Ahlam
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Sogni
Se fossi araba, Ahlam è uno di quei nomi che mi piacerebbe avere. Il suono, anzitutto, ha qualcosa di dolce e affascinante (h aspirata e accento sull’ultima sillaba) e il significato è molto bello: “sogni”. Non a caso, alla coprotagonista di questo romanzo, la quale si chiama per l’appunto così, i sogni non mancano: realizzarsi come donna e come artista, ma anche vedere il proprio Paese, la Tunisia, libero finalmente da qualsiasi dittatura, politica o religiosa.
È la prima volta, in verità, che mi capita di leggere una storia d’ambientazione tunisina. Un noto pittore francese si trasferisce alle isole Kerkennah, un incantevole arcipelago lungo la costa est; laggiù l’uomo stringe una sincera e duratura amicizia con un pescatore del posto e la sua famiglia. Sono ancora gli anni del regime di Ben Ali, destinato poi a cadere sotto i colpi della Rivoluzione dei Gelsomini tra il 2010 e il 2011, nell’ambito di quella Primavera araba rivelatasi, in ultima analisi, stagione deludente e fallimentare.
L’autore, il francese Marc Trévidic, parla di tutto ciò in questo suo romanzo d’esordio, ponendo in particolare l’accento, da bravo giudice dell’antiterrorismo, sul fenomeno del radicalismo islamico. Purtroppo, nemmeno la Tunisia, pur così vicina a noi e sempre allettante per via del suo turismo a buon mercato, si sottrae all’estremismo fanatico di gruppi affiliati dapprima alla vecchia al-Qa’ida e ora a Daesh. I fondamentalisti sono pieni di contraddizioni, anzitutto per il fatto che, come ben documenta il romanzo, pretendono d’instaurare una società islamica pari a quella dell’epoca del Profeta e, al tempo stesso, vivono attaccati a internet e a tutta la modernità tecnologica che nel VII secolo d.C. era impensabile. Proprio sul web, più che nelle moschee, avviene la radicalizzazione dei giovani che, per buona parte, non leggono il Corano (anche perché magari non hanno una preparazione culturale tale da riuscire a leggerlo e a capirlo), accontentandosi di “riassunti” e interpretazioni molto discutibili pubblicati su internet da altrettanto discutibili predicatori. Con il loro fare sviliscono la grandezza dell’Islam, dimenticandosi che esso invita a usare il cervello, non a buttarlo nel cesso, e si definiscono perfetti musulmani, ma in realtà si servono della religione per esercitare una violenza che non trova giustificazioni. Sono del parere che il Profeta Muhammad li decapiterebbe tutti quanti, e a ragione, poiché persone del genere, che non è possibile nemmeno definire animali per non offendere le bestie, non sono di alcuna utilità al mondo, ancor meno alle società islamiche a cui appartengono, le quali, come vediamo, piangono anch’esse abbondantemente i loro morti negli attentati terroristici.
Il libro, in questo senso, dà diversi spunti di riflessione e mi è piaciuto nel suo insieme, inclusa la storia d’amore tra l’artista francese e la giovane tunisina Ahlam. Tuttavia, il mio voto è di quattro stelle non piene: ho trovato troppo precipitoso il finale, quasi buttato lì in tutta fretta, e poi mi ha fatto storcere il naso la poca accuratezza nel riportare alcune parole ed espressioni in arabo; mi domando se gli errori di traduzione siano imputabili all’edizione italiana o dipendano invece da quella francese. Già in copertina, per esempio, si legge “Ahlam in arabo significa « i sogni»”: invece no, significa “sogni” e basta, senza l’articolo determinativo, altrimenti sarebbe stato al-Ahlam, e questo lo sa persino uno studente di arabo alle prime armi. Del resto, perché non lasciare questo bellissimo nome nell’indeterminatezza, anzitutto grammaticale, come per ampliarne gli orizzonti? Meglio che i sogni, almeno quelli, non abbiano limiti né confini.