Bournville Bournville

Bournville

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“Un romanzo ferocemente spiritoso e intelligente, ma anche tenero e lirico sulla Gran Bretagna, la britishness e ciò che siamo diventati.” Rachel Joyce. A Bournville, un sobborgo di Birmingham dove ha sede una famosa fabbrica di cioccolato, l’undicenne Mary e la sua famiglia celebrano il Giorno della vittoria sul nazifascismo. Ascoltano con attenzione la voce di Winston Churchill alla radio che annuncia la fine delle ostilità. Mary avrà figli, nipoti e pronipoti, sarà testimone di un’incoronazione, quella di Elisabetta ii, dell’indimenticabile finale della Coppa del Mondo del 1966, di un matrimonio da favola e di un funerale reale, quelli della principessa Diana, della Brexit e infine del Covid. Settantacinque anni di profondi cambiamenti sociali che hanno trasformato la famiglia di Mary e tutto il paese. Divertente ed emozionante, Bournville è la storia di una donna, della passione di un paese per il cioccolato e della Gran Bretagna.



Recensione della Redazione QLibri

 
Bournville 2023-01-03 14:38:19 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    03 Gennaio, 2023
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Cioccolato e vecchi merletti

La sua recente scomparsa ha destato impressioni, emozioni e sentimenti vari, magari opposti tra loro, in tutto il mondo. A lungo se ne è parlato, malgrado l’età avanzatissima la sua dipartita ha sorpreso tutti, perché vedete, per generazioni succedutesi negli anni, lei è stata una icona inscalfibile, un vero e proprio testimone dei tempi trascorsi.
Insomma, di eventi in circa un secolo, e che secolo, se ne sono succeduti tanti, veri e propri fatti storici e memorabili che si studiano nelle scuole di ogni ordine e grado, e lei c’era, li ha vissuti tutti, li ha gestiti talora in prima persona, era presente in prima fila. Una presenza rassicurante per il suo popolo, talora controversa, una figura particolare di cui tanto si è detto e di cui ancora tantissimo si dirà e si studierà, lei era la Regina, sapete, non di quella delle fiabe, una sovrana reale, lei era l’Inghilterra.
Parliamo come avrete intuito della Regina Elisabetta II del Regno Unito d’Inghilterra, più precisamente regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami del Commonwealth dal 6 febbraio 1952 all'8 settembre 2022: oltre 70 anni, per cui è stata direttamente o indirettamente testimone di eventi indimenticabili della Storia. Iniziando, giusto per dire, dai conflitti mondiali con le loro conseguenze su genti e territori da lei amministrati, e proseguendo via via con i cambiamenti degli anni ‘60 e ’70, mutamenti epocali tra i quali la devoluzione del potere nel Regno Unito e la decolonizzazione in Africa, poi la guerra nelle Falkland negli anni ’80; ancora, sempre come semplice esempio, ricordiamo che ha assistito alla caduta del Muro di Berlino e al disfacimento del regime comunista sovietico, il sorgere dell’epoca digitale, l’avvento di pc, internet e cellulari, per giungere all’entrata del suo paese nella comunità europea fin dal primo sorgere dell’UE, e finanche alla sua successiva fuoriuscita con la Brexit, fino a giungere ai drammatici recentissimi eventi della pandemia da covid-19, il lockdown e tutto quanto ne è conseguito e tuttora incide sui nostri giorni.
Il tutto, destreggiandosi allo stesso tempo abilmente con le problematiche familiari private, di necessità pubbliche per simili personalità, come valga per tutto l’esempio del disastroso matrimonio del proprio primogenito erede al trono con la principessa Diana, la principessa del popolo amatissima dagli inglesi, scomparsa in drammatiche circostanze in un incidente di enorme impatto emotivo per i suoi sudditi.
Tutto quanto ciò premesso è per dire che “Bournville” di Jonathan Coe né più né meno è, come Elisabetta, un testimone della storia inglese degli ultimi decenni, un romanzo di testimonianza diretta, altamente descrittivo delle emozioni popolari sorte in coincidenza con i fatti più eclatanti della storia inglese.
Questo è un libro dove l’autore assume a modello del suo dire un microcosmo, una comune cittadina della provincia inglese, Bournville appunto, con tanto di classica topografia cristallizzata:
“…un intero villaggio…Case, negozi, una chiesa. La chiesa è l’edificio principale, proprio al centro dell’abitato. Il campanile è così alto…Accanto ci sono il macellaio, il fornaio…il calzolaio…Tutti i negozi sono sulla stessa strada, una lunga via alla fine della quale c’è la piazza del villaggio, con la torre dell’orologio e il palco per la banda.”
Città naturalmente con la topografia per quanto statica tuttavia in evoluzione, come è giusto che sia, per cui i protagonisti stentano a riconoscerla dopo tanto tempo trascorso da quando se ne sono allontanati, come succede a chiunque.
Tutta la cittadinanza, come succede in simili piccole realtà, ruota intorno alle alterne vicende della più importante fonte di reddito del posto, una fabbrica di cioccolato, con i protagonisti che in quella lavorano a vario titolo e ruolo nel corso delle discendenze familiari, e Jonathan Coe ne fa lieto racconto, lo snoda attraverso gli anni seguendo le vicende dei primi attori sulla scena e poi i loro figli e nipoti, quindi è una descrizione attenta dell’evolversi di tradizioni, modi di pensare, di essere, usi e costumi, rivelati proprio dal vivere comune dei vari personaggi. Anche, e soprattutto, della morale corrente, basta vedere come erano ancora visti gli omosessuali appena pochi decenni or sono, detto da voci autorevoli:
“…Gli uomini come quello sono la feccia della feccia. Ricordati solo questo. La feccia della feccia.”
Non a caso il romanzo inizia la sera dei festeggiamenti per la fine dell’ultimo conflitto mondiale, termina ai nostri giorni con la paura del nuovo morbo, le restrizioni e le reclusioni a cui obbliga i protagonisti, fino ad un epilogo placido e naturale, esattamente come è il corso dell’esistenza di ognuno.
Un racconto normale, anche ben scritto, in pure stile britannico, con tanto di atmosfere british stile arsenico e vecchi merletti, anzi più precisamente cioccolato e vecchi merletti. Ecco, forse il limite del romanzo è proprio questo: certamente non è un libro sovranista o nazionalista, tutt’altro, però ha troppo un’impronta locale. Voglio dire, piacerà sicuramente ad un inglese, che ritroverà certamente l’evolversi della mentalità britannica nel corso del tempo, e il che è interessante, attrae, si fa leggere con piacere, ma credo piacerà un po' meno al lettore non anglosassone. Come chi scrive.
Certamente è un testo ironico, piacevole, a tratti divertente, ed è interessante leggere le reazioni e la partecipazione emotiva popolare il giorno dell’incoronazione della Regina Elisabetta II, giusto lei; e poi, la vittoria della nazionale inglese nel campionato mondiale di calcio del 1966, manco a farlo apposta battendo in finale la Germania, acerrima nemica nell’ultimo conflitto mondiale. E poi ancora, il matrimonio tra Carlo e Diana in una atmosfera fiabesca, fantastica, irreale, fuori del tempo, e l’altrettanto grandioso funerale della sfortunata Principessa. Come il ciclo della vita, non a caso ma per precisa e significativa scelta artistica di Coe, il romanzo termina in piena epoca appena post covid nel settantacinquesimo anniversario della fine della guerra, esattamente come il giorno in cui è iniziato.
Un testo che parla dell’Inghilterra, e del suo popolo, abbiamo detto; e però Jonathan Coe è scrittore di razza, in certe pagine riesce a farsi leggere, a farsi apprezzare, da ogni lettore; come, ad esempio, quando racconta dei giorni in cui infuria il Covid:
“…La pandemia, di cui forse stiamo vedendo soltanto gli inizi, ha già creato situazioni di grande crudeltà. Famiglie separate da enormi distanze, impossibilitate a vedersi per molto tempo…E naturalmente milioni di morti improvvise, premature. Milioni di vite spezzate, quando la gente pensava di avere davanti a sé ancora molti anni, forse decenni…”
E poi, con tono sempre più toccante, va oltre, è qui e ora che diviene scrittore universale, perciò di valore:
“…gli ultimi mesi della vita, li abbiamo vissuti attraverso lo schermo di un computer…Questi schermi, queste finestre sono le barriere di vetro, silicone, plastica che la pandemia ha innalzato tra noi. Siamo stati costretti a separarci e a comunicare con modalità che sono solo una pallida imitazione, a volte una parodia, di ciò che è un autentico contatto tra le persone… “
In sintesi, Jonathan Coe in “Bournville” parla della vita, e di noi tutti.
Perché per tutti noi l’esistenza è un mantra:
“Tutto cambia e tutto resta uguale”
Solo che Coe, tra le righe, fa risuonare le prime note di “God save the Queen”, o the King che dir si voglia. Ma non tutti sanno cantarla benissimo quanto un inglese.


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Jonathan Coe
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Bournville 2024-08-31 15:51:04 lego-ergo-sum
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lego-ergo-sum Opinione inserita da lego-ergo-sum    31 Agosto, 2024
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La Brexit per una barretta di cioccolato

No, lettore, non temere. Le barrette di cioccolato sovrimpresse al profilo dell’Inghilterra in copertina non preludono a nessun racconto di pasticciere raffinate, di bevande sospette per i loro effetti benefici sull'umore, di rinfreschi basati sul divino alimento e offerti per confortare austere, periferiche, vagamente depresse comunità del nord europeo.
Bournville è il sobborgo di Birmingham in cui si stanziò la grande fabbrica inglese della Cadbury col suo cioccolato che, durante la guerra, per la scarsità di burro di cacao, veniva prodotto con l’aggiunta di grassi vegetali. Vicenda noiosa, dirai. Tutt'altro: Jonathan Coe, con la su abilità di narratore, lega ad essa il culto per la tradizione degli inglesi, che anche dopo la guerra continuano ad amare la nuova formula, e sa cogliere, nella guerra commerciale dichiarata dalla Commissione europea al cioccolato britannico, una delle cause dell’avversione verso la Ue e del voto favorevole alla brexit. Nulla è infatti casuale nella costruzione narrativa di Coe e quella che appare una patetica, stantia abitudine di Mary Lamb, la protagonista della saga, puntuale nel far trovare ai figli, anche da grandi, il loro pezzo di cioccolato rigorosamente Cadbury, magari dietro le rispettive fotografie disposte sulla mensola del caminetto, si trasforma, attraverso la sua lente acuta di studioso delle vicende inglesi, in tratto antropologico profondo, da cui dipenderanno addirittura i destini futuri del Paese.
Questo legame con la tradizione appare non meno forte in Martin,uno dei tre figli di Mary, dirigente della Cadbury, che tenterà invano di superare le resistenze comunitarie al cioccolato inglese, cercando senza risultato la collaborazione di un deputato al parlamento europeo, Paul Trotter, protagonista di un’altra saga dello stesso autore, la Banda dei brocchi (non sono rari in Coe questi incroci di universi narrativi diversi).
Ancora più fermo nelle sue convinzioni nazionalistiche, antesignane dell’odierno sovranismo, è il primogenito Jack, che imposterà la campagna pubblicitaria della nuova Austin immaginandola come una guerra cui tutto il Paese è chiamato per fronteggiare l’invasione delle auto europee, in una sorta di riedizione commerciale del secondo conflitto mondiale.
Estraneo a questo tradizionalismo radicale incline al nazionalismo è il terzo figlio, Peter, musicista, che in qualche modo incarna, nel suo rapporto con la madre, le istanze dell’evoluzione e del progresso. Ragioni che si manifestano, quasi inaspettatamente, nella stessa Mary: un giorno Peter, ancora bambino, aveva sentito la madre definire “feccia del mondo” un vicino omosessuale agli arresti. Questo aveva indotto il ragazzo a tacere la propria condizione. Perciò, quando ormai grande si decide a parlarne alla madre stessa e questa lo accetta senza problemi, le ricorda, stupito, quel lontano episodio. Mary, personaggio concreto, risoluto, generalmente non problematico, sa dargli però la risposta più illuminata e pertinente possibile: i tempi cambiano, cambiano i modi di vedere la realtà, e con essi mutano gli uomini. Tutto si snoda, infatti, attraverso un arco di settant'anni, scanditi da alcuni eventi centrali (l'incoronazione di Elisabetta, i mondiali del '66 vinti dall'Inghilterra, i funerali di Diana, ecc.), che la famiglia segue, unita, attraverso la radio prima, la televisione poi. A ciascuno di tali avvenimenti corrisponde un capitolo.
Il tempo è dunque uno dei grandi temi del romanzo, anche se non sempre vi appare in un' accezione progressiva. Per Peter, l’ultimo movimento di una sonata che sta ascoltando è “come un urlo di dolore per il fatto più semplice e crudele di tutti: il trascorrere del tempo”.
Ma al di là delle trasformazioni cui gli uomini sono soggetti, nonostante la condizione umana sia contrassegnata dal modificarsi delle cose, esiste come una “voce eterea” che sussurra ripetutamente al nostro orecchio, simile a un mantra: “Tutto cambia e tutto resta uguale”, una sorta di rivisitazione della celebre sententia gattopardesca, con una accentuazione più esistenziale che storica.
Il tutto si traduce in una scansione non lineare del tempo narrativo e anche qui, come in altri suoi romanzi, Coe inizia e conclude con i personaggi più giovani, ancorati al tempo presente, dal quale muove e al quale approda il racconto.
In questo contraddittorio progredire e restare fermi, evolvere verso il futuro e ancorarsi al passato, oscillando tra la necessità del mutamento e un’idea immobilistica della società e del suo fluire, Bridget, la moglie di colore di Martin, è chiamata a svolgere, nel sistema dei personaggi, il ruolo più critico e corrosivo: in occasione della malattia della suocera, si scaglierà contro il cognato Jack e contro l’intera famiglia, accusandola di aver fatto sempre finta di non vedere che Gary, il suocero, l’aveva sempre ignorata dall'alto di un radicato e inestirpabile pregiudizio razziale.
(Spoiler) Il racconto termina con il periodo del covid, con gli errori del governo di Boris Johnson, e con una citazione minuziosa del decalogo sanitario con il quale si cerca di frenare la diffusione del virus, ma nel frattempo si lascia morire una donna anziana come Mary, separata, anzi, per meglio dire, col linguaggio di allora, “distanziata” dai figli.
E ancora una volta Coe ti commuove, ti fa riflettere con la sua ricchezza di temi, con la sua capacità di scandagliare il fiume della storia fino ai suoi rivoli più attuali, e ti fa rimpiangere che non ci sia nella nostra letteratura uno scrittore capace come lui di raccontare nei suoi aspetti più profondi ed essenziali una storia come quella italiana, non meno ricca di vicende interessanti e significative. Un cantore amabile e garbato, ma acuto ed epico, degli avvenimenti che hanno segnato e orientato il destino della nostra nazione.

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La trilogia dei Trotter (La banda dei brocchi, Circolo chiuso, Middle England), Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
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Bournville 2023-01-17 09:21:23 Paolo Fiorillo
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Paolo Fiorillo Opinione inserita da Paolo Fiorillo    17 Gennaio, 2023
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Storia di una famiglia e di ambiguità

il libro narra la storia di una famiglia, la famiglia Lamb, con la vita di Mary e dei suoi figli, dei sui nipoti, dei suoi genitori, di suo marito Geoffrey, dei suoi avi. Riprende alcune tappe importanti nella vita della monarchia britannica, contestualizzandola alle vicende familiari. Una modalità interessante è proprio quella di legare i momenti storici a fatti accaduti in contemporanea, o meglio, a cavallo col "fil rouge" della storia recente e contemporanea. L'autore pone in contrapposizione i riti secolari di una monarchia vissuta, a tratti come vecchia e passata, per altri in linea coi desideri della comunità britannica. Ciò comporta anche la capacità dell'autore di esibire questo contrasto evidenziando i punti di contatto tra la vita dei singoli con quella delle istituzioni e quelli tra la società che cambia ed un vecchio, mai desueto, conservatorismo. Il libro scorre, molto inglese nel costrutto e nel contenuto, è scritto bene, non è un capolavoro ma è piacevole da leggere.

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Bournville 2022-11-16 07:43:33 68
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68 Opinione inserita da 68    16 Novembre, 2022
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,,,Tutto cambia e tutto resta uguale…

…..” Tutto cambia e tutto resta uguale “….

Settant’anni anni di storia inglese filtrati attraverso gli occhi di Mary e della famiglia Lamb, sette tappe che iniziano dalle celebrazioni per il giorno della vittoria ( 8 maggio 1945 ) fino al suo settantacinquesimo anniversario ( 8 maggio 2020 ).
Una nazione che si specchia nella vita e nelle tradizioni della famiglia reale, nei film di James Bond, nei leggendari mondiali di calcio del ‘66, che fatica a ricostruirsi nel periodo post bellico, attraversata da un certo fermento culturale negli anni ‘60, culla di mode e cambiamenti, che vive di ricordi e di nostalgia per la grandezza perduta, si contrappone a Francia e Germania in una guerra economica che abbraccia l’ Europa intera, fiera del proprio pragmatismo, isolata dalla Brexit ( 2016 ), che celebra l’ anniversario della rinascita in pieno lockdown da Coronavirus.
Jonathan Coe ripresenta e rappresenta il cuore di una nazione al declino attraverso quattro generazioni di Lamb, al centro la fabbrica del cioccolato Cadbury e Bournville, una cittadina di classe alle porte di Birmingham, ridefinisce un certo inglesismo, contrappone l’ idea di provincia alla grande metropoli, critica aspramente le politiche di alcuni governi e i loro protagonisti, lo sciagurato Boris Johnson in primis, le contraddizioni del paese, contrappone lo sfarzo delle tradizioni monarchiche alla disperazione di una massa popolare indistinta.
La narrazione fa riferimento a personaggi di altri romanzi, pensiamo a Thomas Foley ( “ Expo ‘58 “ “ La pioggia prima che cada “ “ Io e Mr Wilder “) e alla sua famiglia ma anche al deputato Paul Trotter ( “ La banda dei brocchi “ e “ Circolo chiuso “) e l’ autore evoca la perdita della propria madre durante il lockdown del 2020.
Una caleidoscopica giostra di accadimenti, un distillato di inglesismo, un progetto ambizioso ma difficile da costruire e da rappresentare. Come ridurre settant’anni in quattrocento pagine senza cedere a una sintesi estrema, a superficialismi e banalizzazioni, come trasmetterne l’ essenza conservandone i contenuti? Piuttosto difficile, c’è il rischio di allontanarsi dal cuore del racconto e dalle sue profondità, scindendo semplici fatti di cronaca dalla vita reale, generando una fiction che restituisce di tutto un po’ ma priva della profondità e acutezza da sempre marchio di fabbrica dell’autore, quella forza espressiva che è genuina irriverenza e caustica rappresentazione di una grande nazione.
E allora che cosa rimane oggi di questa Inghilterra? Una monarchia che è tradizione, storia, tutto, una regina simbolo di un destino già scritto, una principessa del popolo, un paese con lo sguardo rivolto al passato, uno snobismo ricoperto di intelligenza, un pragmatismo che non eccelle in inventiva, il progressivo ripiegamento sulle proprie certezze, smarrite nel tempo, una …” combinazione di nazionalismo e di spirito ameno”...
Il romanzo accoglie scarni momenti di intensità in una seconda parte che ne riassume i contenuti, il microcosmo sentimentale di una donna mentre rievoca una vita intera, distillato di pensieri e di fotogrammi nel respiro degli accadimenti.
Ecco una madre e un figlio discorrere di vita e di amore ( Mary e Peter ) liberi di farlo, di quello che avrebbe potuto essere e non è stato, dell’ importanza di sentirsi liberi e se’ stessi. Ed ecco le lacrime di un uomo ( Geoffrey ) che …” settant’anni di storia e di avvenimenti personali e famigliari non gli hanno mai strappato “…, una donna ( Bridget ) invisibile alla famiglia per il colore della propria pelle, tollerata ma mai amata, che si sente un’ estranea da sempre e una giovane ( Susanne ) con velleità artistiche che esce dall’isolazionismo per farvi ritorno e scopre le proprie origini tedesche.
Ciascuno inevitabilmente cede a una dimensione personale, la storia all’ interno della famiglia, immagini di tradizione e solennità che scorrono e si ripetono uguali a se stesse, cos è successo in tutti questi anni, genitori, figli, mariti mogli, nipoti, nonni, una vita che richiede altro, tra ..” tradizioni sconvolte e mantenute”...
Quanto lo scorrere del tempo ha determinato il proprio e viceversa, quanto le riunioni famigliari davanti a un televisore, nei luoghi di culto e nelle pubbliche piazze rimandano un’ essenza o un semplice rito di passaggio, il tentativo di mantenere un cerimoniale, le proprie certezze, uno status quo che nasconde il fallimento, ciò che è visibile, l’ assenza di una reale condivisione e vicinanza?
Oggi la gente non si abbraccia più, si sfiora con i gomiti, il contatto umano ridotto a tabù, …” Il lungo lockdown non e’ nostalgia per il 1945, ma per i primi mesi del 2020, per quei giorni ormai lontani in cui si poteva uscire di casa e stare in compagnia di altre persone “….
Oggi il futuro è fragile, nebuloso, incerto, i nostri nipoti qui e altrove, c’è una donna anziana sola, isolata, al tramonto, che sente la mancanza di qualcuno con cui condividere i propri ricordi, che ritorna nei luoghi della memoria di una vita che fu con la paura di oltrepassare quella porta, di esporsi a un contagio invisibile ma onnipresente, in compagnia di se stessa e dei propri figli ormai sessantenni che non può incontrare….
Jack …” che non prende mai le cose sul serio “…, Martin …” troppo serio ma affidabile”… chiedendosi come ha fatto a crescere due ragazzi tanto diversi.
E poi c’è Peter….


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