Cassandra Cassandra

Cassandra

Letteratura straniera

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Cassandra, la figlia veggente di Ecuba e Priamo, attende la morte per mano dei Greci vincitori alle soglie della fortezza di Micene. Davanti ai suoi occhi scorrono intrecciate la sua storia e quella della città di Troia. L'amore per Enea e la rottura con la famiglia che, accecata dall'andamento della guerra, non riesce a vedere con gli occhi di Cassandra. La vita nelle comunità femminili sulle rive del fiume Scamandro e la distruzione e la rovina della sua città. Un romanzo che dà una visione diversa da quella omerica classica recuperando lo sguardo e la voce della sacerdotessa troiana per darci il resoconto della liberazione femminile e del bisogno di pace.



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Cassandra 2022-03-04 16:25:35 GiuliaAsta89
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GiuliaAsta89 Opinione inserita da GiuliaAsta89    04 Marzo, 2022
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L'onniscienza e l'impotenza

Raramente ho smaniato per leggere un libro come nel caso di questo breve romanzo di Christa Wolf. Forse il fatto di non riuscito a reperire in nessun formato, cartaceo o digitale, ha alimentato la mia voglia di leggerlo. Fatto sta che ho cercato di prolungare il piacere il più possibile, con risultati deludenti, dato che l'ho divorato in tre giorni! La storia è quella dell'arcinota guerra di Troia raccontata, come suggerisce il titolo, dal punto di vista della sacerdotessa alle cui profezie nessuno credeva.
Ho trovato lo stile della Wolf volutamente ostico, poiché Cassandra racconta come fosse in preda al delirio, con continue analessi e prolessi, saltando da un episodio all'altro (apparentemente) non seguendo un filo conduttore. Ma è proprio questo che ti spinge a rallentare, a leggere più lentamente per esser sicuro di non perdere neanche un passaggio. Cassandra offre un punto di vista diverso su una guerra in cui è l'uomo il protagonista, appellando gli eroi con epiteti piuttosto duri. E' così che Achille è “la bestia”, Agamennone è “l’imbecille”, Paride è “il bambino pericoloso”, “debole, fratello, debole. Un vigliacco”, il “piccolo Aiace” è uno stupratore, perfino Ettore "non è l'uomo di cui si fa un eroe". Uniche note positive? Enea e suo padre Anchise. L'aspra voce di Cassandra sembra quasi mutare tono quando parla dell'amore della sua vita e di suo padre, definendoli gli unici rappresentanti "di una possibile forma diversa del maschile."
In sintesi consiglio assolutamente questa lettura!

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Cassandra 2018-09-13 10:52:55 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    13 Settembre, 2018
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Il coraggio e l'impotenza

Di fronte ai leoni senza testa di Micene, guardiani consumati del tempo, sulle rovine macerate di un rocca inespugnabile, passo dopo passo su un tappeto di porpora e sangue, sotto un cielo smaltato e indifferente, atrocemente silenzioso, Cassandra, la profetessa, va incontro alla morte. Il tempo che la separa dalla fine e dalla luce della liberazione, diventa la materia malleabile e consistente per un lungo monologo, liquido e sussurrato, a ripercorrere l’inizio della fine, il ratto di Elena, la caduta di Troia, la partenza di Enea. E la memoria di Cassandra ci si dispiega davanti con la sua cocciuta irrequietezza, col suo moto ribelle e odissiaco, la malinconia e la tristezza, il coraggio e l’incoercibile solitudine cui le sue visioni la costringono. Nei suoi ricordi, nel suo dialogo postumo con gli uomini e le donne della sua terra e della sua giovinezza, prima che Troia fosse bagnata di sangue, prima che la cecità e la paura prendessero il sopravvento sulla ragione, Cassandra consegna la sua commovente fragilità al lettore, in una demistificazione del mito che non è solo parodia e sarcasmo, ma l’occasione per ritrovare le radici intime di quello che è stato e forse la ricerca di una palingenesi semplice e sofferta.

Il tema portante di questa Cassandra è il conflitto fra maschile e femminile, il tramonto del matriarcato e la presa di potere degli uomini, con la loro incoercibile violenza, con la dialettica fallica del sillogismo e dei principi di identità e non contraddizione. In questo maschile che non conosce il correttivo dell’apertura e della comprensione, nessun uomo si salva: né Agamennone, che sessualmente impotente, sfoga la sua rabbia con la violenza, né Paride che nella sua bellezza trascina il suo popolo in una guerra lacerante, né Achille, che anzi è l’emblema della bestialità più cruda, né Ettore o Priamo. E quella Elena per il cui tragico splendore questa guerra si è combattuta, null’altro è che un fantasma forse disperso in Egitto, così che la ragione ultima del conflitto evapora nell’inconsistenza nebbiosa di un ectoplasma, in un significativo svuotamento di senso di ogni lotta armata. A questo principio maschile si piegano anche le donne del libro, Polissena che si prostituisce per sopravvivere nel campo nemico, Pentesilea, l’amazzone che accecata dal fuoco della vendetta, combatte come una furia in battaglia e le varie serve e donne che via via appaiono. E quando la guerra costringerà gli uomini all’azione, quando la reggia di Priamo diventerà una dispotica e distopica fortezza di sospetti, spie e inganni, militarizzata dalla sete di potere di Eumelo (prefigurazione drammatica della DDR in piena guerra fredda), resterà un porto sicuro per Cassandra la comunità che Anchise, padre di Enea, ha fondato poco fuori della città. Lì, in quella oasi di pace, oltre la dicotomia tra uccidere o morire, la strada scelta è quella della vita, con le donne e gli uomini che intrecciano cesti di vimine, reti, legami e nodi per difendersi dalla grandine delle cose. E qui, dove la materia fisica si fa occasione di resistenza contro il mondo, Cassandra matura consapevolezza delle scelte che l’hanno portata a essere profetessa, pur non potendo essere creduta da nessuno. Perché nel regno del maschio, Cassandra sceglie di parlare con la propria voce. E non è un caso che questo dono-anatema le viene proprio dal rifiuto di giacere con Apollo, da una violenza mancata dell’uomo sulla donna.

Christa Wolf ci consegna un libro difficile nello stile, ondivago, ellittico, sfuggente, fluido e opaco, una scrittura cui ci si abitua poco a poco e che alla fine diventa perfetto nel segreto incanto che gelosamente custodisce. Il mito diventa l’occasione per una accorata riflessione sulla sostanza ostinata che tiene legato l’uomo alla vita, sulla distorsione della verità quando la guerra scardina la logica delle cose, sulla resistenza della donna e la violenza dell’uomo, sull’assoluta arbitrarietà del potere, ma anche sulla malinconica impossibilità dell’amore. Perché Enea, l’unico uomo che si salva, l’unico capace di dimostrare sensibilità e rispetto per le donne (significativa la sua astensione della sverginamento rituale), deve seguire il suo destino, deve essere un eroe, fondare Roma e forse una nuova civiltà. E Cassandra, che pure lo ama, non lo può seguire. Il suo destino è la scure di Clitemnestra, la donna che in realtà non è donna, come ci avverte Eschilo nell’Agamennone, sulle porte di Micene. E a chiudere il cerchio narrativo, di nuovo dinnanzi ai leoni, a tremila anni di distanza, Cassandra cammina verso la fine, i suoi passi rimbombano sotto la volta vuota e cupa del cielo, senza Dio, senza voce, mentre il vento indifferente spira su queste pagine, che portano ancora con loro il sapore di salsedine del Mediterraneo.
Letto tre volte, profondamente amato.

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Camus, Caligola
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Cassandra 2016-09-13 15:59:18 lollina
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lollina Opinione inserita da lollina    13 Settembre, 2016
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Lei, la prigioniera, mi imprigionò ...

Durante un viaggio in Grecia in compagnia del marito e dell’Orestea di Eschilo, davanti alla diruta ma imponente Porta dei Leoni a Micene la Wolf incontra, come in una “visione”, la sacerdotessa di Troia, la veggente del mito destinata a non essere mai creduta: dall’incontro, come ella stessa scrive nelle Premesse, fortuito, nasce il personaggio letterario, alimentato da solida documentazione archeologica e letteraria ma anche “vissuto” dall’interno: «La vidi subito. Lei, la prigioniera, mi imprigionò […] si impadronì di me. Credetti a ogni sua parola. […]. Tremila anni – dissolti».
Davanti alla porta di Micene, prigioniera di Agamennone che già ha visto cadere sotto la scure di Clitennestra, in attesa di cadere ella stessa, Cassandra conduce un lungo silenzioso monologo che, con moto ondivago rievoca le vicende di Troia, dal ratto di Elena (o meglio del suo simulacro) alla catastrofe finale: un monologo intrecciato di memoria e riflessione, in cui la prima persona cede il posto al «tu» di un ideale colloquio con i suoi grandi amori, morti o lontani: Enea e l’amazzone Marpessa,
Attraverso le memorie dell’antica sacerdotessa di Apollo, la Wolf conduce una riflessione su diversi temi a valore universale e al tempo stesso calata nel presente in cui l’Autrice stessa vive (il romanzo fu pubblicato nella DDR del 1983): innanzitutto sulla condizione femminile, tradizionalmente relegata ai margini ed esclusa dalle stanze del potere e dalle decisioni stolte e sanguinarie che ne emanano, dettate da una sete di potere e denaro non meno cieca della rabbia omicida che arma il braccio di Achille, la bestia. Inizialmente schierata dalla parte del maschio, figlia prediletta di Priamo rispettata e ascoltata, Cassandra verrà confinata nel ruolo di reietta quando si rifiuterà di sostenere con vaticini di comodo la folle guerra contro i Greci; scoprirà allora un altro modo di vivere, più autentico e umano, praticato in disparte nelle grotte dello Scamandro dalle donne votate al culto di Cibele e raccolte attorno al saggio Anchise, il padre di Enea, l’uomo che, amato da Venere, ha accolto dentro di sé l’antico sapere femminile.
La condanna della guerra, dell’insensata marcia dell’umanità verso la distruzione è l’altro tema, che risente di quel clima di tensione che si respira nell’Europa della guerra fredda, in precario equilibrio sul filo del terrore per una imminente catastrofe nucleare: Cassandra, la professionista della parola, riflette il ruolo che Christa Wolf assegna alla scrittura, quello di tener viva l’indignazione, e al tempo stesso la speranza.
Ma per giungere ad un nuovo e al tempo stesso antichissimo umanesimo, sembra dire la Wolf, bisogna andare oltre Omero (o meglio leggere nelle pieghe di Omero), demistificare l’eroe, superare la retorica delle grandi gesta e lasciare nuda la bestia: «Se avevamo creduto che l’orrore non potesse più aumentare, ora dovevamo riconoscere che non c’è limite alle atrocità che gli esseri umani commettono gli uni contro gli altri; che noi siamo capaci di rovistare nelle viscere dell’altro, di schiacciargli il capo alla ricerca dell’acme del tormento. “Noi” dico, e di tutti i Noi a cui sono approdata, questo resta quello che maggiormente mi turba. E’ molto più facile dire “Achille la bestia” che questo Noi»,

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Christa Wolf, Medea
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Cassandra 2014-02-05 04:17:39 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    05 Febbraio, 2014
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Uomini e donne

Cassandra sacerdotessa di Apollo, profetessa, dissidente (“Io, la tremenda. Io, che volli la rovina di Troia”), perseguitata (“Io sono stata, di tutti i suoi figli io, come il padre affermò, quella che ha tradito la nostra città e lui”): simbolo dell’autonomia, dell’andare “contro corrente”, strega dell’antichità, drammaticamente destinata a declamare verità alle quali non viene dato credito.
Christa Wolf ripropone il tragico personaggio della veggente troiana in una narrazione che potrebbe costituire il prius temporale dell’Agamennone di Eschilo: “Cassandra” è la retrospettiva della donna che, giunta a Micene come prigioniera di Agamennone, rievoca la sua vita, le sue scelte, la guerra di Troia e il viaggio verso la Grecia. I ricordi seguono il libero flusso delle idee, con continue analessi e prolessi, e si esprimono in un linguaggio cifrato e sincopato: per iniziati.
In questo commento mi soffermerò sulla partigiana prospettiva sessista dalla quale l’autrice guarda il vate più misconosciuto della storia.

GLI UOMINI

Per la Wolf hanno un grosso, genetico, strutturale difetto: sono maschi (“Tutti i maschi sono bambini egocentrici”). Così:
- Achille è “la bestia”.
- Agamennone è “l’imbecille”.
- Calcante un infedele (“Calcante passato ai Greci?”).
- Paride è “il bambino pericoloso”; “debole, fratello, debole. Un vigliacco”.
- il “piccolo Aiace” è uno stupratore.
- Andro, amante di Polissena, è un traditore.
- Ulisse è “un Nessuno che non era capace di fede”.
- Perfino l’eroe omerico Ettore perde la sua aura epica: “Non era l’uomo di cui si fa un eroe”… “Ce l’avevo con Ecuba, che lo aveva viziato impedendogli di crescere, e trovavo giusto e ragionevole che ora lo proteggesse.”
In questo campionario si salva soltanto Enea (“a cui credetti sempre, perché gli dei trascurarono di donargli la capacità di mentire”), l’unico rappresentante - insieme al padre Anchise - “di una possibile forma diversa del maschile”. “Un modo d’essere maschile che non trova forme, non parole, per manifestarsi.” Enea: che non consuma il rapporto carnale con Cassandra nella notte dedicata alla rituale deflorazione delle vergini.

LE DONNE

Possiedono tutt’altro materiale genetico. Di Cassandra abbiamo già parlato in apertura. Inoltre:
- Marpessa è ancella fedele e coraggiosa (“Prendi me”).
- Polissena è da ammirare, pur incarnando la seduzione da sfoderare per catturare i maschi che detengono il potere.
- Perfino Clitennestra, la diabolica uxoricida, è una complice: “Niente in altri tempi avrebbe potuto impedire di chiamarci sorelle, questo lessi sul viso dell’avversaria”; “Ci guardammo, ci capimmo, come solo le donne si capiscono”.
- Elena viene mitizzata e si dematerializza: “Sì, lei non era qui. Il re d’Egitto l’aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo” e rende il conflitto “una guerra condotta per un fantasma”. “In Elena, che avevamo inventato, noi difendevamo tutto ciò che non avevamo più”.
- Infine ci sono i collettivi: le donne della comunità dissidente dello Scamandro, che si radunano da Anchise e coltivano il culto della Grande Madre Cibele; le coraggiose guerriere Amazzoni…

E se non fosse soltanto misantropia? E se non fosse soltanto vetero-femminismo?
Perché la De Filippi a “Uomini e donne” (esiste ancora questa trasmissione trash?), per rimanere fedele al titolo del suo spettacolo, non propone la lettura di questo libro con relativa discussione? Oppure oggigiorno la rappresentazione della dialettica uomo-donna evapora nella patinata contrapposizione tra veline e tronisti?

Bruno Elpis

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... l'Agamennone
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Cassandra 2014-01-20 21:41:21 Ale96
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Ale96 Opinione inserita da Ale96    20 Gennaio, 2014
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La terza via: vivere

Vi fu un tempo lontanissimo in cui a dominare non era l'uomo bensì la donna. Tuttavia il verbo dominare non è corretto. Dominio implica oppressione, schiavitù, ingiustizia. Tutto ciò non fa parte del pensiero femminile nel quale la guerra diviene discussione, il pregiudizio comprensione, la conquista condivisione.
Dunque era la donna a reggere questo atavico mondo. Non dei, ma dee. Non re, ma regine. Non padri, ma madri. E in questo grande alveare non vi era odio, invidia,ipocrisia ma amore, letizia, sincerità. Vi potevano essere controversie, lievissime tensioni che, tuttavia, venivano risolte attraverso la via del confronto e della disponibilità. Insomma quello era un mondo di pace. Non armi, non battaglie, non aggressioni. Stiamo parlando del matriarcato: un'istituzione, anzi, un modo di vivere, sentire, relazionarsi che a noi moderni appare leggendario, divino, impossibile. Invece è esistito e anche a lungo.
Però è scomparso. Per colpa di chi? Di un popolo di abietti, di “bestioni” vichiani che si elogiavano per i loro sanguinari fratricidi, per i loro incesti, per la loro gretta volgarità: gli indoeuropei. Millenni or sono, decisero di trasferirsi per esportare la loro violenza altrove e presto giunsero presso le acque cristalline del Mediterraneo dove scoprirono il superiore mondo del matriarcato. Pur essendo delle creature selvagge, avevano costruito dei mezzi di tortura orribili, le armi, con le quali in brevissimo tempo martoriarono ed estirparono quell'antico Eden. Allora dopo essersi stanziati diedero vita ad una nuova istituzione, il patriarcato che portò con sé egoismo, tracotanza, empietà. Prima di tutto,però, si adoperarono a demolire ogni rimasuglio della civiltà precedente: le donne non furono più dee, ma schiave; non più creature umane ma animali da riproduzione. E questa istituzione è giunta, sebbene mascherata dietro le parole diritto, uguaglianza, pari opportunità fino a noi. Eppure una donna estremamente sensibile, femminile nel pieno senso della paura, rimasta inorridita dalla degenerazione del mondo maschile, cercò di rifondare il matriarcato prima tentando una impraticabile riforma del maschio e poi riproponendo la via della pace e dell'equilibrio. Il suo nome è Cassandra e, non si sa per quale grande fortuna, è riuscita a sfuggire alla damnatio memoriae maschilista e a confessarsi a noi moderni grazie alle parole di una tedesca, Christa Wolf.

Dimenticatevi la guerra di Troia di omerica memoria. Achille è la bestia che stupra, massacra, deturpa per piacere sadico. Agamennone un impotente pusillanime. Elena un fantasma, uno stratagemma per giustificare un conflitto economico-commerciale. Priamo un vecchio irresoluto. Paride uno smorfioso viziato. Gli dei non esistono. I sacerdoti sono propagandisti del potere. Troia non è la grande città, ma un villaggio sterilizzato dal terrore, dall'ottusità di una dittatura militare.
A raccontarci tutto questo con una dura lucidità è Cassandra, la non più orgogliosa figlia di re di Priamo, prima tanto amato e poi realmente compreso. Sta aspettando a Micene sul carro la sua morte preannunciata e allora sfrutta il suo ultimo tramonto per ripercorrere la sua esistenza. Rivive la nascita, l'infanzia felice, l'affetto di genitori e fratelli, la lunga e vivida storia d'amore con Enea. Ma non può dimenticare lo sverginamento rituale, lo stupro consenziente da parte del sacerdote Pantoo e la guerra. La guerra che le ha fatto aprire gli occhi: Troia, il “palazzo” è diventata un'opprimente fortezza incancrenita dalla paura della sconfitta e dal militarismo di Eumelo. E' allora che ha cercato di cambiare la situazione, il mondo maschile ma non con la violenza sanguinaria dell'amazzone Pentesilea che voleva tutti gli uomini morti né con la seduzione della sorella Polissena che ha venduto spudoratamente il proprio corpo ma con le comunità pacifiche e autosufficienti lungo il fiume Scamandro, perché ( e ricordatelo bene) “tra uccidere e morire c'è una terza via: vivere”.

Christa Wolf con la sua opera brevissima ma estremamente pregnante demolisce la logica maschile dell'aut-aut, che ha causato solo miseria e devastazione. Ci propone una visione totalmente diversa, quella femminile fondata sulla sensibilità, sul dialogo, sull'apertura a nuove vie e ci chiede: è possibile oggi che una donna sia al potere? Non una donna che ha sposato la logica maschile ma una vera e propria Donna? E' poi possibile ricreare in questo mondo guerriero e menefreghista delle nuove comunità dello Scamandro, autarchiche e pacifiche?

Un libretto estremamente attuale, da leggere, interpretare, discutere. L'unica difficoltà è lo stile spezzato, ansimante, ellittico, irrazionale che tuttavia non può essere altrimenti dato la natura profetica di Cassandra. Un fiume che rompe gli argini della ragione e straripa, travolge, affoga. Buona lettura!

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