Cambiare l'acqua ai fiori Hot
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GRIGIORE E COLORE
Libro lento, morbido, avvolgente, che in modo estremamente delicato affronta i temi della morte, dell’amore e soprattutto il tema della morte di una figlia. La protagonista è una presenza discreta, una donna dagli occhi acuti, spaventati, dolci e diffidenti. Piano piano scopriamo che è stata colpita da uno dei lutti più difficili da metabolizzare e da superare e ne resta annientata, letteralmente anestetizzata nei sensi. Ma dato che più grande è la disgrazia, più eroico è il vivere, lo svolgimento della storia ci dimostra, in modo estremamente lento, che è possibile risollevarsi, che chiudere un cerchio può servire ad elaborare un dolore così grande, anche se comunque non può cancellarlo. Perché la morte è una presenza segreta, a volte assordante, a volte discreta, ed è possibile conviverci. Libro intriso di delicatezza, di rispetto, di
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Troppa roba
Succede di frequente che un libro del quale si dicono meraviglie si riveli poi una delusione. Per questo mi sono avvicinata a Cambiare l'acqua ai fiori aspettandomi poco e sono stata accontentata. Devo riconoscere alla Perrin che scrive bene. chiara, scorrevole, capace di destreggiarsi con molti personaggi e molte storie senza perdere un colpo. La storia e i contenuti però sono tutt'altra cosa. Tanto per cominciare molti dei personaggi sono delle macchiette: poco credibili, con atteggiamenti esasperati. Le loro storie, poi sono dei cliché portati all'ennesima potenza. Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Detto questo io ho comunque letto il romanzo fino alla fine e nelle ultime pagine con una certa curiosità, mista ad esasperazione perché la scrittrice non mi raccontava l'unica cosa che volevo sapere. A un certo punto ho temuto che fosse così dispettosa da lasciarmi senza sapere chi fosse il responsabile della morte di quattro bambine in vacanza in un castello. Alla fine però c'è arrivata seppur dopo lunghe digressioni di altro genere. Concordo con qualche mio collega che forse se il libro fosse stato più snello ci avrebbe guadagnato molto.
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Occasione sprecata
Violette Toussaint è la custode del cimitero di un piccolo paese della Borgogna.
Dalla sua casetta nel cimitero passano molte persone, per un fiore, un cordiale, una parola di conforto.
Un giorno arriva un uomo da Marsiglia con una richiesta molto particolare: la madre nelle ultime
volontà ha chiesto di essere seppellita in quel cimitero accanto alla tomba di quello che per
il figlio è un emerito sconosciuto.
Cerca forse il conforto di qualcuno nella decisione di approfondire la vicenda per capire il perchè della richiesta della madre.
E' solo una delle vite che si intrecciano con quella di Violette, che da anni non vede più il marito , uscito una mattina per uno dei soliti giri in moto e mai più ricomparso.
Questa è solo l'ultima parte del passato drammatico di Violette che affiora via via che procede il racconto, intanto attraverso un diario si svela la vita segreta della madre dell'uomo venuto da Marsiglia.
Il romanzo diventa ben presto una specie di giallo-rosa in cui c'è da fare chiarezza su un tragico evento del passato di Violette in cui le cose non sono andate come narra la versione ufficiale della polizia e paradossalmente quando dovrebbe diventare più intrigante ha già...stancato.
Può una vicenda parallela a quella principale rovinare un ottimo romanzo rendendolo inutilmente prolisso e abbattendo in modo drastico tensione e interesse nel lettore ? Hai voglia.....
A mio parere troppo "carnali" e di scarsissimo impatto empatico le vicende della madre dell'uomo di Marsiglia : noiose oltre che improbabili e a tratti irritanti: non aggiungono niente alla storia se non un pretesto per una relazione tra Violette e l'uomo (che originalità...).
Peccato perché è davvero ben scritto e con cento pagine in meno sarebbe stato un bel libro, bastava eliminare il tormentone erotico della madre dell'uomo di Marsiglia . Molto carine soprattutto le massime che fanno da introduzione ad ogni capitolo.
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Sopravvalutato
Dopo averne sentito parlare come di un "caso letterario dell'anno", ho deciso di provare a leggere anch'io questo libro ma non mi ha entusiasmata. La trama è abbastanza originale, interessante vedere la metamorfosi di Violette, la protagonista. Peccato però che a tratti il libro non scorre, diventa lento e molto ripetitivo. Mi sembra poi che in molti casi le relazioni fra i vari personaggi siano superficiali e puramente carnali. L'idea non è male ma manca decisamente qualcosa, si poteva fare di più.
Per quanto mi riguarda, sicuramente non lo definirei caso letterario neanche lontanamente.
Leggibile
È in fondo la storia di una resurrezione, di un riscatto di un’esistenza partita male, quella della protagonista Violette, personaggio del quale si segue una porzione di vita. È stata una giovanissima allo sbando e senza famiglia, una moglie infelice e una mamma amorevole. Tutte queste identità vengono progressivamente superate per andare a creare una nuova Violette, anche grazie al nuovo lavoro che intraprende dopo aver abbandonato il casello di una linea ferroviaria, del quale era custode insieme al marito: diventa infatti guardiana del cimitero di Brancion en-Chalon, mentre Philippe, dopo aver tentato di mettersi alle spalle il passato e il lutto che li accomuna- la perdita in circostanze mai chiarite dell’unica figlia Léonine- sparisce nel nulla. Per la prima volta Violette è libera di seguire i suoi sentimenti, le sue emozioni, di scegliere i suoi amici, di non aver paura di essere inadeguata. Ha una spiccata sensibilità per ascoltare gli altri che osserva nel momento più delicato della loro esistenza, quando accompagnano in cimitero i loro cari e li salutano per l’ultima volta. Lei è lì, presenza discreta, la sua casetta accoglie chi ha bisogno di conforto, chi cerca un caro tra le lapidi tutte uguali, chi non capisce perché la madre abbia voluto essere sepolta accanto a un perfetto sconosciuto …
La componente del mistero è il filo conduttore della narrazione che scioglie solo alla fine il segreto più importante, quello che permette, una volta conosciutolo, di poter elaborare il lutto o perdersi per sempre.
Aldilà della sinossi sibillina che è necessaria per non svelare più di tanto il contenuto del romanzo, tra l’altro abbastanza lineare e prevedibile, a parte lo svelamento finale, per i miei gusti forzato e al sapor di melodramma, direi che non vi è nulla più. Il romanzo è leggibile, a tratti gradevole, ampiamente caratterizzato da riferimenti alla cultura francese, per lo più musicali, potrebbe piacere a chi ambisce a una lettura poco impegnativa. Estiva al punto giusto.
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A' livella
“Cambiare l’acqua ai fiori “ di Valerie Perrin è esattamente quello che dice di fare, un ricordare, un raccontarsi, cambiare l’acqua, anzi di più, un rinnovare il liquido vitale, la soluzione fisiologica, zuccherina e vitaminica, dove sono immersi i nostri fiori, i nostri pensieri, quelli che ricordiamo, quelli che hanno scandito la nostra esistenza, i momenti lieti, quelli brutti, quelli, che sono i più, di ordinario scorrere dei nostri giorni. Cambiamo l’acqua ai fiori, ricordiamo, ricordiamoci, rinnoviamoci alla luce delle riconsiderazioni della raggiunta maturità, immersi in acqua fresca più nessun pensiero ristagna o imputridisce, si rinnova a nuova vita, lo rimettiamo a nuovo, rinverdiamo i colori, compie queste azioni l’acqua, l’acqua che a volte manca in una vita troppo arida.
“…la cattiveria è come il letame: anche dopo che è stato rimosso, l’odore rimane nell’aria a lungo…”
“Cambiare l’acqua ai fiori”, fatti i dovuti distinguo, descrive a modo suo, con altri termini, altra trama, con una protagonista femminile, ma identico sito, quanto già riporta “A’ livella”, la famosa poesia del Principe Antonio De Curtis, in arte Totò, soprattutto come detto per l’ambientazione, un cimitero, certo…ma direi finanche per un’etica, un rispetto, una delicatezza d’animo che aleggia e profonde come chiara, fresca e dolce acqua sia il romanzo che la lirica.
“Cambiare l’acqua ai fiori” è una metafora, un rendiconto, un rendez-vous, il racconto di un sunto da fare sul finire della propria esistenza.
Il fatto curioso, insolito, che conferisce una punta di novità alla trama è che Violette, la protagonista, tutto quanto detto lo fa proprio in un sito ad hoc per queste evenienze di trapasso dei ricordi da un passato ad un presente, un cimitero in un piccolo paesino della Borgogna, appunto, ma lo fa in una veste istituzionale che in genere non la immaginiamo indossata da una donna. Insomma, la signora non è che nel camposanto ci va in visita ai propri defunti, come normalmente staremmo a pensare, con un custode lugubre e baffuto che gironzola tra i viali, tutt’altro, Violette, nome di fiore, nel cimitero ci vive, e ci lavora. Il Nomen omen non si esaurisce nel nome di battesimo, il cognome è Toussaint, in italiano grosso modo si intende “Tutti i santi”, ma paradossale tutto il libro ha pochissimo, quasi nulla, questo è un romanzo serio, anche troppo, e per questo talora pesantuccio.
Inoltre, un po' troppo lungo.
Violette di giorno indossa un abito austero, pratico e professionale e si dedica a cambiare l’acqua ai fiori, si cura delle lapidi, rispetta e ama le anime affidate alla sua cura, conforta con cortesia, gentilezza, delicatezza ed una profonda empatia i dolenti in visita ai loro cari, non li considera la sua utenza, la sua clientela, ma i sodali da assistere nel loro cordoglio.
La signora Violette per assistere usa le parole, quindi parla, dice, racconta, ma può farlo efficacemente solo perché cambiare l’acqua ai fiori è un modo per prestare attenzione, ascolto, essere sodale:
“…Parlo da sola. Parlo ai morti, ai gatti, alle lucertole, ai fiori, a Dio (non sempre gentilmente). Parlo a me stessa, mi interrogo, mi chiamo, mi faccio coraggio…”
Poi di sera si ritira nel suo alloggio, toglie la divisa, indossa una mise agli antipodi con i panni finora indossati, e si riappropria della propria esistenza, diventa come tutti noi il cantore dei giorni della propria vita, la scrittrice di se stessa, riconsidera il proprio passato fatto di chiaroscuri, come quello di chiunque, più ombre che luci, in verità, e luci anche crudelmente forti, di quelle che accecano, tipo un matrimonio sbagliato, e di cui però ha appreso la lezione più comune, banale ed intensa al tempo stesso, forse proprio per questo inavvertita dai più: che i sentimenti sono come i fiori, perché crescano e restino belli, gioiosi, rigogliosi, l’acqua va cambiata, spesso e volentieri.
I sentimenti sono come figli, o figlie, sono fiori, e vanno curati con amore, sempre.
Lo dice a ragion veduta perché la signora ha occhio per i particolari, è stata una fotografa, e i particolari, i dettagli, le righe fuori margine, lo sfondo, parlano, raccontano, dicono tanto.
Perciò il romanzo della Perrin è corposo, un bel tomo, terra grassa, quella su cui i fiori prosperano, fiori con mille colori, quanti sono i dettagli della vita, perciò questo è stato un hit editoriale, ognuno trova quello che cerca e più gli aggrada, anche una storia d’amore, oppure un mistero, o anche un enigma su una misteriosa sepoltura, perciò questo è un libro multicolore, un romanzo rosa, giallo, nero, esattamente come i mille colori, i mille sentimenti che annovera l’esistenza, perciò questo è un testo a velocità variabile, talora va lento, talaltra più veloce, sempre comunque suscita la curiosità di sapere dove si andrà a parare, di che fiore si tratta.
Valerie Perrin ha scritto un bel libro, niente da dire, un bel narrato, su vari piani narrativi passato-presente, molto descrittivo, sinceramente sentimentale, ma nel senso buono del termine, certo non lezioso o melenso. Però ha scritto tanto, troppo. Credo che il suo lavoro, snellito, avrebbe presentato una linea più appetitosa. Dopo tutto, poteva condensare l’assunto che i sentimenti sono come i fiori, perché crescano e restino belli, gioiosi, rigogliosi, l’acqua va cambiata, spesso e volentieri.
Sempre, finché puoi farlo, perché la vita è quella che è, ci costringe ad arrabattarci per i motivi talora più astrusi, ma al tramonto, alla fine dei giochi, prende sempre la stessa forma, quello antico di una pialla da falegname, ci livella tutti in un unico sito, magari dove poi si trovano solo fiori finti, usi solo a raccogliere la polvere.
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La morte e i fiori
Visto le varie recensioni contrastanti non avevo nessuna aspettativa su questo romanzo. Avevo letto i commenti dai più entusiasmati ai più delusi.
Devo dire che la mia bilancia pende sul giudizio negativo, anche se forse per una prima metà del libro avrei detto il contrario.
Nella prima parte ho trovato gradevole la maniera di descrivere la vita quotidiana in modo leggero, a volte quasi comico, di una professione cupa come quella del custode di un cimitero. L’esorcizzazione di ambienti, momenti e argomenti riguardanti la morte mi aveva colpito piacevolmente.
Si nota però fin da subito un tono drammatico, anche se l’autrice cerca di nasconderlo con descrizioni di momenti leggerii. Ho avuto già dai primi capitoli del libro la percezione di una tragedia vissuta nel passato dalla protagonista e che questa avrebbe riguardato l’amata figlioletta.
E da un certo punto si è rivelato quello che avevo immaginato. Da quel momento, da quando annuncia che la tomba dell’amata figlia era a pochi metri dalla sua abitazione, il libro cambia scenografia e diventa solo una esposizione del dolore.
Una elaborazione di un lutto insopportabile.
Inizialmente dolore straziante, successivamente annientamento della propria esistenza, conseguentemente apatia e depressione per poi sfociare in indifferente rassegnazione.
In questa elaborazione ho trovato inutili e confusionarie le varie storie intercalate ma senza un vero filo conduttore. Speravo fino alla fine che si comprendesse un senso generale ma non mi è sembrato di avere percepito nulla. Forse unico collegamento: la morte come congiungimento di tanti amori. Ma questo sembrerebbe in contraddizione con la fine della storia di Violette. Ho trovato dispersivo il troppo dilungarsi delle indagini di Philippe e l’evolvere della sua storia con Julien.
Tutto per i miei gusti sotto la sufficienza.
Violette e la sua vita
Un libro in cui si parla di tante cose, soprattutto di Violette la protagonista, prima addetta di un casello ferroviario insieme al suo compagno e poi guardiana del cimitero. Dal vissuto di Violette si dipanano tante storie che si intersecano col racconto. Il testo a mio avviso colpisce per la capacità di incuriosire il lettore, su argomenti tragici come la morte di persone care, allo stesso tempo è leggero per la varietà di aneddoti riguardanti vari temi. Soprattutto è un resoconto e un mettere a posto i pezzi della vita di Violette A me ha colpito, per concludere la bella amicizia che nasce con una viaggiatrice incontrata a causa di uno sciopero dei treni, che blocca Celia di fronte al casello gestito da Violette. Celia invita Violette nella sua casa al mare
"Ho visto il Mediterraneo per la prima volta dal sedile posteriore della macchina di Celia. Ho abbassato il finestrino e pianto come una bambina. Credo di aver avuto il più grande shock della mia vita. Lo shock del maestoso"
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"Forte come la morte è l'amore"
«Forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione». La celebre affermazione del Cantico dei Cantici potrebbe riassumere il senso del romanzo Cambiare l’acqua ai fiori, ultima fatica di Valérie Perrin, grazie alla quale la scrittrice francese si è aggiudicata il prestigioso Prix Maison de la Presse nel 2018. Nell’ultimo anno il libro è diventato un vero e proprio caso editoriale.
Il romanzo è davvero molto bello, e il suo successo (centinaia di migliaia di copie vendute in Italia) è perlopiù dovuto al passaparola di lettori e librai, visto che comunque si parla di una scrittrice poco nota.
La protagonista è la misteriosa Violette Toussaint, quasi cinquant’anni, professione guardiana di cimitero in una cittadina della Borgogna. Dalla sua “postazione privilegiata” Violette ha la possibilità di vivere una quotidiana familiarità con la morte, soprattutto a partire dall’osservazione delle persone che fanno visita ai loro cari defunti. Lei stessa è segnata da un lutto che sembra insuperabile. Valérie Perrin racconta la sua burrascosa vicenda, attraverso continui rimandi tra passato e presente, delineando gradualmente i tratti di un personaggio da cui si fa fatica a staccarsi una volta terminata la lettura.
Attorno alla protagonista ruotano altre figure e altre storie, come quella del marito Philippe Toussaint, che la abbandona da un giorno all’altro facendo perdere le tracce di sé, dell’anziano Sasha, anche lui guardiano di cimitero, capace con la sua amicizia di restituire a Violette la voglia di vivere, degli amanti Irène e Gabriel la cui storia finisce per coinvolgere anche Violette, di padre Cédric, il parroco che con la sua fede sofferta ma incrollabile diventa per Violette una figura quasi paterna.
Tutti i personaggi devono fare in qualche modo i conti la morte, che quindi diventa il grande tema del libro, insieme a quello della rinascita. La questione viene trattata con profondità e delicatezza, mettendo soprattutto in evidenza come l’amore tra le persone faccia sì che esse diventino parte le une delle altre, dando vita a un legame così profondo da essere più potente della morte.
Nell’ultima pagina del romanzo appaiono le parole della Prima Lettera di San Giovanni: «Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita poiché amiamo i nostri fratelli. Chi non ama rimane nella morte». L’essere umano è fatto per la relazione e si compie solamente uscendo da se stesso per andare verso un altro. Cambiare l’acqua ai fiori sembra suggerire che solo qui c’è il vero superamento della morte.
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«L’albergo è l’inizio del viaggio. No, l’albergo è
Violette Toussaint è la guardiana. È lei che si prende cura delle tombe, è lei che custodisce le varie lapidi salutandole con un rituale cerimonioso dal quale è impossibile sottrarsi. Ed è ancora lei che in quel cimitero della Borgona vive quel che resta della sua vita. Apparentemente una donna poco incline alla cura del proprio corpo e del proprio abbigliamento, per sostituire la sobrietà di quel che generalmente la caratterizza con abiti sgargianti quando il turno giunge al suo termine ed ella si accomiata tra le mura della sua piccola e ricavata casina, è una donna che ha ricusato la cultura per molto tempo affidandosi al gesto e al sentimento, affidandosi alla “cura” e alla protezione di un uomo di dieci anni più grande di lei e avvezzo ad approfittarsi della sua ingenuità e mai al loro legame fedele. È una donna solare e dal grande cuore. Tra quelle mura conosce ogni abitudine, ogni rito che deve essere consolidato e portato avanti per onorare le anime che non ci sono più e mai rifiuta una parola di conforto o una parola gentile a chi ne ha bisogno. Del suo passato, tuttavia, non sappiamo nulla. Lo riscopriamo poco alla volta, lo ricostruiamo capitolo dopo capitolo in un lungo alternarsi tra presente e passato, in un continuo lasso temporale in cui veniamo catapultati in concomitanza con il prefigurarsi dell’arrivo di un poliziotto giunto dai lidi marsigliesi proprio per una onoranza funebre: quella di sua madre. A questa scomparsa, a questa dipartita segue una richiesta un poco strana in quanto la donna ha espresso la volontà di essere sepolta in quel paesino della Borgogna e per di più nella tomba di uno sconosciuto.
E così i legami tornano alla luce, riprendendo il proprio posto dopo un confinamento perpetrato tra oblio e oscurità, legami che si fondono e intrecciano con tante altre vite tra loro apparentemente discordanti e lontanissime quanto in realtà vicinissime perché tutte accomunate da difficoltà e insidie che hanno richiesto tempo, impegno, dedizione per essere medicate. A far da cornice a tutto uno sguardo ottimista, una prospettiva dedita a guardare il bicchiere mezzo pieno da parte proprio di colei che ha toccato gli abissi più profondi.
Per quanto la trama sia interessante e curiosa e per quanto gli intenti siano dei più apprezzabili devo però confessare di non essere riuscita ad entrare in sintonia con questo elaborato, anzi. Un primo elemento dissonante l’ho riscontrato nel risentire nel personaggio della protagonista l’essenza di un’altra antieroina, Renée, la portinaia del numero 7 di rue de Grenelle, il condominio teatro delle vicende del romanzo “L’eleganza del riccio”, un secondo elemento l’ho invece ravvisato nell’impostazione narrativa un po’ troppo prolissa, farraginosa e sinceramente ridondante. Arrivata intorno alle duecento pagine il lettore inizia a chiedersi cos’altro ci sia da dire nelle ulteriori duecento che seguono, il ritmo perde d’intensità e rallenta inesorabilmente al punto da mettere a dura prova il conoscitore. Per non parlare delle citazioni, delle frasi fatte espressione del pensiero di Violette che alla fine sembrano essere una raccolta, un prontuario quanto un quid in più atto ad avvalorare l’artifizio romanzesco. L’evoluzione della seconda metà è inoltre percepita quale eccessiva, fuorviante, discordante e quindi non in linea con quanto narrato nella prima. Stona, non poco. Ed è un peccato perché le carte in regola per riuscire ci sarebbero state tutte. Dall’idea al messaggio.
«L’albergo è l’inizio del viaggio. No, l’albergo è già il viaggio.»