Alabarde, alabarde
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Pagine nere e bianche
Un libro incompiuto…ci si può chiedere perché leggerlo, ma se si conosce già lo scrittore Samarago non è una domanda da porsi, perché vale la pena leggerlo, anche se, essendo ovviamente aperto, ti lascia tanti punti interrogativi. Alcuni fini a se stessi: cosa voleva raccontare concentrandosi sui misteri contabili degli anni ’30 di un’azienda dedita alla fabbricazione di armamenti? come sarebbe proseguita la storia? quante altre cose voleva dire? quanto sarebbe stato attuale? Altri anche esistenziali: uno scrittore che non fa in tempo a concludere un’opera… quante altre cose una qualsiasi persona può non avere il tempo di finire? E’ un piccolo libro che, senza leggere premessa, prefazione, post-commento, è di fatto una manciata di pagine che, anche se non finite, ti lasciano il segno, per tutte le riflessioni che comportano. Per le pagine scritte nero su bianco e per le pagine bianche che immagini solamente. Lo stile è nettamente il suo, originalissimo ed una delle cose che più amo di questo scrittore, fin da quando ho letto il suo capolavoro “Cecità”. Vale la pena di leggerlo senz’altro. Non forse per chi non conosce l’autore, perché sarebbe difficile apprezzarlo forse. Ma per chi lo conosce già, sicuramente merita tempo.
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Il tentativo del sassolino nell’Ingranaggio
Abbiamo un incipit di 3 capitoli ed un chiarissimo finale ad effetto:
“il libro terminerà con un sonoro Vai a cagare proferito da lei”.
E nel mezzo ci siamo tutti noi che ipotizziamo la nostra storia.
“ Mi sono reso conto, in questi ultimi anni, che sto cercando una formulazione etica: voglio esprimere, per mezzo dei miei libri, un senso etico dell’esistenza, voglio esprimerlo letterariamente”.
Credo che lo scopo sia stato raggiunto, non c’è espressione etica più letteraria, di lasciar sospeso il protagonista in balia delle sue scelte e stimolare la coscienza del lettore a tramare il seguito della narrazione di quest’uomo di fronte al suo bivio..
Il protagonista di questa storia è Artur paz semedo, un grande lavoratore nei servizi di fatturazione di armamento leggero. Artur è un uomo che ha preso la vita che gli è capitata e ha proceduto di conseguenza, nessun ambizione differente, nessun progetto, ha trovato lavoro nell'armeria allora si è innamorato di armi senza mai aver sparato un colpo ne fatto la leva militare.
Ha dedicato vent'anni della sua vita al mestiere che gli è capitato, l’ha fatto con estrema diligenza, con ignizioni di adrenalina filmica, ha accettato la conseguente separazione della moglie pacifista, senza mai batter ciglio, perché questa era la sua strada.
La sua diligenza è stata messa a servizio della dea Bellona, senza infama e senza lode, ma soprattutto senza un minimo dubbio etico.
L’uomo è il suo lavoro, nulla di più, o forse no?
Artur è l’ennesimo ingranaggio sociale, vittima dell’ignavia culturale del suo tempo, e per moto perpetuo conduce la sua vita senza porsi domande. L’unico modo di inceppare il meccanismo e dargli l’occasione di riflettere, è bloccare l’ingranaggio dall'interno, nelle sue vie più intime, attraverso l’affetto e la stima che ripone per la sua ex compagna e/o un colpo di scena in uno dei suoi film preferiti, e boom, il meccanismo si ferma.
E’ mai possibile un sabotaggio? Era questa L’etica di cui parlava la sua ex compagna? E’ possibile Sabotare, nonostante sia un’azione disdicevole per l’impresa in cui si lavora? Artur comincia a cercare, e non perché è il suo lavoro, perché lo desidera, perché è libero, allora è lui che farà della ricerca un suo lavoro.
“ad artur paz semedo piacque soprattutto l’avverbio di modo liberamente. Per la prima volta in vita sua, qualcuno, non uno qualunque, ma l’amministratore delegato in persona, gli aveva riconosciuto non soltanto il diritto, ma l’obbligo rigoroso di essere libero nel suo lavoro e, per estensione logica, in qualsiasi situazione della vita.”
In questa società tutto è un estensione logica al lavoro, mentre Saramago ci sottolinea l’importanza di scomporre gli addendi in gioco, mettendo l’etica alla base e facendo ruotare il resto della vita come estensione logica.
Il resto è Saviano, si, Saviano con un suo scritto che procede a modo suo, ipotetiche trame di cronaca contemporanea, ipotizza gli intenti etici dello scrittore traslandoli nel suo mondo e nel suo modo di narrare. Ammetto che mi sarei risparmiata il Saviano finale, se proprio doveva fare un approfondimento etico sull’autore, avrei preferito che ne avesse approfittato per parlare della loro amicizia, invece di riproporre una sua scrittura autoreferenziale, per quanto plausibile.
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chi sente l'esigenza di salutare questa grande firma,
con l'ultimo dono che ha potuto lasciarci.
Perchè la sua imminenza di scrittura in malattia non sia stata vana,
perchè la sua narrazione seppure sospesa abbia un continuo nella coscienza di ognuno di noi.
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Pacifismo incompiuto
“Alabarde Alabarde” è l’ultima opera incompiuta di José Saramago e si ispira agli spunti forniti da L’Espoir di André Malraux.
Dai tre capitoli disponibili e dagli appunti del premio Nobel portoghese si ricava l’abbozzo della storia: Artur Paz Semedo è impiegato in mansioni amministrative presso le “Produzioni Bellona S.A.”, azienda produttrice di armi. Artur si è separato dalla moglie: la pacifista Felicia non condivide l’acquiescenza del marito verso un’impresa che alimenta i commerci bellici.
Quando Artur decide di approfondire il passato della Bellona consultandone l’archivio storico (“Sono in archivio, e lei di là, Parla più forte, sembra che sei in fondo a una tomba”), viene a conoscenza di informazioni che stimolano curiosità e spirito critico (“Prima di arrivare alla guerra civile di spagna, dovremo passare ancora per quella dell’italia contro l’abissinia, contro l’etiopia…”).
Lo stile di Saramago è ribelle: si compiace degli anacoluti e non rispetta le regole ortografiche di maiuscole, minuscole e compagnia cantante.
I tre capitoli, che costituiscono l’incipit di una storia che possiamo soltanto intuire, vengono pubblicati con il racconto “Anch’io ho conosciuto Artur Paz Semedo” di Roberto Saviano. Che comincia con un panegirico (“Di tutte le cose che poteva fare José Saramago morire è quella più inaspettata") e poi prosegue con il refrain del titolo (“Anch’io ho conosciuto Artur Paz Semedo”) per narrare le storie di giornalisti corrispondenti, oppositori, cronisti, combattenti:
“Martin Woods. La sua arma era la precisione”
“Tim Lopes. La sua arma era la passione”
“Alfredo Corchado, corrispondente in Messico…”
A decretare la funzione dell’informazione: “Trovare parole semplici è il mestiere più complicato che sceglie di fare uno scrittore. Parole semplici incapaci di inganno. Parole forse in grado d’esser felici.”
Bruno Elpis