Andorra
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Recensione della Redazione QLibri
L'implosione e il "mood writing"
Sua Grazia rediviva. Fulgida e adamantina come mai prima d’ora, proviene dal secolo trascorso a beneficio esclusivo del lettore italiano. Si riveste di una tavolozza chiassosa che non si preoccupa di infuocare le cornee della mente. L’occhio giubila al cospetto di un panorama che, dischiuso il broccato delle parole, non manca di mozzare il fiato e di accendere i sensi. Andorra. Di fronte a noi è il paese dei sogni, in cui perdere noi stessi, chiunque siamo stati, chiunque siamo, chiunque tenteremo di essere. Ed ecco che il miracolo è fatto, ancora una volta Cameron indossa gli allori ed incassa una vittoria meritata per aver evocato un frammento di mondo e averlo rivestito di tutti i gioielli del proprio scrigno, immortalandolo in una indimenticabile diapositiva che ci ricorda le Belle Lettere di un tempo che fu. Il granito rossastro che sfrigola sotto il sole di Andorra, quella torretta dell’Hotel Excelsior dalla struggente vista sul porto, offuscata dalle burle della mussolina. L’aulenta notte estiva che lancia ammiccanti bagliori tra i boccioli di bouganvillea. Un mondo che non esiste, un ideale romantico che perde il gusto per gli orpelli linguistici e che propugna invece l’essenza più pura e strutturale dell’utopia. Il discorrere di Cameron è Impressionismo verbale, pittoricismo letterario gonfio di una serie indicibile di immaginari affini che convergono in una sintesi contemporanea e affascinante.
In questo romanzo del 1997 Peter Cameron è già il nostro Peter Cameron. E’ quasi agli esordi, se si esclude la pubblicazione di una piccola raccolta di storie brevi del 1987 (che ho avuto la fortuna di ottenere dopo una strenua ricerca) e “The weekend”. Eppure egli è già maturo, non mostra indecisioni, non ripensamenti, nessuna pecca giovanile che faccia presupporre, ad un lettore poco informato, il periodo giovanile in cui “Androrra” è stato scritto. Solo il lirismo in technicolor risulta essere una caratteristica che va via via diminuendo con il progredire della produzione letteraria. Caratteristica che in questo romanzo rivela una sua potenza, una sua preponderanza e una sua centralità che risulta paritaria rispetto a quella di personaggi, settings e dialoghi. “Andorra” conferma ancora una volta lo svilupparsi di un filone di romanzi fondati sul nulla, su un minimalismo sinottico che viene redento e confezionato da uno stile inconfondibile, placido e visivo. Una vicenda di convenzionalità estrema come quella dell’espatrio volontario sta al centro di questo romanzo. Alexander Fox è un personaggio farraginoso, prototipico, che si reca ad Andorra con la ferrea volontà di stabilirvisi, al riparo dei frammenti taglienti di una vita andata in pezzi. Compra un diario dalla copertina damascata per riporvi i propri pensieri, fa la conoscenza di Mrs Dent, immigrata dall’Australia col marito, e la ricca famiglia dei Quay, un nucleo sociale tanto inconsueto quanto mielosamente blasé. Alex si insinua nel costume tipico di un paese accogliente ed ebbro di felici promesse, entrando in dinamiche sentimentali che tenteranno di minare la propria volontà di trovare un riparo duraturo contro le insidie del passato e del presente. Il concetto di identità e di relazione col mondo e col proprio posto in esso risulta il lampante messaggio che Cameron lascia tra le righe di “Andorra”. Lo fa, naturalmente, a suo modo. In quel suo modo peculiare che porta ad amare la circostanziata serie di perfezioni distribuite con generosità non solo in questo lavoro specifico, ma in tutte le opere della sua produzione. La figura che va delineandosi in relazione alle peculiarità di Cameron credo che possa essere definita come “mood writer”. Scrittore d’atmosfera. Perché è proprio l’atmosfera, generale e originaria di ogni momento della vicenda, che gioca un ruolo fondamentale nella fascinazione che si prova nei confronti di questi squarci idealizzati di mondo. Egli è un esteta che non rinuncia al tratto poetico, all’opportuno senso di compiutezza atmosferica che compendia ogni scena e ogni dialogo dei personaggi. Tutto è come dovrebbe essere, tutto è come vorremmo che fosse se anche noi ci trovassimo al fianco di Alex e Mrs Dent sul terrazzo panoramico affacciato sul crepuscolo sanguinante. Il senso di attrazione che si prova per quel dato momento, per quel dato istante così meravigliosamente completo è qualcosa di impagabile.
Credo valga la pena leggere qualcosa di questo autore, “Andorra” in primis. Anche solo per dare atto ad uno scrittore fondamentale della generazione contemporanea del grande merito e del coraggio profuso nella presentazione di una scelta stilistica in netto contrasto con le imperanti tendenze moderniste. Cameron, nella sua concezione “implosiva” di ritorno ad una letteratura di matrice ottocentesca, è ciò che si contrappone all’”esplosione” estremizzata che ha caratterizzato le lettere e le arti della fine del secolo scorso. Egli è la Transavanguarda dopo il Minimalismo, il preraffaellita dopo Cezanne, il manierismo che supera la trasgressione. Ed è tutto questo in modo tremendamente semplice, quasi modesto, in una dimensione di Garbo il cui concetto ho già espresso a proposito di “The weekend”.
Inutile dire, dopo tante nubi di incenso, l’interesse profondo che provo per questo autore e per le sue capacità di racchiudere una dimensione di piacevolezza e di diletto in una concezione letteraria che, benché non ne riprenda il lessico, si affianca notevolmente all’ideale romantico del contesto ottocentesco, reinterpretandolo e buttandolo nella tantità dei nostri odierni universi.
Ancora una volta, con rinnovata verve, un sincero invito all’approfondimento.
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La geografia dell'anima
“Ero venuto ad Andorra da uomo fallito e speravo che fosse la geografia a redimermi”.
Lo stato di Andorra e la sua geografia sono le protagoniste di questo romanzo originale e intenso, capace di tenere il lettore avvinto fino all'ultima pagina. Le descrizioni geografiche trasportano il lettore nella soleggiata capitale del piccolo stato europeo, La Plata; tra la piazza con la fontana, il teatro, la biblioteca, le ville meravigliose sui terrazzi si vive la magia di una città costruita ad hoc per accompagnare il protagonista nel suo viaggio interiore. Un romanzo di luoghi, di ambienti, evocati in modo da renderli concrete scenografie all'interno delle quali i personaggi sembrano solo marionette costrette a recitare la parte che ha pensato per loro il destino. I luoghi descritti richiamano un po' la snob Montecarlo, la turistica Portofino, le spiagge sono quelle del Mediterraneo e la città alta, Encampo, è una qualsiasi capitale del nord Italia, cementificata e triste. Si tratta di un collage di luoghi immaginati, o realmente vissuti, e non ha alcuna importanza che non sia la reale Andorra, perché Andorra è il luogo mitico in cui ricominciare una vita da brava persona, in cui dimenticare la tragedia non solo è auspicabile ma concretamente possibile, tuttavia l'illusione, come tutte le illusioni, è destinata a infrangersi contro le domande incalzanti degli abitanti di La Plata, desiderosi di conoscere le verità nascoste del protagonista, allo stesso modo in cui le onde si infrangono sulla scogliera in cui sorge il castello dorato della famiglia Quay, portando alla riva due misteriosi cadaveri. E così Andorra, inesorabilmente, si trasforma, da mitico paradiso, nella prigione terribile da cui scappare, perché ad Andorra non c'è vera libertà bensì uno Stato di polizia che è capace di accusare i suoi cittadini di delitti mai commessi. Come Rose Maculey è capace di ambientare un libro ad Andorra senza esservi mai stata davvero, così Peter Cameron inventa la sua Andorra, per restituire al lettore un viaggio nei più nascosti meandri della mente umana che arranca tra vaghi progetti futuri e la costruzione di veloci e incerti rapporti sociali e il fine ultimo è la ricerca del perdono, della comprensione e dell'amore in grado di salvare un'esistenza, come di condannarla in modo implacabile, all'inferno.
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Andorra
Non conoscevo ancora questo autore anche se tempo fa volevo leggere “Il weekend”; ciò che mi ha convinto a leggere proprio “Andorra” è stata l’ambientazione. Cameron infatti non descrive la vera Andorra, principato situato sui Pirenei al confine tra Francia e Spagna, ma, pur non cambiandone l’ubicazione, ne fa un Paese immaginario sul mare con una capitale La Plata e una specie di città periferica sulle montagne Encampo. Essendo il Paese molto piccolo La Plata non si espande in piano ma su terrazzamenti che fungono da quartieri. L’ambientazione è importantissima in questo romanzo, è per così dire il baricentro dell’intera storia. Il protagonista Alexander Fox, voce narrante, ci arriva da San Francisco con l’intenzione di iniziare una nuova vita dopo un grave lutto; l’incipit (che poi è anche il raggelante finale) ci spiega la sua scelta –“Tanti anni fa lessi un libro ambientato ad Andorra”-. Non c’è nulla che ci dia riferimenti temporali, né aerei né cellulari né telefoni né automobili, ma solo alcuni cenni dai quali si può immaginare un certo periodo.
Scopriamo che La Plata è una città popolata per lo più da stranieri che hanno portato in quella città le loro oscure storie pensando di ricominciare; Alexander Fox è l’ultimo arrivato in questa comunità di espatriati e viene subito in contatto prima con i Dent, una coppia di australiani, poi con i Quay, una delle famiglie più in vista del luogo. Tutti i personaggi però sono educati, molto british ma in qualche modo invadenti con l’intento di aiutare, non hanno un vero spessore psicologico, tutto rimane abbastanza in superficie persino quando entreranno in ballo i sentimenti e lo stesso protagonista attraversa le vicende, i luoghi e le conoscenze senza esserne veramente scalfito.
Ecco che ritorna l’ambientazione, claustrofobica, un luogo chiuso dove tutto accade dove tutti si conoscono. Il senso di disagio, di precarietà, di claustrofobia che ci accompagna per tutta la lettura è ancora più accentuato quando Alexander Fox viene sospettato di due omicidi avvenuti a La Plata e quindi entra in contatto con la polizia; questo punto del romanzo mi ha ricordato molto “Il processo” di Kafka: i lunghi corridoi, gli uffici scuri, gli impiegati inquietanti, l’onnipotenza della legge. Da questo Stato di polizia si cerca la fuga, attraversando a piedi le montagne come nel caso di Mr Dent o via mare come nel caso del protagonista. Sappiamo che c’è qualcosa ma non sappiamo cosa, abbiamo una sensazione di attesa, di ineluttabilità mentre leggiamo e l’autore è bravissimo ad alimentarla fino all’imprevedibile finale.
E finalmente scopriamo il perché di quella sensazione di soffocamento, di quell’ambientazione claustrofobica senza speranza, scopriamo perché non c’è un’unità di tempo cui fare riferimento: bellissimo! Trovo questo autore veramente geniale nella sua semplicità, scrive in maniera meravigliosa, essenziale ma non semplice, piacevole, un po’ come si scriveva nel secolo scorso, tuttavia ha una buona padronanza dello stile molto inglese anche se vive a New York ed è statunitense. E’ stata quindi per me una piacevole scoperta che sicuramente approfondirò al più presto con altri suoi romanzi.