Anni lenti Anni lenti

Anni lenti

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Txiki ha otto anni quando per motivi economici la mamma lo manda a vivere dagli zii a San Sebastián. Lo accoglie di malavoglia il cugino Julen, taciturno e scontroso, che però in breve tempo gli si affeziona e, nelle loro chiacchierate notturne, cerca di appassionarlo alle idee indipendentiste che gli inculca il parroco del quartiere. L’occhio ingenuo del protagonista bambino fotografa le vicende della famiglia di adozione, dove lo zio Vicente, mite e debole, divide la sua vita tra la fabbrica e il bar, mentre l’autoritaria zia Maripuy, quella che realmente comanda in casa, non fa che litigare con la figlia Mari Nieves, ossessionata dagli uomini, che finirà per rimanere incinta di non si sa bene chi. Intanto Julen viene spinto ad arruolarsi in una banda dell’ETA, scelta destinata a generare sofferenza e di cui solo col tempo capirà davvero la portata. Con la sua scrittura nitida e lo sguardo candido e insieme impavido sulla realtà, Anni lenti è una storia di formazione sullo sfondo cupo degli anni Sessanta in cui il terrorismo basco muove i suoi primi passi, ma anche una riflessione ricca di ironia e profondità su come la vita possa essere distillata in un romanzo e il ricordo personale trasformarsi in memoria collettiva.



Recensione della Redazione QLibri

 
Anni lenti 2018-06-05 10:01:50 silvia t
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silvia t Opinione inserita da silvia t    05 Giugno, 2018
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Anni lenti

Mi sono approcciata a questo libro non conoscendo l'autore, spinta dalla trama che sembrava interessante, seppur non scevra da potenziali banalità, ma si sa dipende dalla penna di chi scrive rendere la più semplice delle storie una bellissima esperienza letteraria.
L'ambientazione è la Spagna degli anni sessanta, le prime cellule separatiste basche che si formano, l'odio che trasuda verso Franco, la quotidinità delle famiglie, l'universale grettezza del popolino.
Se c'è una cosa che almeno nella prima parte del romanzo è ben fatta è l'atmosfera, polverosa di quei quartieri bagnati da una pioggia minacciosa, lenta e incessante.

Non è stata una lettura che mi ha lasciata soddisfatta, ancora prima che per la sceneggiatura per lo stile.
La scelta di utilizzare la metascrittura mi è sembrata artificiosa e inutile al fine di far vivere la storia, perché se da una parte la contrapposizione tra le memorie del protagonista e gli apunti dello scrittore danno forza alla figura del protagonista stesso, dall'altra succhiano tridimensionalità a tutti gli altri personaggi, relegandoli nella penombra di un passato lontano col quale male si empatiza.

Si capiscono le intenzioni dell'autore, ma a mio avviso il risultato è privo di forza e alla sua conclusione non si rimane con nessuna immagine fissata nella mente, con l'impressione di non aver conosciuto nulla in più se, come me, non si era appreso prima da altre fonti.

Non mi sento di consigliarne la lettura, seppur abbia molte qualità, uno stle veloce e semplice, dialoghi mai banali, lessico colto, ma comprensibile e la simpatica caratteristica di mostrare come pensa uno scrittore mentre crea, i suoi pensieri, i suoi dubbi le sue paure; ma ripeto quello che secondo me è l'essenza della storia è soffocata da artefici stilistici, che sono certa hanno fatto la fortuna del titolo, ma che io non sono riuscita ad apprezzare in pieno.

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Anni lenti 2018-07-06 17:09:08 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    06 Luglio, 2018
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Txiki e Julen

Dopo il celebre “Patria” Fernando Arambaru torna in libreria con “Anni lenti”, opera in cui voce e io narrante è Txiki, bambino, all’epoca dei fatti, di appena otto anni che a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, viene mandato a vivere con la zia e i cugini a San Sebastian.
L’elaborato è impostato come un dialogo tra Arambaru, che veste i panni di recensore, di riportatore degli eventi, e l’ormai adulto protagonista che, tornando indietro con la memoria, ricostruisce la storia dei suoi cari ma anche della diffusione e affermazione dell’Eta. Il tutto avviene mediante le esperienze di ciascun personaggio; l’attenzione si sofferma sì sulla zia Maripury, vera padrona di casa, e lo zio Vincente, ma in particolare si focalizza sui due loro figli, Mari Nieves, e la sua passione ossessiva per gli uomini, e Julen che, indottrinato dal parroco della zona e dalle amicizie, si avvicina inesorabilmente alla banda terroristica tanto da arruolarvisi ed essere costretto a darsi alla fuga.
Dal punto di vista delle atmosfere lo scritto riesce alla perfezione riuscendo a rievocare quelli che sono i luoghi dove le vicende si sviluppano. Ma, se cercate un altro “Patria”, sappiate che resterete delusi. Perché? Perché al testo è come se “mancasse qualcosa”. È avvalorato da una scrittura minuta, elegante, forbita, precisa e dotta, una scrittura che alterna il ricordo agli appunti dello scrittore stesso sugli eventuali argomenti da trattare meglio, da approfondire, da sorvolare e via dicendo, ma questo fa sì che la trama e l’elemento centrale della storia, ovvero lo sviluppo dell’ETA negli anni sessanta, resti sullo sfondo.
La lettura pertanto riesce a farsi apprezzare soltanto in parte risultando lacunosa da un punto di vista contenutistico. Per quanto si apprezzi la precisione stilistica, per quanto si simpatizzi per l’eroe e le sue memorie, persiste anche un senso di insoddisfazione che è una costante intransigente.
Il risultato è che, chi non conosce lo scrittore resterà con un senso di confusione, perplessità, disillusione, chi al contrario già ha avuto modo di apprezzare il suo lavoro, ne resterà insofferente trovandosi spiazzato, sbigottito innanzi ad un volume che difficilmente riesce a ricondurre al novellatore.

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