Austerlitz
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Destino:solitudine.
Come nell’epos un ruolo determinante assolve la stratificazione di racconti derivati dal mito e tramandati oralmente, così questo romanzo incentra la sua riflessione sulla stratificazione operata dagli uomini negli spazi da loro abitati, vissuti e ideati per le più diverse necessità. La riflessione su di essi è dunque uno dei fili conduttori di questa scrittura che, cavalcando la professione del suo protagonista, Jacques Austerlitz è un professore di storia dell’architettura, conduce ad una presa d’atto della caducità delle stesse edificazioni umane e della loro necessaria, successiva e funzionale sovrapposizione. Ci sono in questo romanzo pagine imperniate su descrizioni dal fascino decadente che accompagnano il lettore nella scoperta di luoghi; può trattarsi di spazi fisici che abbiamo sicuramente presenti alla nostra memoria: spazi urbani per lo più riconducibili a città quali Londra, Parigi, Anversa, Praga o ancora spazi dismessi, riconvertiti, inglobati in nuovi scenari suburbani o ancora siti abbandonati o vecchi appartamenti dalla memoria lisa o ville dai gloriosi fasti passati o un ghetto tristemente noto per i disegni dei suoi bambini che furono poi deportati nei campi di sterminio di Treblinka e Auschwitz. Tutta la dimensione spaziale, accompagnata in molte pagine anche da scatti fotografici che documentano quanto descritto, si intreccia con quella temporale e con il racconto del narratore che, a più riprese nel corso degli anni, ha incontrato dapprima in modo casuale e fortuito poi in modo sempre più sistematico ma mai certo, Austerlitz il quale nel corso di questi incontri gli affida la sua memoria storica: il suo spazio e il suo tempo; dimensioni nel suo caso nebulose. Grazie al narratore possiamo anche noi conoscerne la storia assistendo proprio ad un recupero della dimensione spaziale che soggiace all’identità temporale di questo uomo venendo a conoscenza della sua storia personale sepolta in strati di memoria sopita. Un romanzo davvero originale che ci permetterà di sapere chi è Austerlitz, perché vive solo e rifugge il contatto umano, o ancora perché la sua identità di bambino, la sua vera identità , non gli si era rivelata prima che il suo destino di uomo adulto venisse costretto in una gabbia di auto isolamento.
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Dio salvi la traduttrice
Austerlitz è un romanzo atipico che può essere ricondotto senza troppi patemi al modello dello stream of consciousness. Nonostante Sebald riempia oltre trecento pagine, i fatti degni di nota sono ben pochi e la “trama”, se così si può definire, è estremamente annacquata. Austerlitz, indiscusso mattatore del libro, è uno studioso ed ex insegnante di inglese, amante dell’architettura, della scrittura e della riflessione che per caso incontra il narratore del libro, il quale a sua volta ne riporta le parole. Inizia così un lunghissimo viaggio temporale che parte dalla gioventù orfana di Austerlitz fino alla Parigi di fine Novecento passando per Londra, Germania e soprattutto Praga, sua città natale.
Ma la trama è tutta qui. Tra una fermata e l’altra troviamo minuziose descrizioni storiche e fisiche, talvolta estremamente tecniche, di edifici e architetture; ci imbattiamo in pensieri, elucubrazioni e riflessioni personali brillanti ma che sembrano non approdare a nulla; il tutto in un mare di parole.
Si ha come l’impressione (almeno mi è parso) che il testo sfociasse nell’egocentrismo di Austerlitz, che a sua volta si concretizza in estenuanti e aride descrizioni che si susseguono stancamente, creando, in conclusione, un’accozzaglia di esperienze. Quest’ultime descritte fin nell’estremo dettaglio tanto da risultare poco incisive.
Il libro non manca di buone intenzioni e di spunti interessanti, anzi tutt’altro, ma anch’essi naufragano nel mare di parole e immagini che si estende per oltre trecento pagine.
Non aiuta inoltre l’infinito periodare, a cui Sebald sembra tanto fedele, composto da subordinate, da subordinate di subordinate e da frasi incidentali che più delle loro “colleghe sintattiche” sommergono la già scarsa tensione narrativa e il corso del pensiero del protagonista. Richiede dunque molta attenzione, anche solo per individuare e poi ricordarsi la “frase principale” da cui il discorso parte.
Il libro propone comunque elementi interessanti che possono alimentare la riflessione personale, offre una varietà linguistico-lessicale propria di ben pochi autori, italiani e non; e trovo estremamente interessante l’utilizzo della corrispondenza testo-immagine come stratagemma narrativo. Al di là di questi piccoli pregi non mi sentirei di consigliare questo libro, se non a coloro che amano perdersi nei meandri dell’artificiosità linguistica.
P.S: vorrei qui sottolineare l’estrema bravura della traduttrice, Ada Vigliani, a cui va un sentito applauso per la finissima abilità di rendere la complessità della lingua di Sebald e della lingua tedesca, la cui problematicità, nonché ricchezza linguistica, ho avuto personalmente modo di affrontare durante gli studi. Chapeau.
FM
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Ulysses di Joyce
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Una vita in bilico
Può contenere spoiler.
Sebald è considerato forse il migliore scrittore tedesco degli ultimi decenni.
Dopo aver letto con piacere e ammirazione il breve testo "Il passeggiatore solitario", sulle tracce di un altro grande, Walser, mi aspettavo qualcosa di diverso da questo libro, "Austerlitz", salutato dai critici come un autentico capolavoro, il cui protagonista è un docente di Storia dell'Architettura, studioso solitario, spesso in viaggio per l'Europa, visitatore di luoghi particolari e, benché non in primo piano, alla ricerca delle proprie misteriose origini.
Qui non c'è quella lievità di scrittura che mi auguravo di trovare, bensì una prosa densa e corposa che procede come un fiume in piena, con un ampio periodare e lunghe frasi che si concatenano, in un continuo fluire compatto: 315 pagine con un solo 'punto a capo' , fortunatamente corredate da meravigliose fotografie in bianco e nero pertinenti al testo. Talvolta anche le note cromatiche sono adeguate all'effetto complessivo: "...due cigni candidi su un corso d'acqua scura"; "dai prati saliva bianca la nebbia".
Questo libro sfavillante di cultura ci regala anche alcune brevi e fulminanti immagini di personaggi che conosciamo: Schumann salvato "nelle acque gelide del Reno"; oppure Casanova, ormai vecchio e canuto bibliotecario del castello di Dux, tra uno sfarfallio di libri.
La dimensione più congeniale al protagonista è quella austera e solitaria ricca di suggestioni, in cui "prendere le distanze se qualcuno mi veniva troppo vicino", e non veder "altro intorno a me se non misteri e segni".
Una sala di lettura, "percorsa da leggeri mormorii, fruscii e colpetti di tosse", può essere un luogo consono, con l'incerta sensazione di essere "sull'isola dei beati o, al contrario, in una colonia penale". Oppure il cimitero, con "statue di angeli, perlopiù senza ali o comunque mutilate, che parevano impietrite proprio nell'atto di spiccare il volo". E a Parigi, su una tomba lungamente ricercata, scorge i nomi di due persone morte nel '44 ("morts in deportation"), dissolte "nell'aria grigia".
Indicazioni utili
letteratura tedesca contemporanea