Addio alle armi
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Guerra e amore, la contrapposizione dei soggetti
Guerra e amore , la contrapposizione dei soggetti
Precisiamo subito una cosa: lo stile, la profondità, le tematiche di Hemingway sono inattaccabili. E non possono essere poste sotto alcun giudizio, tantomeno del mio, comune lettore. I suoi libri celebrati addirittura dal Nobel del 1954 (se non vado errato) dovrebbero fugare ogni dubbio residuo in tal senso.
Tuttavia, a fronte di questa premessa doverosa quanto necessaria, devo ammettere -altrimenti scadrei nell’ipocrisia fine a se stessa- che questo libro mi ha lasciato piuttosto scettico.
Avete presente quelle persone che, chiamate a prendere una posizione, di fronte ad argomenti sensibili decidono di rimanere sul vago pur di non scontentare nessuna fazione? Ecco quando leggo “Addio alle Armi” ho la sensazione che il buon vecchio Ernest si sia comportato esattamente in questo modo. E non è certo meritorio. Abbiamo due grandi temi: la guerra e l’amore. Questioni e realtà profonde, contraddittorie che meritavano ampie discussioni e una certa dose di profondità nell’analizzarle. Hemingway poteva essere l’uomo giusto. Ma ha deluso le aspettative.
Le ha deluse per il semplice fatto che non si è sbilanciato, come ho già fatto presagire sopra. Non si comprende se il suo libro voglia essere una condanna alla guerra o un’accorato ed emozionante attaccamento all’amore. Se tanto mi dà tanto sono arrivato alla conclusione che abbia voluto trattarle entrambi.
Beh, diventa difficile allora spartire in modo funzionale e in così poco spazio tematiche così alte e pretendere allo stesso tempo che il lettore ne rimanga soddisfatto. Perché così non è avvenuto. Non solo per me, ma per molti altri, come si può constare anche leggendo altri commenti pervenuti in questa pagina
Ci sono pochi dubbi sul fatto che Hemingway abbia alla fine voluto giocare sul doppio binario della guerra e dell’amore - che però non ha certo pagato in termini di soddisfazione -. Il titolo è esemplificativo: “Firewall to arms“ può significare Addio alle armi o Addio alle braccia. A seconda delle lenti indossate per la lettura del racconto.
Secondo questo schema possiamo dividere il racconto in due parti:
Nella prima predomina il tema bellico su quello amoroso. Lo stile è asciutto,distaccato privo di enfasi. L’aggettivazione e il superlativo sono come banditi nel descrivere il tema della guerra che pure avrebbe, per sua natura, ben merito di essere raccontato con una certa drammaticità stilitistica. Le Grandi Guerre sono state l’apice della follia umana e la morte di migliaia e migliaia di uomini per mano di altri migliaia e migliaia di uomini. Ecco che l’odio per il conflitto militare non lo si percepisce tanto nella narrazione dello scrittore quanto nel dialogo dei suoi personaggi. Poi se seguiamo l’ipotesi secondo la quale il protagonista, il tenente americano Henry incaricato nell’esercito della Croce Rossa, identifica lo stesso Ernest Hemingway, allora le seguenti parole sono proprio le sue: “La mia opinione è che bisogna venirne fuori da questa guerra e non possiamo smettere noi soli. Se no viene qualche cosa di peggio della guerra”
“È impossibile, peggio della guerra non c’è niente” è la replica di un altro personaggio del racconto, che insiste, “Tenente, già che con lei si può parlare senta: non c’e niente di peggio che la guerra. [...]. Quando la gente vede fino a che punto è cattiva, non riesce più a fermarla perché è diventata scema”. “Tutti la odiano la guerra”
Il dialogo che si legge in quelle poche pagine fa capire bene quale fosse il sentimento prevaricatore tra i commilitoni di Henry.
Nella seconda parte prevale il grande racconto amoroso che finirà come finirà (leggere per capire) caratterizzato però da dialoghi sdolcinati, banali e ripetitivi. Ne avevamo avuto già qualche assaggio durante la convalescenza del nostro eroe.
Per il resto faccio fatica a trovare ulteriori elementi degni di nota.
Nel complesso un libro piacevole che però non ci restituisce nulla di più di quanto già sappiamo sulla Grande Guerra. Acquisisce una sua cifra significativa se si accetta (mai confermata, però) l’interpretazione che vede questo libro come una sorta di autobiografica di Ernest Hemignway. Altrimenti, ci sono altri scritti del nostro premio Nobel che meritavano di essere letti, più di questo, perché autentici capolavori.
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- sì
- no
(Scrivere) la guerra e non l'amore.
Spoiler
Frederic Henry, americano, si trova sul fronte italiano nel periodo intorno alla battaglia di Caporetto. (24/10/1917); figlio di un diplomatico, si è arruolato volontariamente e guida le ambulanze. Si innamora di un'infermiera inglese, Catherine, resta ferito, viene curato, l'amata aspetta un bambino, lui torna al fronte, rischia di essere fucilato (per errore), fugge, si ritrova con Catherine a Stresa. La coppia, braccata dalla polizia, ripara in Svizzera dopo una fortunosa traversata del Lago Maggiore. Qui la gravidanza procede, ma Catherine muore per emorragia, a Losanna, dopo aver dato alla luce un bambino morto.
La mia idiosincrasia per (certe) storie d'amore è ben nota, e – ahimè – questa non fa eccezione.
Ma ridurre "Addio alle Armi" ad una storia d'amore è davvero un grosso errore di prospettiva, secondo me. "Addio alle Armi" è un romanzo di guerra, con una storia d'amore incidentalmente dentro (per riferimenti: Fenoglio, Crane, etc).
Pazienza.
Pazienza che Catherine sia stucchevole e che con lei lo diventi pure Frederic.
Pazienza anche per alcuni dialoghi smielati e onestamente noiosi, perché sono veramente poca cosa.
Perché Hemingway, di che pasta è fatto, lo tira fuori già nell'introduzione (1948):
"(…) C'erano sempre persone pronte a domandarsi perché costui (l'autore NdA) si preoccupa tanto e ha l'incubo della guerra, ma, dal 1933, forse è visibile che uno scrittore deve interessarsi di quel perpetuo e oppressivo, sporco delitto che è la guerra. Avendone fatte troppe di guerre, ho certamente dei pregiudizi in materia e spero averne molti. Ma è ragionata convinzione dell'autore di questo libro che le guerre vengono combattute dalla miglior gente che c'è, in un paese, o diciamo da una media dei suoi abitanti (quantunque avvicinandosi ai luoghi dove si combatte la gente che si incontra è sempre più quella migliore); le dirigono invece, le hanno provocate e iniziate rivalità economiche precise e un certo numero di porci che ne approfittano.
Sono convinto che tutta questa genia pronta ad approfittare della guerra dopo aver contribuito alla sua nascita, dovrebbe venir fucilata il giorno stesso che essa incomincia a farlo, da rappresentanti legali della brava gente candidata a combattere.
L'autore del libro, si incaricherebbe molto volentieri di queste fucilazioni se legalmente ne avesse la delega, dai candidati a combattere; si impegnerebbe a farle eseguire con tutta la possibile umanità e correttezza e a far sì che tutti i corpi ricevano degna sepoltura. Si potrebbe anche pensare a seppellirli con un rivestimento di cellofan, o di qualcuno tra i più moderni materiali plastici. Verso la fine della giornata, se ci fossero prove che ho contribuito anch'io a provocare la nuova guerra o non ho debitamente eseguito il mio incarico, accetterei benché malvolentieri che il medesimo plotone d'esecuzione fucilasse anche me, e di venir seppellito con o senza cellofan o di essere lasciato nudo su una collina.
Ecco il libro, dunque, poco meno di vent'anni dopo e questa è l'introduzione."
La guerra, la morte, l'umanità, la società sono al centro della riflessione dell'autore.
È la "generazione perduta" senza ideali, sogni, speranze e fede.
È un individuo "ripiegato" quello che emerge da questo romanzo, che solo nella chiusura in sé e nei pochi affetti superstiti trova uno spiraglio per sopravvivere. Non ci sono neppure il titanismo e il "furore" di Tom Joad.
Emblema di questa "generazione perduta" è Rinaldi, ufficiale medico ed amico di Frederic. Rinaldi con il progredire della guerra e della – parallela - riflessione sull'inutilità della medesima, perde le sue caratteristiche di buon umore e vivacità e come Frederic si chiude. Ma, invece che nell'amore, si rifugia nel lavoro, nell'alcol, nel sesso:
"- No. Mi piacciono due cose sole oltre il lavoro, una è cattiva per il lavoro e l'altra dura mezz'ora, o un quarto d'ora, qualche volta di meno. -
(…)
- No, non viene mai nulla di nuovo per noi. Con quel che abbiamo ci siamo nati, e non impariamo niente. Non viene niente di nuovo per noi. Partiamo completi."
Solo l'umanità, dolente e annichilita, resta anche se per poco, in balia della vita e della morte.
Le parole che Hemingway, attraverso Frederic, spende sulla guerra (e sui nostri italici vezzi) sarebbero da mandare a memoria e da ripetersi, almeno una volta al giorno:
"(…) rimanevo sempre imbarazzato dalle parole “sacro, glorioso, sacrificio” e dall'espressione “invano”. Le avevo udite anche in piedi sotto la pioggia e quasi fuori di portata dalle mie orecchie, quando solo le parole strillate forte riuscivano ad arrivare, e le avevo lette in proclami incollati ai muri sopra altri proclami, molte volte oramai, e non avevo trovato niente di sacro e le cose gloriose non portavano nessuna gloria, e i sacrifici in realtà avvenivano come nei mattatoi di Chicago: con la differenza che qui la carne andava in sepoltura. Erano molte le parole che non sopportavo più di sentire, e solo i nomi dei paesi avevano ancora dignità, e certi numeri, certe date. Rappresentavano tutto quanto aveva ancora un significato. Le parole astratte: gloria, onore, coraggio o santità sonavano come oscene rispetto ai nomi dei paesi, di numeri delle strade e ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti, alle date."
Non di meno, la riflessione, lucidissima, mai commossa, né compiaciuta di Hemingway sulla vita non è la cosa che ho amato di più di questo romanzo.
La cosa straordinaria non è solo "quello" che è scritto, ma "come" viene scritto.
Generalmente sono una grande amante dei dialoghi. Mi piace come un autore, attraverso i modi di parlare e i gesti del linguaggio parlato riesca a far vivere i personaggi. Mi sembra sempre che sia dando voce che si crei un personaggio credibile (dev'essere uno dei motivi per cui non apprezzo Tolkien, e, peraltro, faccio la logopedista. Riflessione estemporanea).
Hemingway tutto questo lo fa con le descrizioni.
Spesso molto brevi, a regalare un senso particolare solo con una tranquilla sinestesia ("Il locale odorava di primo mattino, di polvere sollevata dalla scope, di cucchiaini nei bicchieri e di cerchi lasciati dai bicchieri"), altre volte sono lunghe.
E con una di queste "lunghe" prendo congedo.
È la descrizione del ferimento di Frederic. Credo che sia uno dei brani più belli che abbia mai letto e che – senza ulteriori noiose aggiunte da parte mia – illustra perché questo romanzo vada letto.
"Finii il mio formaggio e bevvi un altro sorso di vino; tra i diversi scoppi avvertii altri colpi di tosse e uno sciù-sciù-sciù, e poi una vampata come se si spalancasse lo sportello d'un altoforno dentro uno strepito che cominciò bianco continuò rosso e via e via corse in una grande tempesta, cercai di respirare ma il respiro non voleva venire, e mi sentii scagliato a tutta forza fuori di me stesso, ancora fuori e ancora fuori, a tutta forza, nel vento. E tutto il mio essere usciva rapidamente da me e sentivo d'essere morto, e insieme che era uno sbaglio credere d'essere morto. Poi un tornare a galla, ma invece di risalire mi sentivo sdrucciolare all'indietro. Respirai, e mi trovai disteso sulla schiena, su un terreno sconvolto. Davanti alla mia testa stava una trave schiantata. Tra lo stordimento sentivo piangere qualcuno. Mi parve che gridassero. Cercai di muovermi ma non potevo muovermi. Udivo le mitragliatrici e i fucili sulle due rive e lontano lungo il fiume. C'era melma intorno a me, e le stelle dei proiettili salivano e scoppiavano e galleggiavano in cielo con una luce bianca, e vedevo salire razzi, udivo le bombe. E poi udii appena in fondo al mio corpo:
- Mamma mia! Oh mamma mia! - Mi stirai, mi contorsi, e finalmente riuscii a liberare le gambe, a girarmi e arrivai a toccare quello che si lamentava. Era Passini, quando lo toccai urlò. Teneva le gambe rivolte verso me e negli squarci luminosi le vidi sfracellate sopra il ginocchio. Una era già staccata. L'altra era trattenuta solo dai tendini e dai brandelli dell'uniforme, e il moncone strappava per conto suo, vibrava come un corpo a sè. Passini si mordeva il braccio e gemeva.
- “Oh mamma mia, mamma mia” - poi - “Dio ti salvi, Maria, Dio ti salvi, Maria” - , - Oh Gesù fammi morire, “Mamma mia, mamma mia”, oh purissima adorata Vergine Maria, fammi morire. Basta. Basta. Oh Gesù, Vergine cara, basta. Oh, oh, oh - poi rantolando - “Mamma, mamma mia.”
E poi tacque, col braccio tra i denti, mentre il moncone vibrava ancora.
- Portaferiti! - gridai dentro le mani a portavoce. - Portaferiti! -
Tentai d'avvicinarmi ancora a Passini, per cercare di tamponargli le gambe, ma non riuscivo a muovermi. Tentai ancora e le gambe si spostarono un poco. Riuscii ad avanzare a ritroso, puntando sulle braccia e sui gomiti. Passini era tranquillo adesso. Mi tirai su a sedere vicino a lui, gli aprii la giubba e cercai di strappare un pezzo della mia camicia ma non voleva venire e diedi un morso alla tela, verso l'orlo, per lacerarla; poi ricordai le sue fasce. Io avevo i calzettoni ma Passini portava le fasce. Tutti i conducenti portavano fasce. Ma a Passini restava solo una gamba. Sciolsi la fascia, ma durante l'operazione vidi che non c'era più bisogno di tamponare nulla; era morto. Mi accertai che era morto.
Volevo sapere degli altri tre. Cercavo di tener su la schiena, e sentii, allora, nella mia testa qualcosa che si agitava rigidamente, come il meccanismo degli occhi d'una bambola, e un gran dolore all'interno dietro le pupille. Le gambe erano tepide e bagnate e le scarpe erano bagnate e tepide anche loro, all'interno. Capii che ero ferito, mi piegai in avanti e misi una mano sul ginocchio, ma il ginocchio non c'era più. Scesi ancora con la mano e trovai il ginocchio. Era andato a finire sulla tibia.
Mi asciugai la mano nella camicia. Una luce nuova galleggiava intanto nell'aria, scendeva molto lentamente su me guardai alla gamba ferita ed ebbi paura.
- Oh Dio - dissi, - fammi uscire di qui. - Ma non mi dimenticavo degli altri. I meccanici erano quattro. Passini era morto.
Ne restavano altri tre. Mi sentii sollevare per le ascelle e per le gambe.
- Ce ne sono altri tre - dissi. - Uno è morto. -
- Sono Manera - udii. - Siamo andati a cercare una barella, ma non abbiamo trovato niente. Come sta, Tenente? -
- Gordini e Gavuzzi dove sono? -
- Gordini è a farsi medicare. Gavuzzi è quello che la tiene per le gambe. Si attacchi bene al mio collo, Tenente. E' grave la ferita? -
- Alla gamba. Come sta Gordini? -
- Una cosa da nulla. Ma è stato un bel colpo di mortaio! -
- Passini è morto. -
- Lo so. -
Arrivò un proiettile vicino a noi, tutti e due si buttarono a terra lasciandomi cadere.
- Ci scusi Tenente - disse Manera. - Si tenga bene al collo. -
- Se mi lasciate andare un'altra volta... -
- E' stata la fifa. -
- Voi due non siete feriti? -
- Roba da poco. -
- Gordini potrà guidare? -
- Credo di no. -
Prima di arrivare, mi lasciarono cadere di nuovo.
- Figli di puttana - dissi.
- Ci scusi Tenente - ripetè Manera. - Ora non succederà più."
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Più amore che guerra
Quest’anno, come noto, ricorre il primo centenario della Grande Guerra, che per l’appunto per noi avvenne con l’inizio delle ostilità fissato per il 24 maggio1915. Non è un caso quindi se in questo periodo leggo molti libri sulla prima Guerra Mondiale e fra questi non poteva mancare – ma trattasi di opera da me letta anni fa – Addio alle armi, di Ernest Hemingway, scrittore americano assai noto che pur tuttavia non stimo molto per quel suo stile troppo distaccato e certe tematiche che non mi sono appetibili. Di questo romanzo, pubblicato nel 1929, si è da più parti detto che è un’opera fra le migliori di quelle che trattano di questo grande evento bellico; personalmente non sono d’accordo, perché se è vero che l’epoca è quella prima, durante e dopo la ritirata di Caporetto, il conflitto rimane sullo sfondo e dubito perfino che in buona parte sia frutto di un’esperienza personale (Hemingway prese parte alla guerra come conducente di ambulanze) perché proprio in quello scorcio di anno 1917 lo scrittore americano, con ogni probabilità, non era ancora in Italia, così che abbraccio l’ipotesi di Fernanda Pivano secondo la quale di esperienza personale certamente si tratta, ma di quella maturata nel corso del 1922 durante la disastrosa ritirata greca dalla Tracia, in cui lui era presente. Del resto, non era forse nemmeno nelle intenzioni dell’autore di parlare di una fase della Grande Guerra, bensì di scrivere un romanzo d’amore ambientato durante la stessa, un po’ come nel caso di Via col vento. E in questo trovo conferma ancora una volta in Fernanda Pivano, la sua prima traduttrice, che fa giustamente presente che il titolo inglese (a Farewell to Arms) è sibillino e può dare luogo a un’altra traduzione, proprio per il doppio significato presente in Arms, che vuol dire armi, oppure braccia, intendendo in tal caso quelle della donna amata. Fra l’altro non c’è un lieto fine e quindi prende ulteriore forza quell’ipotesi di traduzione in Addio alle braccia. E anche per come la storia è imperniata e sviluppata potrei dire che per un romanzo sulla guerra è quasi fuori tema, tema che invece è ben centrato come vicenda d’amore, dagli esiti finali non certo positivi, come abitudine del narratore americano. Al riguardo ricordo un altro suo famoso romanzo (Per chi suona la campana) in cui chi muore non è però la donna, ma il suo amante.
Ciò premesso, appurato che la guerra è solo uno sfondo, resta la storia di questo amore travagliato, sulla cui confezione non ho nulla da eccepire, fermo restando che lo stile un po’ troppo distaccato non è riuscito ad appassionarmi.
Di conseguenza concludo dicendo che Addio alle armi è un buon romanzo, ma niente di più, anche se comunque è meritevole di essere letto.
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Una licenza poetica
Protagonista del romanzo è Mr. Henry, un americano volontario col grado di tenente nei reparti sanitari dell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale. Racconta in prima persona e il lettore, conoscendo la biografia dell’autore che realmente fu sul fronte italiano, potrebbe pensare che questo romanzo sia fedele trasposizione dei suoi vissuti bellici.
In realtà questo non è un romanzo autobiografico, non è un memoriale di guerra, non è un libro sulla guerra o sulla pace e nemmeno un romanzo d’amore.
Un uomo, Henry, ama una donna , Catherine, questo sì, ma il romanzo è altro.
La narrazione, realistica e asciutta, vive e si nutre di brevi sequenze narrative, brevi sequenze descrittive e un flusso continuo di dialoghi asciutti quasi monosillabici . La prosa è scarna, sintatticamente povera eppure ritmica, scandita da battute regolari.
L' avvio è lento, gli scenari prevedibili.
Tutto è rappresentato o meglio niente: c’è la guerra, c’è la condizione dei soldati italiani e dei volontari americani, ci sono le donne, l’alcool, le disfatte,i morti, le licenze.
È un libro dove la vita fa capolino con un “baby” o pupo, così come volle la Pivano, il pupo è il giovane volontario. È lo sguardo giovane sull’esistenza, è la voglia di vivere. È Milano quando la nebbia la inghiotte, è la Galleria che richiama la vita, è tutto ciò che si dimentica esista quando altro pare trionfare.
Questo libro è una licenza, una licenza poetica sulla prosa, sulla narrazione e per finire sulla vita.
Faticoso da leggere, vive una svolta catartica con la descrizione, peraltro di fantasia, della disfatta di Caporetto cui segue un ritmo narrativo più veloce e avvincente che prelude alla “pace separata” e la scelta di disertare per evitare la morte.
È infine un romanzo di formazione con un conveniente finale melodrammatico su ben 47 ideati.
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Capolavoro
ADDIO ALLE ARMI è un romanzo di E. Hemingway pubblicato nel 1929 .
Siamo nel 1917 e l'americano Frederic Henry, che presta servizio nei reparti sanitari dell'esercito italiano alla guida di un'ambulanza, conosce un'infermiera inglese, Catherine Barkley, e se ne innamora, ricambiato. Frederic viene ferito e Catherine si trasferisce nello stesso ospedale dove è ricoverato lui, a Milano , per curarlo. Durante la convalescenza trascorrono in Svizzera il loro periodo più felice, lontani dagli orrori della guerra e Catherine confessa a Frederic di essere incinta. Lui deve pero' tornare al fronte, e si trova coinvolto nella ritirata di Caporetto. Non vado oltre altrimenti svelerei troppo della trama.
Il romanzo pare sia ispirato alle esperienze di guerra sul fronte italiano che Hemingway visse realmente durante la prima guerra mondiale, infatti anche lui come Frederic fu ferito ad una gamba e in ospedale conobbe e si innamorò di Agnes von Kurowsky, una giovane infermiera.
La loro fu una relazione travagliata e alla fine lei decise di lasciarlo.
Chissà cosa avrà pensato vedendosi ritratta in uno dei romanzi più famosi al mondo...
Ma questo romanzo non è solo un racconto d'amore e di guerra, in esso è racchiuso il senso stesso della vita, fatta di precarietà , in cui l'uomo è in balia degli eventi e i momenti di serenità e d' amore sono l'unica cosa che abbia senso e per cui valga la pena lottare.
Stupende sono le descrizioni dei luoghi e le immagini che riportano alla mente rievocano nel lettore gli stati d'animo dei protagonisti, spesso devastati e intristiti dalla pioggia, dal fango, dalla morte, a volte, più raramente, felici come in una splendida giornata di sole.
Questo romanzo non poté essere pubblicato in Italia fino al 1948 perché ritenuto lesivo dell'onore delle Forze Armate dal regime fascista, sia per la descrizione della disfatta di Caporetto, sia per un certo antimilitarismo sottinteso nell'opera, per fortuna c'era una certa Signora Fernanda Pivano che si è fatta pure il carcere per averlo tradotto clandestinamente già nel 1943.
Grazie Fernanda, e che la buona sorte mandi alle prossime generazioni altre donne come te, ne abbiamo davvero bisogno.
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Addio alle armi, e all'amore.
(contiene spoiler) Sarò di parte su questa recensione ma amo gli scrittori passionali e spontanei e Hemingway è sicuramente il maggiore esponente di questo tipo di scrittori, e senza dubbio, uno dei migliori di sempre. E poi come non amare il personaggio Hemingway. "Addio alle armi" è, insieme a "Il vecchio e il mare", il romanzo di punta dello scrittore americano, lo stile è quello di sempre, scarno, essenziale senza giri di parole, i dialoghi sono brevi e spesso le battute sono ripetute per evidenziare determinate situazioni emotive ed aumentare il pathos. La storia è quasi autobiografica e racconta le vicende del soldato americano Frederic Henry, che arruolatosi volontario nell'esercito italiano, conosce e s'innamora dell'infermiera inglese Cathrine Barkley, la loro storia d'amore finirà però in maniera tragica. Il romanzo può essere diviso in due parti, la prima è quella che riguarda la guerra, la fedeltà all'esercito da parte del soldato Henry, la battaglia al fronte ed il ferimento, che poi, in seguito, lo porterà ad essere catturato dalla polizia militare che lo condanna a morte, ma lui riesce però a fuggire gettandosi nel fiume e a ritornare a Milano dalla sua Cat, dove scopre però che l'infermiera inglese si è trasferita a Stresa e decide così di raggiungerla. In questa prima parte del racconto, soprattutto inizialmente, Hemingway descrive Henry come un soldato fedele ( "La guerra è combattuta dalla più bella gente che c'è"), e anche l'iniziale innamoramento per Cat passa in secondo piano e nasconde quasi "l'esplosione" di sentimento che ci sarà in seguito. Nella seconda parte invece tutto ciò è completamente ribaltato, Henry infatti dopo aver raggiunto Cat, viene avvisato dal portiere dell'albero che la polizia lo sta venendo a prendere per arrestarlo e così, in piena notte, fugge in svizzera con Cat su una barca a remi. Qui finalmente trova la tranquillità che stava cercando, proprio quando Cat sta per dare alla luce il loro primo genito. Ed è proprio qui, dopo un felice periodo di pace e serenità che si consuma la tragedia, infatti Cat non riuscirà mai a dare alla luce il suo bambino, che nascerà già morto e farà morire l'infermiera inglese a sua volta a causa delle gravi emorragie interne, lasciando così solo il povero Frederic. In questa seconda parte del romanzo c'è un completo ribaltamento della psiche e del comportamento del protagonista che vede la guerra "ormai lontana come una partita di football di una squadra indifferente" e che, dopo aver abbandonato completamente l'esercito, è totalmente estraneo al fronte ed a ciò che circonda il conflitto. Nel suo cuore e nella sua mente c'è altro ormai, ed è l'amore per Cat, spesso sottolineato da scambi di battute secche e serrate, a volte ripetute, come i "Ti Amo" che spesso si ripetono due giovani amanti presi fortemente l'uno dall'altra. Ed è proprio la tragedia finale a lasciare il protagonista senza più nulla, senza guerra, senza esercito, ma soprattutto senza amore. La storia di un uomo che fa una scelta importante, punta tutto su quella scelta per poi però rimanere senza nulla. Splendido e struggente come solo l'immediatezza di Hemingway sa essere. Un gran romanzo, indipendentemente dai gusti, un gran romanzo.
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Guerra, amore e l'ingiustizia della vita
Quello che troviamo in "Addio alle Armi" non è il classico racconto di guerra (sono appassionato del genere), ed è forse anche per questo motivo che sono riuscito ad apprezzare il libro nonostante non sia prettamente un capolavoro.
Hemingway ci mette molto del suo inserendo tra le righe le sue esperienze vissute al fronte, raccontando la storia di Frederic Henry un militare che presta servizio in guerra come responsabile nei reparti sanitari dietro le linee.
E' un modo di vivere le vicende belliche molto particolare e suggestivo, ma anche di breve durata perchè l'autore inserisce molto presto nell'intreccio la passione per una donna: Catherine.
Come mio solito non voglio rovinare la lettura a nessuno con inutili spoiler, dico solamente che il libro è un susseguirsi di vicende amorose e belliche con trama piacevole e ritmo a tratti lento ed a tratti incalzante.
Ne risulta una lettura abbastanza scorrevole e piacevole, corroborata dal solito stile asciutto ma preciso dell'autore.
Personalmente preferisco le storie di guerra a quelle d'amore, ma qui Hemingway riesce a farmi appassionare alle vicende amorose della coppia che deve combattere contro una sorte avversa e lo spettro della guerra che farà da sfondo a tutta la vicenda.
Non è il libro che preferisco di Hemingway, ma sicuramente un titolo che vale la pena leggere.
Non riesco davvero a capire chi dice non essere riuscito a superare l'inizio, anche perchè la vicenda è movimentata fin da subito e non si deve aspettare il susseguirsi dei capitoli per vedere se succede qualcosa.
Inutile dire che consiglio questo titolo, anche perchè Hemingway vale comunque la pena di essere letto tutto.
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Farewell to arms
Devo ammettere che questo è il mio primo romanzo di Hamingway e mi è piaciuto.
Principalmente per il modo di scrivere: sintetico, essenziale ,pulito, in pratica è immediato.
Non si perde in voli pindarci, va dritto al sodo, senza mai distoglierti dal soggetto principale. Questo ha fatto in modo di mettermi a mio agio: un po' come indossare un vecchio paio di scarpe da tennis, di quelle che ti calzano a pennello. Ormai modellate a perfezione, non solo nella forma, ma anche al modo di camminare.
Il contenuto probabilmente è stato più d'impatto nel periodo in cui fu pubblicato che non attualmente.
Parlare di un soldato disertore, che fugge davanti all'avanzata nemica, per tornare dalla donna amata
può risultare, oppure, può non sembrare nulla d'eccezionale. Ed è qui che mi ha fatto pensare, mi sono detto, "certo però che se consideri che i "valori morali" del periodo storico che andò da inizio '900 fino a oltre la metà del secolo scorso il tutto assume un aspetto molto differente". Infatti Frederic per amore, lascia tutto, onore, gloria, amici, e ideali. E in un contesto dove questi valori sono il metro che misura il tuo essere rispettabile fa capire quanto questo amore è grande.
Altro aspetto che un po' condanna questo titolo è l'ambiguità mancata nel titolo: nella sua versione in italiano. Questo secondo aspetto gioca secondo me un fattore importante, e devo dire che sono rimasto un po' sconcertato, mi aspettavo che da un titolo così uno si ritrovi a leggere un romanzo sulla guerra o contro di essa, quantomeno, invece no. Parla di un amore nato durante la guerra, dove diventa un modo di dirle addio ma a cosa ? alle braccia in cui vorrei rifugiarmi, o allla guerra e alle sue atrocità (Farwell to arms ha un doppio significato, Addio alle armi e Addio alle braccia)
In definitiva mi è piaciuto, ma non me la sento di consigliarlo a prescindere, secondo me non riesce ad eccellere in nessuna delle due tematiche trattate amore e guerra.
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- sì
- no
Aspettative forse troppo elevate?
Sapete quando un libro lo leggi, e non ti lascia niente dopo aver chiuso la copertina, mi è successo questa cosa con questo libro, che per quanto possa essere scritto con uno stile piacevole, non mi ha lasciato molto alla fine della lettura. Forse molto dipende dalle aspettative che uno ha su Hemingway, oppure chissà cos'altro, ma il libro non mi ha colpito granchè, Scusa Ernest :D
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come smontare un capolavoro.
Uno dei gradi capolavori di Hemingway: non l'ho ancora finito e non credo che lo farò.
Noioso, lento, della guerra non dice quasi nulla se non qualche accenno per contestualizzare la storia.
Un tenente ferito in guerra si innamora, non si sa come nè perchè, di un'infermiera. I dialoghi sono inutili e ripetitivi, riempono un capitolo con discorsi come -Mi vuoi bene?- -Certo che ti voglio bene- -Ma tu mi vuoi bene?- -Si- -Non è vero, tu non mi vuoi bene-
Forse mi sfugge il suo significato così profondo. Vuol dire che continuerò a leggerlo quando avrò ricevuto l'illuminazione divina ._.
Chiedo scusa se ho fatto un commento troppo pesante, ma questo libro non l'ho digerito.
[spero di non ritrovarmi come in Midnight in Paris per non essere picchiata da Hemingway in persona :) ]