gli uomini privi di vista sì. Frana la società, ma non frana l’uomo, che si muove ora su un campo d’azione totalmente mutato. E cosa è l’uomo denudato di ogni sovrastruttura?
E’ bene? (Pietà per se stesso e per gli altri, comprensione, sacrificio, dedizione).
O è male? (Ruberie, minacce, aggressioni, stupri, sopraffazioni).
Nel libro ci sono entrambi. La dicotomia della natura umana, analizzata da Saramago, si riduce a questo interrogativo: cosa ne è dell’umanità senza la società? I miasmi della regressione testimoniano che qualsiasi virus, qualunque pandemia può portare alla fine della società, se si verificano certe condizioni.
Ma il libro ha un diverso finale, ugualmente potente, per ora solo l’ammonimento di cosa sia l’estinzione…
Quando il sole sorgerà di nuovo come astro visibile, resteranno due cose: le macerie e le domande. E solo le prime potranno essere spostate e messe da parte.

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… e apprezzato Ballard (“Il condominio”) e Mc Carthy (“La strada”, che per certi versi potrebbe quasi sembrare un seguito ideale di Cecità), così come molte altre visioni d’autore sul futuro senza futuro.
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Cecità 2020-12-25 23:39:24 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    26 Dicembre, 2020
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Quel cieco terrore del nulla

E’ giunta l’ora anche per me di conoscere uno dei libri più intensi della letteratura mondiale; l’autore, Josè Saramago, non a caso ha vinto il Premio Nobel nel 1998.

“Cecità” è stato uno dei libri più letti di quest’anno, insieme a Spillover di David Quammen , i Promessi Sposi e La peste di A. Camus: tutti libri importanti, autori grandiosi a testimoniare il fatto che nei momenti straordinari della vita sono sempre i classici che ci aiutano a dare una risposta ai nostri “perchè”.

Perché nel mondo improvvisamente si diffonde questa epidemia? Nella fattispecie come mai tutta l’umanità diventa cieca, così, di punto in bianco?
E la risposta non arriva, ma si attiva una serie di riflessioni importanti sull’uomo, sulle relazioni sociali e i rapporti di potere.

E come nella poesia di Montale, cui ho pensato subito leggendo le prime due pagine del romanzo di Saramago:

“Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
(...)”

Così il primo personaggio che scopre di essere diventato cieco all’improvviso, un mattino, in mezzo al traffico urbano, all’accensione del verde del semaforo è incapace di far ripartire l’auto, perché non vede più niente, tranne un nulla lattiginoso, bianco. Qualcuno si offre di aiutarlo e lo accompagna a casa fino all’appartamento in cui il cieco abita con la moglie. Purtroppo quest’uomo così gentile è in realtà un ladro, che approfitta della situazione di bisogno in cui si trova quel conducente che ha perso la vista all’improvviso, per sottrargli l’auto. Dopo qualche minuto anche il ladro diventa cieco: una coltre bianca impenetrabile scende sulle sue pupille.
Di lì a poco questa cecità bianca si scoprirà contagiosa: il primo cieco si fa visitare da uno specialista che, non riscontrandogli nessuna lesione oculare, gli prescrive esami più approfonditi, ma perderà anch’egli la vista poco dopo.
Ora dopo ora sempre più persone denunciano di aver perso la vista, finché il governo, allarmato non prende provvedimenti d’emergenza: quarantena per i contagiati in una struttura adeguata. Il vecchio manicomio abbandonato. Nell’attesa che si sappia qualcosa in più su questa epidemia di cecità che viene provvisoriamente chiamata “mal bianco” - come quello che colpisce le rose- le autorità locali organizzano l’isolamento dei ciechi in questa struttura presidiandola coi militari, autorizzati a sparare su chi cerca di scappare dalla quarantena.
Le condizioni degli internati sono al limite, sia perchè non sono in grado di badare alle proprie necessità senza guida, sia perché il cibo che i militari passano loro è insufficiente.
Da un primo, sparuto gruppo di sette persone internate si arriverà a circa duecento contagiati isolati: sarà necessario organizzarsi per vivere questa nuova realtà comunitaria. Come succede nella vita reale, ci sono i buoni e i cattivi. I primi che, nella disperazione della perdita della vista, conservano pur nella sporcizia e nel degrado più totale un’ombra di umanità, e i secondi, che nonostante il male comune, pensano a sopraffare i più deboli, confiscando lo scarso cibo distribuito. Questi farabutti ricattano gli altri per ottenere denaro e poi donne in cambio di alimenti.

Saramago non ci risparmia nulla: morte, sopraffazione, violenza, escrementi lungo i corridoi, per le strade, cani che si cibano di cadaveri umani. Nulla è risparmiato al lettore, neanche lo stupro sino alla morte. Ciò che segna la svolta è infatti il trauma collettivo della violenza fisica. Non sono state offese solo le donne, ma anche gli uomini: per poter mangiare un pezzo di pane hanno dovuto sacrificare vilmente le donne.

“Cecità”, che aveva come titolo originario portoghese “Saggio sulla cecità” offre moltissimi spunti di riflessione, una lettura su più strati, dove si riscontrano reminescenze bibliche, kafkiane (processo, tribunali), tematiche legate al sogno (Calderon de la Barca, Borges) e sicuramente implicazioni che rimandano alla realtà politica portoghese dove la democrazia è arrivata più tardi che non negli altri Paesi europei. In una discussione sulla fine del mondo tra i personaggi del romanzo si parla di “morte della parola”: la fine del mondo è la cecità e la cecità è l’assenza della democrazia.

Interessante il fatto che è una donna, la moglie del medico, l’unica persona in tutta la storia a non perdere mai il bene della vista. E sarà la sua condanna, poiché:
“...non domandatemi cosa sia il bene e cosa sia il male, lo sapevamo ogniqualvolta abbiamo dovuto agire quando ancora la cecità era un’eccezione, giusto e sbagliato sono appena due modi diversi di intendere il nostro rapporto con gli altri, non quello che manteniamo con noi stessi, di quest’ultimo non c’è da fidarsi, (...) voi non sapete, voi non potete saperlo, cosa significhi avere gli occhi in un mondo di ciechi, non sono regina, no, sono soltanto colei che è nata per vedere l’orrore, voi le sentite, io lo vedo e lo sento (...)”.
Perché Saramago sceglie una donna per conferirle questa eccezione non si sa: attraverso i suoi occhi noi conosciamo la storia dell’orrore e dell’aberrazione umana. Quando la perdita del bene della vista toglie senso alle cose e all’umanità. Depravazione, abbruttimento esteriore ed interiore, egoismo, corsa alla sopravvivenza. La cecità collettiva, l’emergenza collettiva annullano millenni di civiltà, riportando la storia all’età della barbarie quando per assicurasi il cibo non si badava ai rapporti di parentela e si uccidevano i propri simili.

Per quanto riguarda lo stile il lettore si trova spiazzato di fronte all’amara ironia che gioca con le parole (prescrivere medicine alla cieca, fidarsi delle parole di un ladro cieco, non vedere via d’uscita etc...) e alle imbattibili torri di parole compatte quasi senza punteggiatura. Discorsi diretti liberi senza avvisi grafici, un fluire davvero a perdifiato in questo viaggio letterario. E i nomi? Mancano i nomi, non c’è bisogno di nomi, ma di ruoli. Anzi, di anime: “dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo”. I ciechi non hanno bisogno di un nome, ed ecco come riconosciamo i vari personaggi: il primo cieco, il cieco ladro, il medico, la moglie del medico, la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera, il ragazzo strabico...persino un cane, il cane delle lacrime, che accorre appena avverte qualcuno che ha bisogno di conforto.

Tenuto conto dello stile si consiglia di privilegiare la lettura e non l’ascolto, per esperire coi propri occhi (è il caso di dirlo) la particolarissima scrittura del compianto scrittore.

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Cecità 2020-11-26 17:27:02 Lalyra
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Lalyra Opinione inserita da Lalyra    26 Novembre, 2020
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Chi è davvero cieco?

Ad essere sincera, ho provato un forte sentimento di amore-odio per questo romanzo, iniziato a leggere in estate e finito in questi giorni, in pieno secondo lockdown.
Indubbiamente il periodo che ci troviamo a vivere in questo momento ha orientato la scelta di leggerlo ma anche l'opinione che ne ho.
L'opinione sicuramente è anche influenzata dallo stile del romanzo, uno stile originale e sicuramente unico.
Lo stile di Saramago è così, o ti piace da morire o ti spiazza, uno stile senza punteggiature, senza distinzioni tra dialoghi e il resto del testo, un flusso continuo di pensieri, racconti, riflessioni ad alta voce.
Ma è sicuramente funzionale al rendere al meglio il contenuto, la storia, una narrazione così intensa da essere talvolta molto cruda.
Ma al tempo stesso una narrazione che, quasi in contrasto con il titolo del romanzo, ti spinge con la potenza di tutte le sue parole ad aprirti gli occhi.
Aprire gli occhi di fronte alla cecità che dilaga nel romanzo, un'epidemia improvvisa che lascia attoniti di fronte a qualcosa che non si conosce, e che spaventa, in cui vedo un forte parallelismo con la situazione attuale. E sin dalle prime righe della narrazione instilla nel lettore una riflessione su chi sia davvero il cieco. Un pensiero che accompagna la lettura fino alle ultime righe, in cui si trova una frase emblematica: "Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che pur vedendo, non vedono".
Una riflessione che spinge a chiedersi: sono davvero ciechi coloro che fingono di non vedere e invece vedono? O sono davvero ciechi coloro che davvero non sono ciechi ma nonostante questo fingono di vedere?
Figura cardine di questa riflessione è la moglie del medico, di cui si segue costantemente l'eterna guerra interiore che la porta ad essere combattuta, come unica vedente, tra il continuare a fingere di essere cieca e salvaguardare questo suo segreto per poter guidare i ciechi, e liberarsi di un fardello enorme, urlando a tutti di non essere cieca, dire che lei ci vede, ma esponendo ad un rischio altissimo, esponendosi alla mercè di chi ha perso la vista.
Un altro tema centrale è sicuramente il contrasto tra coloro che fanno della solidarietà e dell'unione la loro forza per la sopravvivenza, arrivando anche a sacrificare parte di sè per il bene del gruppo, e coloro invece che con i mezzi più beceri e violenti cercano di raggiungere una supremazia facendo leva sui bisogni primari degli altri ciechi, senza il minimo scrupolo se non quello di infliggere quanta più sofferenza fisica e morale sull'altro.
Significativo è sicuramente il fatto che questo aspetto emerga anche in una circostanza come quella in cui si trovano i ciechi, colti da un'epidemia che ha colpito tutti, senza distinzioni di classe, genere, età.
Significativo è quindi sicuramente il fatto che questo aspetto emerga anche in una circostanza come quella in cui si trovano i ciechi, colti da un'epidemia che ha colpito tutti, senza distinzioni di classe, genere, età.
Un romanzo che sicuramente non lascia indifferenti, e che forse ci cambia, ci spinge ad essere un po' meno ciechi e indifferenti di fronte a quello che come persone, cittadini, osserviamo tutti i giorni, spronandoci a non voltarci dall'altra parte o a chiudere gli occhi.

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Cecità 2020-09-09 07:53:50 Little cozy world
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Little cozy world Opinione inserita da Little cozy world    09 Settembre, 2020
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lo scoppio di un'epidemia che ridefinisce la socie

In questo romanzo, siamo in un futuro distopico, in un luogo non precisato, in un tempo non precisato, in cui un'epidemia rende ad uno ad uno tutti gli abitanti ciechi.
Senza dettagli che ne specifichino luogo e tempo, la vicenda diventa quanto più universale possibile.

I protagonisti non avranno mai un nome proprio, ma sono indicati con una descrizione (“il vecchio dalla benda nera”, “la ragazza dagli occhiali scuri” etc) ed è proprio questo che ci permette di identificarci con ognuno di loro.

Saramago ti proietta in un nuovo mondo, le cui regole sono tutte da ridefinire.? Il senso stesso dell’umanità, con valenza ambivalente, sia considerando l’insieme di persone, sia quel sentimento che dovrebbe muovere la coscienza dei protagonisti, è cambiato, così come i giochi di forza e le priorità.

Lo scrittore è capace di tenerti incollato alle pagine, una dopo l’altra, con uno stile unico, privo completamente di punteggiatura e fatto di frasi lunghe che però sortiscono l’effetto di non voler mai interromperne la lettura.

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Cecità 2020-03-22 19:18:33 AriMonda
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AriMonda Opinione inserita da AriMonda    22 Marzo, 2020
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Mal bianco dell'uomo contemporaneo

Finalmente questo libro ha scalato la lista dei “libri da leggere” ed arrivato in cima. È arrivato in cima proprio nel periodo in cui l’Italia veniva dichiarata zona rossa. A volte il caso ci mette di fronte a delle situazioni inspiegabili, forse quasi paradossali. Ero indecisa di fronte alla possibilità di addentrarmi nella lettura di quest’opera, visto il contenuto, ma ho pensato che nello sconforto e di fronte alle tristi notizie che ogni giorno ci venivano (e ci vengono) date, poteva essere un buono strumento per comprende il periodo e per cercare delle risposte a domande personali ed intime che mi stavano tormentando..

Cecità è un ‘opera interessante, con il senno di poi, non so se è stato un bene leggere un libro così crudo, cinico e concreto in un momento in cui la morte è attorno a noi, nelle nostre case, in quelle dei nostri vicini, dei nostri cari. Ma sicuramente è stata illuminante, per comprendere come la natura umana riesca ad affrontare le situazioni più disparate, tirando fuori, spesso e volentieri, il lato peggiore della nostra indole.
L’epidemia, che colpisce l’imprecisato Paese in cui si svolge la vicenda, rende ciechi gli uomini e le donne, li priva di un senso, quello della vista, che si tende a dare per scontato e non si riflette su come avere un paio d’occhi incida drasticamente sulla nostra vita, sul modo di viverla ma soprattutto di interpretarla. Il male, che emerge da questo mondo immerso nel bianco, è crudele, cinico, spietato, non “guarda in faccia” nessuno. Saramago, con quest’opera che voglio immaginare come distopica, ci illustra un’umanità che dopo aver perso la possibilità di vedere, scende uno dopo l’altro i gradini della dignità, della solidarietà, della gentilezza, della condivisione, lasciando che ne emerga solo una massa di ciechi egoisti e arrabbiati. Non tutti, alcuni riescono a tenersi aggrappati ai quei pochi brandelli di umanità e di bontà che gli restano e sono coloro che ruotano attorno all’unica donna che non ha perso l’uso degli occhi, l'unica che continua a vedere il sole sorgere e il resto del mondo sprofondare negli istinti animali e nello sconforto totale.

Il “mal bianco” a cui sono condannati questi uomini e queste donne è un male che non si vede ma che causa la fine della civiltà, del buon vivere, delle regole sociali. Si forma un mondo dove vige la legge del più forte, del più furbo, del più veloce. In questo mondo disilluso, in cui il cibo non è scontato, l’acqua è un miraggio, l’igiene personale un’abitudine che si ricorda solo con indeterminatezza, la morte, la povertà, la malattia sono agli angoli delle strade, sono sui vestiti laceri delle persone, nell'odore che si portano dietro. Saramago ci mostra un’umanità vinta, persa, naufragata, incapace senza gli occhi di poter vivere in società, di potersi organizzare, di poter funzionare.

Al di là della storia, originale quanto spiazzante, il messaggio è forte, l’impatto non lascia indifferenti, oggi più di tutti gli altri giorni. In un momento di grande criticità come quello che stiamo vivendo, l’umanità lancia grida contrastanti, ma molto chiare. Niente di diverso da quello che leggiamo in Cecità. L’egoismo e l’indifferenza nei confronti di chi non è colpito dal male, la sordità di fronte alle richieste di aiuto, la cecità di fronte a chi tende una mano, la paura di ciò che non si capisce e poi.. poi tutti nel baratro, senza possibilità di scampo e allora l’egoismo e l’indifferenza si trasformano in rabbia, in aggressività, in desiderio di sopravvivere facendo soccombere gli altri, e poi.. poi la morte, la morte che si crede sempre lontana, come se si trattasse di un’estranea, come il contrario della vita, quando la morte è dentro la vita, ma ce ne dimentichiamo, fino a quando non ci tocca.

“Chissà se tra questi morti non ci saranno i miei genitori, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e io, magari, passo accanto a loro e non li vedo, E’ una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli, disse la moglie del medico.”

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Cecità 2020-03-19 08:46:36 lalibreriadiciffa
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lalibreriadiciffa Opinione inserita da lalibreriadiciffa    19 Marzo, 2020
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Parallelismi inquietanti

Credo che ad oggi, la trama di "Cecità" la conoscano un po' tutti: la gente viene colpita da una cecitá virale improvvisa. Questa epidemia, perché di questo si tratta, posso paragonarla ad altri scenari apocalittici della distopia ma, in realtà, ha caratteristiche diverse, per esempio le persone non cambiano, anzi, grazie alla loro cecità possiamo notare ciò che davvero ognuno di loro è.

“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un'infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all'improvviso la sommergono completamente”

Questo libro, complice anche il momento particolare in cui ho deciso di leggerlo, mi ha molto colpito. Mi ha lasciato delle sensazioni molto particolari e mi ha fatto pensare moltissimo al mondo e a come decidiamo di starci. Il modo in cui Saramago è riuscito a trovare la quadra nella trama con tutti gli elementi mixati alla perfezione ha fatto sì che questo libro sia il capolavoro che è.

Saramago ha una scrittura descrittiva molto accentuata, i discorsi diretti o indiretti pieni di riferimenti. Ascoltando leggere il romanzo ho avuto l'impressione di essere presente nelle pagine, seppur qualche parte risulti piuttosto caotica per via della presenza di parecchi personaggi, volutamente senza nome e, quindi, spersonalizzati. Succedono cose importanti in ogni momento e non ci si annoia mai. Anche nei lunghi momenti di introspezione di un personaggio, non si perde mai la voglia di sapere cosa sta pensando e cosa stia provando. Questi momenti introspettivo sono comunque dinamici, trattati in modo drammatico per invogliare alla lettura del prosieguo.

Nonostante la drammaticità insita in ogni parola, non mancano momenti di pura ironia data dalle molte battute sui ciechi e sulla cecità in generale, che strappano un sorriso anche nei momenti più pesanti del libro.

“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono”

I personaggi sono tratteggiato in maniera pressoché perfetta. Come dicevo, non ci è dato conoscere i loro nomi, eppure sembra di conoscerli bene. Saramago, a causa della loro cecità, li porta ad esprimere ciò che realmente sono, senza imposizione dei limiti imposti nella vita reale. La domanda che aleggia su queste pagine è: come ci comporteremmo se fossimo al loro posto? All'ambientazione è stata data una grande importanza. Soffocante, difficile e nuova, fa capire bene lo stato di alienazione che prova la gente rifiutata per via dell'infezione. Il senso di straniazione è molto forte e a volte claustrofobico. Così come l'accettazione della cattiveria da parte dei "buoni"
Per quanto riguarda il tempo e il luogo, per quanto si possa in parte capire, non viene mai esplicitato perché non risulta rilevante ai fini della narrazione. Potrebbe essere oggi, proprio in Italia, oppure nel 1950 in America.

“Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecati, la paura ci manterrà ciechi”

Un libro che consiglio a tutti di leggere, perché oltre ad essere attualissimo è insieme un compendio della bruttura umana, della cattiveria e del voler spersonalizzare l'umano fino ai limiti consentiti (e oltre). Se siete suscettibili, forse andrebbe letto alla fine della quarantena da Covid-19 onde evitare di fare parallelismi con la situazione attuale.


“Non ha trovato risposta, le risposte non vengono ogniqualvolta sono necessarie, come del resto succede spesse volte che il rimanere semplicemente ad aspettarle sia l'unica risposta possibile”

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Cecità 2019-12-30 21:53:28 Clangi89
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Clangi89 Opinione inserita da Clangi89    30 Dicembre, 2019
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Vedere, osservare, sentire

Un libro decisamente simbolico, lirico ed al momento stesso sensoriale. Ecco le prime impressioni che mi hanno colta al termine di Cecità.
Saramago fa rapidamente precipitare il lettore nel bianco latte che ad un certo punto avvolge la vista di una intera comunità. L'angoscia accompagnata dallo spaesamento di ogni persona che all'improvviso inizia ad urlare "Sono diventato Cieco" sorprende il lettore sin dalle prime righe.
Davanti ad un semaforo, nel letto di un Hotel, nel bel mezzo del lavoro, a casa ed in mille situazioni differenzia un cittadino dopo l'altro, senza differenza di sesso, origine, ricchezza, perde la capacità di vedere. La cecità è bianca, non lascia pace, non lascia sonno rilassante, fa cadere nella luce totale.
La società si organizza per contrastare la cecità contagiosa ed allora si crea una quarantena isolata in un ex manicomio, ciechi che diventano animali, abbandonati a loro stessi, alla mercé della sporcizia e della miseria. Questa situazione dura poco, a causa di un incendio, dopo una serie di tragedie nelle tragedie, tutti escono e la vita cieca prosegue nella città.
I protagonisti sono un gruppo senza nome, nessuno ha più bisogno di identificarsi, c'è il primo cieco con sua moglie, c'è la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, l'uomo dalla benda nera, l'oculista (lavoro quanto mai bizzarro ed assolutamente inutile ormai!). Ma in tutto ciò c'è una figura: La moglie dell'oculista che non ha perso la vista. Fortuna o sventura? La donna assiste alla decadenza degli esseri umani, accudisce e protegge chi ha a fianco, cura le ferite e lenisce i pianti, combatte e si ribella e si strema nelle forze. L'unica persona che può vedere il male e l'indifferenza che la circonda sino alla fine.
L'importanza della vista ma soprattutto della volontà di vedere ciò che ci circonda acquisisce ruolo preminente. Ogni aspetto sensoriale prende corpo ed ecco che il numero dei passi assume rilevanza quanto la differenza delle superfici o la percezione dei rumori.
La fame aumenta ed i viveri scarseggiano, allora l'autore ci mette faccia a faccia con la morte dei corpi perché la morte interiore la si stava già vivendo e stava divagando.
Le lacrime quanto le parole cullano il passare dei giorni. Chi è davvero cieco? Chi ha smesso di volev assistere e partecipare al mondo con le proprie possibilità oppure chi, una volta riacquista la vista non saprà, forse, goderne a pieno? L'indifferenza, la noncuranza e la cattiveria non hanno cessato di mietere proseliti e vittime anche in una società di ciechi. Non c'è disgrazia che elimini i Mali radicati nella natura umana. Non c'è male però che elimini le lacrime se non l'amore che interviene anche da parte di un cane, fedele animale, simbolo di sostegno. Nel nostro gruppo di protagonisti, forse grazie alla moglie del medico, c'è sentimento, ci sono azioni positive e caritatevoli che toccano il cuore e lasciano sperare.
La società, i soprusi, l'aiuto e la parte più animale dell'uomo emergono con fare disarmante. I sensi sono attivi fin dall'inizio ma proprio la vista viene descritta a tratti, le persone non hanno volti, non hanno fattezze, quasi che la mancanza della vista appiattisse gli animi che prendono forma nei nostri corpi, unici, irripetibili.
Una condanna all'appiattimento ed allo stesso tempo una condanna all'angoscia che vuole essere annientata.
Il libro risulta, a mio parere, prolisso in certe parti ed alle volte ripetitivo. Tuttavia la scrittura continua, senza punteggiatura è il marchio di Saramago e le riflessioni che si susseguono nel racconto sono di elevato livello stilistico e concettuale, sicuramente da assaporare lentamente e con il giusto grado di concentrazione. Dell'autore avevo letto Le intermittenze della morte, molto piacevole e mi riprometto, più avanti di leggerne altri, la scrittura è così coinvolgente che trascina sino alla fine.


"ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano tra loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all'improvviso, per via di due o tre o di quattro che all'improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbi, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti.. "

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Le intermittenze della morte _ Saramago
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Cecità 2019-04-25 15:02:36 Tomoko
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Stile 
 
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Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
Tomoko Opinione inserita da Tomoko    25 Aprile, 2019
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Cecità lattiginosa, il mal bianco.

Non è un classico libro post apocalittico.
Non è una cecità nera e buia, è qualcosa che entra negli occhi, come un mare di latte.
Non ci sono personaggi ben definiti, i protagonisti vengono distinti per ciò che li caratterizza: la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, l’uomo dalla benda nera, la moglie del medico.
Non ci sono dialoghi diretti, come se tutto il libro fosse raccontato dalla voce dell’autore.
Pochi punti, molte virgole.
Non è la cecità in quanto tale ad essere la protagonista di questo libro, ma la reazione psicologica di ogni individuo alla cecità stessa dovuta al contagio.
Troviamo indifferenza, istinto di sopravvivenza, paura, abbandono e impotenza.
Alcuni reagiscono diventando abusatori di potere, violentatori carnali, ladri e persino assassini.
La mancanza di un senso che è la vista non fa perdere solo la stessa ma anche la ragione.
Non c’è traccia di lieto fine.
Ma basta solo guardare fuori dalla finestra, o ascoltare i telegiornali per capire che a questo mondo non c’è più umanità.
Questo libro non è servito a farmi capire qualcosa di nuovo ma semmai a ricordarmi ciò che già so.
Ad alcuni ha aperto gli occhi, io sto già convivendo con questo mondo.
Lo consiglio forse ad un target di lettore più giovane.

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Cecità 2019-01-07 19:22:17 loba
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Opinione inserita da loba    07 Gennaio, 2019

Vita-morte-vita

Cosa voleva trasmetterci Saramago scrivendo “cecità”?

Era un esercizio stilistico e immaginativo, mirato ad avvolgere il lettore in un clima di soffocante e disperata cecità o percepiva la necessità di trasmettere un qualche messaggio ed insegnamento?

La lettura, come la musica, regala grandi e personali proiezioni. La mia personale vede entrambe le possibilità come realtà vive più che mai nella lettura appena ultimata.

Lo stile presenta font e interlinea piccoli, frasi sempre di ampio respiro, paragrafi quasi inesistenti, personaggi senza nomi propri ma identificati attraverso l’uso di epiteti (“il cane delle lacrime, “la ragazza con gli occhiali neri”) e man mano un susseguirsi di battute a cascata, talvolta senza nemmeno la specifica di quale personaggio stia parlando; rendendo così anche il lettore cieco, ma in grado, proprio come fanno gli personaggi ciechi, di riconoscere dalle stesse parole chi sta dialogando.

Dentro alla forma, il contenuto. È chiaro come la disperazione e la bestialità prendano velocemente il sopravvento, esplicitando l’appartenenza dell’autore alla filosofia “homo homini lupus”. Tuttavia non si può negare l’inspiegabile sottofondo di calda speranza e familiarità che nonostante tutto non cessa mai di “vedere”, di esistere. Apparentemente sembra essere rappresentato solamente dalla protagonista, la moglie del medico, che non diventa cieca se non alla fine. Tuttavia in vari episodi, forse più silenti, continuano ad esistere forze positive che si contrappongono a quelle mortifere che rendono l’uomo cieco sempre più egoista, menefreghista, solo. Queste forze le riscontriamo nell’unità del piccolo gruppo che si mantiene vivo dall’inizio fino alla fine del libro, non senza lotte, tradimenti e difficoltà; nella solidarietà delle donne; nelle coppie (i giovani descritti in un emozionante e vibrante atto amoroso, la coppia composta dall’oculista e dalla moglie, la nuova coppia data dalla ragazza con gli occhiali scuri e il vecchio con la benda sull’occhio); nell’amore e nelle attenzioni dispensate dal gruppo verso il ragazzino più piccolo del gruppo; ecc.

Sembra proprio che Saramago, scarnificando la società odierna, abbia riscoperto e dato vita ad una primordiale condizione in cui a scontrarsi sono le più ancestrali forze di morte e vita, rappresentando una danza inesauribile, archetipica, dove non si nasconde né la morte dalla vita, né la vita dalla morte. Subito dopo: il gruppo, la condivisione, come naturale possibilità di sopravvivenza, del corpo come dell’anima.

Questa lettura mi lascia la sensazione che l’autore abbia nel libro ottimamente rappresentato la propria idea di uomo, da un lato pervaso dalla paura, dall’egoismo, dalla morte (la cecità rende l’uomo bestia, assassino, violentatore) dall’altro arricchito dalla speranzosa, dalla fiducia, dal senso dell’Altro, dalla vita (solo cercando organizzazione nel gruppo e mantenendo vivi i principali valori come il rispetto e l’uguaglianza l’uomo può sopravvivere e vivere alla cecità).

Ho scelto questa citazione come rappresentante più emotivamente coinvolgente della seconda accezione di uomo (o meglio donna): "[...] è ancora carina [...] Tu mai come adesso. Ecco come le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all'improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all'improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggerem sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un'armatura, si dice, La moglie del medico ha i nervi d'acciaio e poi, in definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrimen per via di un pronome personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie grammaticali, mere designazioni, come del pari lo sono le restanti due donne, le altre, pronomi indefiniti, anch'essi piangenti, che abbracciano quella della frase completa, tre grazie nude sotto la pioggia."

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