Arancia meccanica
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Godimento pieno
Datemi questo libro, poi fatemi vedere la pellicola omonima, del genio dei registi della storia e mi farete felice.
L'ultra violenza al ritmo di uno dei illuminati della storia: Ludwig van Beethoven.
Uno dei pochi esempi in cui libro e film sono sullo stesso piano. Capolavoro uno, capolavoro l'altro.
La violenza nuda, cruda, senza motivo.
Il folle ghigno del drugo capo. La clinica psichiatrica popolata da cannibali umani, sia tra i dottori, che tra i secondini, per non parlare della follia che albeggia nelle menti degli internati.
Nessuno si salva, in questa società inglese, di un futuro prossimo.
Violenza, possibilmente ultra, stupri, barboni bastonati, vecchi decrepiti sporchi e cattivi, famiglie disgregate, città cupe e malinconiche, gruppi di diseredati che vagano con bastoni in mano, donne stuprate, medici sadici, guardie violente e lussuriose, delinquenti in erba che si dissetano con latte corrotto da anfetamine.
Sesso compulsivo, occasionale, disperato. Il discorso senza logica della massaia e del paparino che si dondola davanti alla televisione.
Padre e madre, che abbandonano il figlio mettendogli in camera un estraneo.
C'è tutto ciò che porta al caos, al nichilismo, al delirio sociale.
Il film (anche se oggi alcune scene possono sembrare un po datate) è violento e crudo, con una fotografia magistrale.
Il libro usa un linguaggio che mischia fantasia, frasi senza senso e cruda realtà.
Non cercate speranza, ottimismo, bellezza in queste pagine o nelle immagini.....abbandonatevi al futuro distopico che attende l'umanità e la sua fasulla modernità.
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Di Alex, ultraviolenza e mielestrazio.
Un'arancia a Orologeria – Anthony Burgess, 1962
L I E VE S P O I L E R
"Un bel mondo di luridi criminali quello che state cercando di costruire, tutti quanti.
(…)
E io pensavo tra me, che l'Inferno v'inghiottisca tutti quanti, se voi bastardi siete dalla parte del Bene allora sono contento d'essere d'altra sponda."
Questo è stato il secondo libro distopico dell'anno, dopo "Il Mondo Nuovo" di Huxley.
Già il titolo è leggermente pazzesco, dal momento che non si sa bene perché Burgess l'abbia scelto (slang, dialetto giavanese, pavlov…).
La spiegazione pavloviana è particolarmente affascinante perché Alex, il quindicenne protagonista della vicenda, sembra agire non per volontà propria, ma per una serie di archi riflessi.
E l'effetto è straniante.
Abbiamo un protagonista che compie azioni orrende, senza alcuna motivazione.
Non solo come se non potesse comportarsi diversamente, ma proprio come se non gli fosse dato porsi la questione; come sobbalzare per un rumore improvviso, o chiudere gli occhi quando si starnutisce.
Riflessi, appunto.
Peraltro Alex è l'unico personaggio a vivere questa mancanza di arbitrio. Gli altri hanno motivazioni o desideri. Lui no. L'unico momento in cui appare coinvolto in quello che fa è durante l'ascolto dell'amato Ludovico Van (Beethoven).
Alex commette le azioni più turpi, ma mantiene un qualcosa per cui non si può fare a meno di empatizzare con lui (o almeno. A me è successo questo).
Si potrebbe pensare che sia per gli occhioni sgranati (è proprio il caso di dirlo) di Malcolm McDowell, ma no. Il film non lo avevo ancora visto (però azzarderei che anche Kubrick possa aver preso in considerazione questo punto di vista).
E non è neppure l'effetto Holden (anche se più di qualche tratto comune, nel linguaggio che scelgono per i loro protagonisti Salinger e Burgess, io lo vedo).
Il linguaggio è indubbiamente l'aspetto che mi ha maggiormente intrigato del romanzo, perché la storia è narrata da Alex, in prima persona, con un linguaggio a prima vista difficilmente comprensibile (pieno di neologismi, assonanze, onomatopee, crasi e non so che altro), ma con sintassi e lessico sopraffino.
Con il protagonista che si rivolge al lettore direttamente, lo guarda negli occhi, gli chiede amicizia e comprensione, ammicca, dà di gomito, proprio mentre racconta del suo essere completamente privo di arbitrio, empatia, partecipazione.
In questo straniamento, secondo me, la "fortuna" del personaggio e del romanzo (e del film).
Alex ha qualcosa dell'automa, ed insieme qualcosa di perniciosamente umano; racconta la sua storia, la banda, le efferatezze, la musica, il carcere, la "cura Ludovico", la "bontà", il rientro a "casa", lo scioglimento finale, rivolgendosi all'amico lettore, sapendo di trovare in lui partecipazione.
Attraverso il suo personaggio, Burgess (che ha vissuto esperienze in cui è stato vittima di simil-Alex) "vede" una società che persegue il bene annullando il libero arbitrio, ma con la consapevolezza che "Un uomo che non può scegliere cessa di essere un uomo".
O come spiega Alex: "No, non proprio come un animale ma come uno di quei migni giocattoli che vendono per le strade, tipo dei piccoli martini fatti di latta e con una molla dentro e una chiavetta fuori e tu lo carichi trrr trrr trrr e quello pistona via, tipo camminando, O fratelli miei. Ma cammina in linea retta e va a sbattere contro le cose, sbam, e non può farne a meno. Essere giovani è come essere una di queste migne macchinette (…)Avrei spiegato tutto questo a mio figlio quando fosse stato abbastanza bigio da capire. Ma d’altra parte sapevo che non avrebbe capito o non avrebbe voluto capire e avrebbe fatto tutte le trucche che avevo fatto io, sì, forse avrebbe perfino ammazzato qualche povera pulcella bigia circondata da ràttoli e ràttole miagolanti, e io non sarei stato capace di fermarlo. Né lui sarebbe stato capace di fermare il figlio suo, fratelli. E sarebbe andata avanti così fino alla fine del mondo, gira e rigira, come un tamagno martino gigantesco tipo Zio in Persona (per gentile concessione del Korova Milkbar) che girava e rigirava tra le granfie gigantesche una lezzosa arancia saloppa."
E Burgess porta ad empatizzare con questi "migni martini" e poi lascia il lettore a fare i conti con questa sensazione, che non è mica bella.
Alex è l'orrore incomprensibile, che però in qualche modo si comprende.
Perché quando non riesce più ad ascoltare l'amato Ludovico Van si soffre per lui, quando la mamma e il papà lo mandano via perché lo hanno sostituito con un "figlio" più amorevole ed hanno dato via i suoi amati dischi è per lui che si sta in pena, così come quando viene malmenato e perseguitato (o almeno…così è stato per me. E penso anche Burgess e Kubrick).
E al momento di prendere congedo si fatica un po' a separarsi da questo personaggio incomprensibile.
Senza voler indulgere nel "mielestrazio", beninteso.
Curiosità.
Nella traduzione italiana di "Il Mondo Nuovo" e di "Un'Arancia a Orologeria", ricorre la parola "soma"; non nel senso di insieme di cellule, o di carico da portare sulla groppa (da cui "somaro"), ma come neologismo. Nel primo caso "soma" è una droga che dà felicità ed appagamento, nel secondo il termine significa "amico"/"compagno".
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Libera scelta di essere uomini
Devo dire che “Arancia meccanica” è un libro arduo da recensire, anche se non saprei dirvi precisamente perché. Una cosa è però certa: è un libro da leggere. Assolutamente.
A chi mi parla di violenza gratuita, rispondo che per me la violenza gratuita è lo splatter, per esempio, e questo libro non lo è; questo libro usa la violenza come canale di trasmissione per un messaggio importante, un messaggio che probabilmente in altri modi non sarebbe passato, o almeno non in maniera così efficace.
Burgess ci porta nel mondo sanguinolento di Alex, un giovanissimo criminale a capo di una banda di teppistelli, amante di quella che nel contesto narrativo è violenza gratuita, ma che ribadisco non lo è per il lettore accorto. Alex è un personaggio unico e riusciamo ad immedesimarci nel suo essere grazie alla intelligente scelta stilistica dell’autore, che adopera lo stesso Alex come narratore, ma non solo, lo lascia esprimere del suo colorito gergo da strada, che inizialmente potrà sembrarvi arduo ma alla lunga si rivelerà di grande efficacia e facile comprensione.
“Arancia meccanica” è un manifesto a sostegno della nostra libertà di scelta. Ognuno di noi ha in mente un’utopica condizione per l’umanità, ma se questa utopia venisse imposta, resa realtà con la forza, sarebbe comunque tale?
Alex è malvagio, a dei livelli davvero inconcepibili, eppure sentiamo dentro di noi una sorta di ingiustizia quando quest’ultimo è costretto a privarsi di sé stesso, derubato della possibilità di scegliere tra bene e male. Alex non è più in grado di fare il male, ma nella sua anima nulla è cambiato, la sua mente malata rimane tale, soltanto condizionata in modo da non poter più nuocere e mostrarsi per ciò che realmente è. Eppure, per quanto quella mente possa essere orrida, privare un uomo della sua umanità è ancor più orrido, e cosa è stato fatto ad Alex, se non questo?
L’uomo è tale in quanto libero di scegliere. Se sbaglia va punito severamente, questo è certo, ma impedirgli di essere in un certo modo lo priva anche della possibilità di cambiare, di crescere, di migliorarsi. Ed è più puro un uomo buono per propria scelta, o un uomo cattivo costretto a fare il bene per non vomitare? Alex è un emblema, più efficace perché la violenza è una qualità che vorremmo tutti estirpare in un essere umano, ma la sua storia vuole gridarci che vivere in un mondo dove gli uomini sono condizionati ad essere in un certo modo, potrebbe anche dar vita una società utopica, ma quella società non sarebbe popolata da esseri umani, ma da “arance meccaniche”.
Ora corro a vedere il film.
"Un uomo che non può scegliere cessa di essere un uomo."
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Fahrenheit 451.
1984.
A clockwork orange
Burgess scrisse “A clockwork orange” nel lontano 1961, traendo spunto per la scelta del titolo da una frase captata casualmente in un pub londinese.
E' un romanzo tutt'altro che superficiale, carico di contenuti e piacevolmente originale per lo stile di scrittura.
Il contatto con la voce diretta di Alex, senza filtri da parte di un narratore, produce senza dubbio un effetto travolgente per chi legge, obbligando il lettore ad accompagnare il protagonista mentre ricorda la sua esperienza di vita.
I ricordi di Alex scorrono con immagini e dialoghi crudi, reali e deliranti al tempo stesso, impietosi, sinceri; un profluvio di ricordi per parlare di una scelta di vita ben precisa che si chiama “violenza”.
Violenza per scelta personale, non imposta da ambienti sociali o familiari, violenza come sinonimo di normalità, senza ombra di pentimento o scrupolo.
Il monologo di Alex è disarmante a tal punto da richiedere una pausa di riflessione per il pubblico e chiedersi quale sia il significato del personaggio, quale il messaggio affidato dallo scrittore ad un giovane criminale.
Siamo di fronte ad una mente malata o in fondo a tanta malvagità c'è una chiave di lettura?
Le tenebre e la confusione si sciolgono strada facendo, quando appare una figura pronta a contrastare il cattivo, imponendosi sull'uomo con altrettanta violenza.
E' lo Stato, il potere assoluto sull'uomo, che col suo pugno di ferro tutto può piegare, tutto può decidere, adottando qualsiasi mezzo per condizionare le coscienze ed inculcare i propri principi.
Ecco che allora il dualismo messo in scena da Burgess si manifesta nella sua interezza, disegnando un mondo quasi orwelliano.
Serpeggia e si rafforza tra le pagine una critica aspra a qualsiasi tipo di oppressione, di condizionamento, di vincolo; la voce di Burgess sembra gridare il diritto dell'essere umano alla scelta nel bene e nel male e all'autodeterminazione di se stessi.
L'idea sottesa alla narrazione è incisiva e studiatamente costruita con toni sopra le righe, cavalcando con abilità il confine tra finzione e realtà, assurdo e probabile, lecito e illecito, il tutto accompagnato da un linguaggio creato ad hoc, capace di rompere anch'esso gli schemi della normalità.
Nessun dubbio sul fatto che Alex sia una figura pienamente riuscita, non solo personificazione della violenza, ma uomo dotato di una propria individualità, i bilico tra essere carnefice e vittima sullo sfondo di un mondo privo di colori.
Leggere questo lavoro di Burgess significa imbarcarsi per un viaggio complesso che attraversa la mente di un uomo e la mente di una entità superiore ad esso, e che lo si possa condividere o meno è indubbio il messaggio affidato a queste pagine.
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"A Real Horrorshow"
Arancia meccanica è probabilmente uno dei capolavori della letteratura moderna.
La storia ruota attorno ad Alex un ragazzo quindicenne a capo di una banda di "drooghi" che passa le serate dedicandosi all'"ultraviolenza".
La storia si divide in tre parti: la prima narra le "avventure" di Alex e dei suoi amici, la seconda dell'arresto di Alex e della cura Ludovico, infine si assiste al ritorno di Alex nella società.
Il libro è un inno alla libertà di scegliere e non (come alcuni sostengono) alla violenza fine a se stessa; ognuno deve essere libero di scegliere le proprie azione anche se esse conducono al male.
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Delitto e castigo in salsa cinebrivido
Le avventure del soma Alex, dopo trent'anni che vedo frammenti del film di Kubrick (lo vedrò come si deve appena possibile, sono curiosissimo a questo punto!), mi hanno accalappiato. Un po' di cià col mommo e via, in questa scala mobile verso gli abissi dell'animo umano. Alla fine è un'altra storia sul controllo mentale, come il coevo Va e uccidi (film con Sinatra che fu ritirato quando spararono a Kennedy, pochi mesi dopo), però è una storia che non si stacca facilmente dall'anima. Una storia da paura, come lo slang romanesco tradurrebbe il "cinebrivido" con cui Alex dipinge le cose che lo affascinano... una storia dove alla fine quasi si fa il tifo per questa aberrazione urbana quindicenne...
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difficile.....
questo libro mi ha colpito per il fatto che forse e' l'unico (tra quelli che ho letto) che parla del protagonista facendoci capire i suoi ragionamenti e le sue azioni e ci fa vedere perche' i "cattivi" si comportano in questo modo e cosa li porta a fare cio' che fanno...mi piace il senso che l'autore lascia dietro le righe, che ci lascia riflettere...
questo libro mi sembra che sia stato scritto negli anni '70..ma trovo che rispecchi la sitazione che anche al giorno d'oggi c'e', ovvero il rapporto tra i genitori e i figli...i genitori danno il massimo di se' per far crescere bene i figli e questi scelgono le strade sbagliate... d'altra parte poi c'e' lo stato (o il governo) che cerca sempre nuovi metodi per mettere la testa dei giovani a posto..
questo libro mi e' piaciuto molto ma e' un po' difficile da capire..
il film invece non mi e' piaciuto molto, perche' le scene di violenza sono molto esplicite, invece mentre leggi il libro puoi solo "immaginare" la violenza e questo e' un bene....
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- sì
- no
Arancia meccanica
Alex è minorenne, conosciuto dalle forze dell'ordine e già passato per il carcere minorile. E' il capo di una piccola banda di violenti, lui ed i suoi “soma” sono dediti con piacere a pestaggi immotivati, violenze sessuali, risse, rapine. A coronamento della sua carriera arriva anche l'omicidio, e il carcere. Il governo del paese ha il progetto di estirpare la violenza dalla società e Alex viene sottoposto ad un lavaggio del cervello e condizionato al rigetto della sola idea di violenza. Alex non avrà più la possibilità di scegliere, sarà ''buono'' per forza.
Il sentimento che fa scaturire Alex attraverso il suo racconto in prima persona, con il suo slang giovanile, spesso difficile da decifrare, è la pena, una triste pena. Alex non sceglie nella prima parte del romanzo; è violento, sempre e comunque, conosce solo quella lingua, e come tutti i violenti, fa pena, e non sceglie dopo il condizionamento; è per forza buono, non può decidere se fare bene o male, può fare solo bene, un docile automa che fa pena. La stessa musica che lui ''ama'', la classica e Beethoven in particolare, gli stimola violenza e dopo il condizionamento, non riuscirà più ad ascoltarla; privato anche di questo. Anthony Burgess, attraverso il racconto di Alex, ci pone davanti ad una scelta e non la rende facile; o un Alex socialmente pericolosissimo, stupratore ed assassino o un Alex automa, condizionato ad essere sempre inoffensivo. Se dovessi per forza scegliere, forse, per il bene della comunità, sceglierei il secondo, ma un governo, una società che possa, per legge, condizionare le scelte della persona fa orrore. Burgess, con questo romanzo, non esalta la violenza, peraltro scritto 40 anni fa, oggi è surclassato per litri di sangue da qualsiasi romanzo noir, ma pone l'accento su quanto possa essere pericolosa una società che condizioni le scelte degli individui. Accostabile a 1984 di Orwell, e forse a Fahrenheit 451, Arancia meccanica mina la fiducia incondizionata nel governo e nella giustizia. Un romanzo sempre attuale.
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Violenza gratuita...
La nostra libertà termina dove inizia quella del nostro prossimo.
Questo libro parla di violenza, di una violenza gratuita e priva di ogni ragione.
Le bravate di un giovane e della sua banda prima di essere imprigionato e reso inoffensivo da un condizionamento psicologico.
Prima di inneggiare alla libertà di scelta a cui tende ogni individuo occorre considerare anche il rovescio della medaglia e cioè il dolore e l'annientamento delle vittime su cui è ricaduta questa violenza gratuita, immotivata, asociale...
Se esiste una scelta che l'essere umano può compiere è quella di non nuocere a nessuno: mi viene in mente una variegata quantità di vicende di cronaca, fra cui spicca una in particolare...un gruppo di ragazzi annoiati e nullafacenti si misero, due anni fa sopra un ponte dell'autostrada e gettarono di sotto, dei grossi sassi che finirono sul tetto di un'auto in cui viaggiava un'ignara famglia che tornava dalle vacanze. Una ragazza giovane e il guidatore morirono con il cranio sfondato. l'auto uscì di strada...gli altri rimasero feriti gravemente. Se il messaggio di questo libro è quello di incoraggiare la libertà di scelta a tutti i costi io non la condivido. non esiste la libertà di uccidere e non deve esistere.
Questo libro, comunque per adulti, io lo definirei...spazzatura..e nella spazzatura deve finire...per i ragazzi poi è deleterio...l'esempio che indica non è certo edificante...il male non è mai una strada da seguire o da indicare a qualcuno...
Per queste ragioni, lo sconsiglio, sia agli adulti che ai ragazzi...
Saluti.
Ginseng666
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Scegliere ci rende umani
Questo è un libro che, indiscutibilmente, fa scalpore.
La scrittura è molto innovativa, il lettore si trova scaraventato, sin dalle prime pagine, in un mondo di cui non conosce le parole e non gli viene dato alcun aiuto per riuscire a penetrare il fitto slang utilizzato da Alex e compagni.
Anche il metodo di narrazione è piuttosto ostile al lettore: ci troviamo dentro la testa di Alex, sono i suoi pensieri quelli che leggiamo, e man mano che prosegue la lettura uno strano imbarazzo può impossessarsi di noi nel momento stesso in cui ci rendiamo conto che è Alex l'eroe di questa storia, stiamo proprio tifando per lui in fondo, nonostante la sua ultraviolenza.
E andiamo alla trama: il libro si incentra sulle bravate - chiamiamole così - fatte da Alex e dai suoi compagni, bravate che includono la droga, lo stupro e, come dicevo prima, l'ultraviolenza. Alex, non ha limiti. Almeno finchè non viene incarcerato. In carcere diventa la cavia perfetta per il cosiddetto "metodo Ludovico", un lungo processo presentato come del tutto innovativo che fa in modo che il ragazzo, alla fine, provi disgusto e dolore fisico al solo pensiero della violenza.
Ora, non vi svelerò come finisce il libro perché è piuttosto piacevole lasciarsi sorprendere dalle svolte che prende la storia, l'unica cosa che vorrei aggiungere riguarda il messaggio di questa storia.
Arancia Meccanica non parla di violenza.
Non è un romanzo "a tesi" che vuol solo dimostrarci che brutta fine si fa ad essere così sfrenati. Arancia Meccanica si serve della violenza, è solo un mezzo per giungere al vero messaggio: il valore della scelta.
Dopo esser stato sottoposto al metodo Ludovico Alex non è più in grado di scegliere. La sua non è una scelta libera, Alex non inizia a far il bravo perché ha compreso i suoi errori, ma soltanto perché non ha altra scelta.
Ed è solo alla fine, nell'impossibilità della scelta che Alex, paradossalmente, perde tutta la sua umanità.
A mio avviso l'innovazione di Arancia Meccanica sta proprio in questo: il messaggio prescinde da valutazioni morali ed etiche e punta dritto all'affermazione dell'essere umano. Nel bene o nel male, l'importate è essere sempre capaci di scegliere.