Acido solforico
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KCZ 114 E ZDENA
«Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo.»
Con “Acido Solforico”, classe 2005, Amélie Nothomb ci fa destinatari di un romanzo come nel suo solito intriso di uno stile dialogico anche se in minore parte rispetto ai precedenti e caratterizzato ancora una volta da due protagoniste che sono l’una lo specchio dell’altra seppur siano lontanissime: Pannonique, ventenne studentessa, che si ritrova carcerata con il nome CKZ 114, e Zdena, che si riscopre immediatamente Kapò.
Teatro ove le vicende prendono campo e si sviluppano è Concentramento, un luogo strutturato e ricostruito esattamente come i campi di concentramento nazisti ma con un’unica differenza: ciò che accade all’interno di questi è seguito in diretta da tutti coloro che dispongono di un semplice apparecchio televisivo. Ciò che cioè viene realizzato è un Reality Show in piena regola ma con un palcoscenico diverso e dove ogni atrocità che viene vissuta dai detenuti è accettata da chi guarda.
«E allora, ecco la mia domanda: che cos’è la normalità? Cos’è il bene e cos’è il male? È tutta una questione culturale.»
Eh sì, perché dal momento in cui la diretta di Concentramento diviene effettiva a tutti gli effetti ecco che diventa semplicemente virale. I giornali non fanno che parlarne, i telespettatori si accalcano davanti alla televisione e non perdono una puntata o un aggiornamento. Mai si sono registrati indici di share così alti e così seguiti dal pubblico. E a nulla serve che i giornalisti ne evidenzino le atrocità, i telespettatori sono semplicemente in visibilio. Lo stesso non parlarne, adottare la tattica del silenzio da parte della stampa, ne comporta una crescita. Crescita, questa, che diventerà ancora più totalizzante nel momento in cui al telespettatore sarà concesso anche di scegliere delle sorti del detenuto privando così del loro ruolo i carcerieri.
Ma chi è il vero colpevole? Il Kapò? Il carceriere che fustiga e punisce i suoi detenuti? O forse il vero colpevole altro non è che lo spettatore che osserva il programma, se ne indigna eppure non se ne stacca, o ancora che ne è coinvolto e affascinato, talmente colpito da non riuscire a sottrarsi al magnetismo del meccanismo ormai in atto? Come può un uomo che si indigna tollerare un tale programma e più ancora la sofferenza che si cela dietro alla sua messa in onda? Come può un uomo ammettere quella violenza e continuare a seguire quel determinato programma senza il minimo di sdegno e anzi una tolleranza tale da giustificare il proprio coinvolgimento attivo?
A far da voci portanti due donne estremamente diverse, l’una, vittima ed eroina perfetta con il suo volto idilliaco e quel portamento che mai si piega e spezza, l’altra che accetta subito di essere “il cattivo di turno” ma che eppure, tra tutti, si erge da antagonista a protagonista essendo colei che più cresce e più matura nello scritto arrivando a sorprendere e stupire.
Quanto vale davvero un nome? Qual è il suo peso? Quanto pesa davvero il nome?
Terzo volto della storia Pietro Livi chiaro omaggio a Primo Levi a cui l’autrice è affezionata.
“-E non è tutto. Ho deciso di far fellice la gente.
-Ah – disse Pietro Livi, costernato all'idea di vedere la sublime Pannonique lanciarsi nella beneficenza. -E come? Diventerà una dama di carità?
-No. Sto imparando a suonare il violoncello.
Lui rise sollevato.
- Il violoncello! È magnifico. E perché il violoncello?
- Perché è lo strumento che somiglia di più alla voce umana.”
Come sempre la Nothomb ci fa destinatari di un romanzo ricco di spunti di riflessione, che scuote l’anima, che non lascia indifferenti e che induce il lettore a guardarsi allo specchio. Una Amélie ai suoi massimi livelli.
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LA FORZA DI UN NOME
Romanzo particolarissimo scritto da un’autrice altrettanto unica.
Ho conosciuto da poco la Nothomb ma mi ha colpito tantissimo .
Hai idee graffianti e le mette in gioco in storie brevi ma uniche.
Questo romanzo racconta di un incubo: una trasmissione televisiva chiamata “concentramento “ in cui normali cittadini vengono rinchiusi come un tempo lo furono gli ebrei, vengono denutriti è obbligati a lavorare per poi morire secondo la scelta dei Kapo.
Cosa c’è di peggio della nascita di un programma del genere?
Ovviamente il pubblico che lo guarda. Milioni di persone che osservano questi poveri malcapitati subire maltrattamenti e non parlano.
Perché è vero i media sono indignati, denunciano la trasmissione come terribile, ma nessuno fa effettivamente niente.
Le uniche persone che fanno la differenza in questo romanzo sono la bella Pannonique, prigioniera del campo e simbolo di forza e intelligenza per i suoi compagni di celle, e Zedna, una Kapo che si innamora della ragazza.
Il breve libro si snoda con queste vicende fino ad un finale molto forte, quasi un miracolo.
Io ho sentito la conclusione, mi è rimasta a distanza di giorni, e apprezzo lo stile della scrittrice semplice ma efficace.
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Il trionfo dell'orrore...fa audience.
Era da tempo che questa scrittrice mi incuriosiva, complice anche una sua intervista vista in tv, e finalmente mi sono decisa a leggere un suo libro.
Che lei fosse un personaggio particolare me ne sono resa conto al primo sguardo...che questo libro fosse "folle" l'ho capito dal primo rigo. Che poi...folle non è neanche l'aggettivo giusto per questo racconto: aberrante, inquietante, assurdo (ma non troppo) , macabro e pericolosamente attuale!!!
Una storia nera che vuole essere una feroce satira alla nostra società, ovvero quella di esseri lobotomizzati disposti a inghiottire qualunque porcheria la dea Televisione abbia deciso di propinarci per cena!
Ma soprattutto una denuncia contro chi si definisce contrario alla violenza, ma poi non è capace di cambiare canale di fronte al trionfo dell'orrore!
Non posso negare che all'inizio mi abbia disturbato l'idea di usare il periodo più agghiacciante della storia (l'olocausto) per una causa non così "alta", ma devo ammettere che la narrazione intriga e quindi l'indignazione ha ceduto il posto alla curiosità.
"Concentramento"...è il nuovo reality show che riproduce luoghi e dinamiche dei campi nazisti ivi compresa la morte dei prigionieri...in nome dell'audience!!!
Personaggi di cui la scrittrice delinea i contorni, senza andare in profondità, scrittura non particolarmente eccelsa, ma che non annoia, ha un buon ritmo...e fornisce molti molti spunti di riflessione (ma poche emozioni).
Avevo immaginato un finale diverso...ma tutto sommato non mi ha deluso.
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CKZ114
Cosa non si farebbe per aumentare gli indici di ascolto! Amelie immagina un reality in cui è riprodotto un campo di concentramento con tanto di Kapo e di eliminazione finale, "vera"; il tutto in diretta, naturalmente. Mette in crisi il programma (o almeno una dei Kapo), la prigioniera CKZ114 bellissima e intelligente, con una evidente superiorità morale rispetto agli altri partecipanti al programma e ancor di più rispetto agli ascoltatori. La povera kapo Zdena si innamora perdutamente di lei, che naturalmente non la ricambia. Le dà cioccolata e il suo aiuto per quello che può senza ricavare niente. Sembra proprio che alcool e benzina debbano restare per sempre immiscibili o quasi.
Ci sono tutti gli ingredienti per un bellissimo romanzo alla Nothomb. Infatti se l'idea di fondo assomiglia a quella degli Hunger games, lo svolgimento della trama e lo stile non potrebbero essere più diversi. Il romanzo è molto, molto carino e riesce a non essere irrispettoso nonostante la delicatezza dell'argomento. In questo ricorda un po' il film di Benigni e anche Madre notte, per quanto siano cose molto diverse. Simpatico anche il finale. Non era facile trovare il finale giusto per una storia così.
-E non è tutto. Ho deciso di far fellice la gente.
-Ah- disse Pietro Livi, costernato all'idea di vedere la sublime Pannonique lanciarsi nella beneficenza. -E come? Diventerà una dama di carità?
-No. Sto imparando a suonare il violoncello.
Lui rise sollevato.
-Il violoncello! E' magnifico. E perchè il violoncello?
-Perchè è lo strumento che somiglia di più alla voce umana.
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Dimostrare per assurdo
Acido solforico di Amélie Nothomb
In matematica talvolta un teorema viene dimostrato “per assurdo”: negando l’ipotesi, si cade in contraddizione.
Operazione analoga compie Amélie Nothomb in “Acido solforico”: nega che un orrore nella storia possa ripetersi, e analizza artisticamente le conseguenza di questo assurdo. L’ipotesi negata, dunque: che l’uomo ponga in atto l’olocausto per la seconda volta. La contraddizione in cui si cade: è lì, da leggere, nell’opera.
La dimostrazione per assurdo procede in una sceneggiatura nella quale incubo storico e delirio mediatico coincidono.
Amélie Nothomb esaspera all’infinito le tendenze in atto nel decadimento dei programmi televisivi e lo fa nel modo più spietato possibile: un reality chiamato “Concentramento”, riproposizione televisiva dell’Olocausto, sapientemente ideata dagli organizzatori secondo i canoni del cinismo. “La violenza cieca avrebbe fatto maggiormente colpo se proveniva da corpi giovani, muscolature adolescenti e volti infantili”.
Con tanto di Kapò e di prigionieri da mandare a morte. Tra i kapò, Zdena “un’idiota gonfia di autocompiacimento”. Tra i prigionieri, designati da sigle (tipo MDA 802, EPJ 327) l’eroina Pannonique. Tra le due donne si instaura una relazione pericolosa: “La telecamera puntò l’obiettivo su quella coppia di ragazze che ossessionava gli spettatori”.
La tragedia degli ebrei è richiamata nelle dinamiche; viene citato Romain Gary (“I loro pensieri erano una tragedia peggiore di quello che sopportavano” … “Inventò il personaggio della dama”).
Le logiche sottostanti sono quelle del mercato, che si fondano sugli aspetti deteriori della natura umana:
“Mi domando quali sequenze interessino di più il pubblico”
“I momenti dell’esecuzione, non ho dubbi”.
“Più parliamo di Concentramento e ne sottolineiamo l’atrocità, più funziona. La soluzione è il silenzio”.
Anche il meccanismo delle eliminazioni – sui quali si fondano molti reality, con effetti devastanti sul modello culturale proposto - viene portato alle estreme conseguenze: “il pubblico potrà intervenire direttamente con il telecomando”.
Quando tutto sembra segnato (“Era la pandemia”), l’autrice ha il guizzo artistico: “Non è mai troppo tardi per smettere di essere un mostro” e intravede una soluzione nelle motov (“Adoro questo cocktail di benzina, acido solforico e potassio”).
Un testo allegorico, carico di provocazione, che utilizza tutti i mezzi, sfiorando anche la blasfemia, pur di scuotere il pubblico dei lettori.
Una dimostrazione per assurdo ben riuscita. Da mandare a memoria.
Bruno Elpis
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Amélie
Amélie, sei il mio alter ego o il mio opposto, sei come me o mi completi?
Io e te Amélie siamo fatti della stessa sostanza. Siamo identici nel pensiero. Il tuo è più maturo, ma in realtà seguiamo la stessa logica implacabile.
Io e te Amélie non abbiamo paura della disillusione, dell'incertezza.
Io e te amiamo il dubbio. E non abbiamo paura di conoscerlo.
Non è un personaggio normale, Amèlie. Non so se l'avete mai vista. Spero di sì, perché se vi capiterà di incontrare una persona, per strada, con le sue fattezze, le dovrete correre incontro. Non potrete farne a meno.
Cos'è Acido Solforico, questo libro destabilizzante, questo libro duro e frustrante. Che cos'è questa storia, crudele, schietta, laconica? E' il dubbio. E' la domanda che Amèlie ti suggerisce.
Perché tu Amèlie vuoi esattamente questo: istillare l'incertezza verso il reale. Vuoi dar forma a quella domanda, necessaria e tremenda, capace di ferirti, scottarti, buttarti a terra: "perché?".
Educare, tu vuoi questo Amèlie, insegnarci a dubitare, a non accettare l'omologazione. A reagire, non lasciando che la dignità si annichilisca, che la diversità si trasformi, con inarrestabile incedere, in monotonia.
Cos'è Acido Solforico? Un dubbio, abbiamo detto. Una critica, un pugno aggiungo.
Perché quando dubiti, ti interroghi e quando ti interroghi critichi questa società famelica di violenza, ipocrita, soggiogata dalla televisione, inerme contro i drammi. Dimentica purtroppo di una storia macchiata, offuscata dall'audience.
Amèlie colpisce, con logica spietata e implacabile. Punta al cervello, non al cuore.
Perché Concentramento, il reality show protagonista di questo libro, è non solo un incubo, ma l'estremizzazione di qualcosa che abbiamo di fronte agli occhi. E fa male, perché ne siamo coscienti e perché non ci siamo interrogati abbastanza per impedire che l'Olocausto divenisse uno spettacolo, per impedire che la memoria di uomini, donne, bambini morti fosse offesa.
Amèlie mi ha colpito. Ho barcollato, ma non sono caduto. Perché io non ho paura di quello che ha scritto, lo sospettavo, già in me stesso. Amèlie mi ha scagliato contro una lama affilata e io mi sono protetto con un'altra lama. Perché tutti temiamo il dolore, tutti preferiremmo non soffrire. Tutti vorremmo avere delle certezze, ma bisogna imparare a mettere tutto in discussione.
MI hai lasciato frustrato, Amèlie, con il desiderio di qualche pagine in più. Sono rimasto affamato dei personaggi, che la tua abile mano non ha scolpito interamente. Perché forse anche tu sapevi soltanto questo sui tuoi personaggi, sul coraggio sfrontato (un po' irritante, per me) di Pannonique, sull'insicurezza di Zdena, sull'amore di Epj. Ora i tuoi personaggi vivono di vita propria e il loro destino non è più nelle tue mani, nei nostri occhi. Occhi di spettori che hanno ucciso. O meglio, occhi che hanno visto perché ispirati dall'odio, dalla violenza. Occhi salvati dall'umanità dei kapò e dei prigionieri, e non purtroppo dal dubbio. Soltanto le persone insicure, come te e me, Amélie, riescono a farlo.
Soltanto chi non ha paura di cadere può essere incerto di ciò che i sensi suggeriscono. Acido Solforico colpisce le certezze, e quelli che le hanno. per gli altri, coloro che già dubitano, sarà un film già sospettato, ma un film che lascia senza parole. Ogni volta, per sempre.
Un ultimo avviso per i/le fan della Nothomb: la scrittrice ha pubblicato 20 romanzi in venti anni, ma in realtà, parola sua, ne ha scritti settantacinque, che ne dite???
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Mannaggia a me!!!!
“Aspettativa : lo stato o condizione di spirito che, nel processo delle emozioni umane, è preceduto dalla speranza e seguito dalla disperazione.”(A.B.)
Ecco,adesso per favore mettetevi un attimo nei miei panni.
Scopro e mi innamoro della Nothomb grazie a questa community.
Come una buongustaia che lascia per ultimo il boccone più buono nel piatto attendo paziente per mesi di leggere l’opera più acclamata della cara Ameliè.
Flirto con Acido solforico:lo guardo,lo accarezzo,un po’lo bramo,ma attendo a lungo prima di acquistarlo.L’attesa aumenta il desiderio,e io ho tutte le intenzioni di aspettare per godermelo.
Finalmente arriva l’agognato momento.
Con una certa solennità entro in libreria e lo compro.
E’mio:Ameliè a noi due!
E poi cosa succede?Succede che lei è sempre grandiosa.
Succede che senza luogo,senza nomi e senza volti (non si può di certo definire la sua scrittura descrittiva)io entro nel cervello dei personaggi:nelle loro nevrosi,nelle loro manie,nelle loro reazioni.
Succede che dentro mi monta la rabbia,perché porco cavolo ribellatevi a Concentramento!
Succede che la nostra eroina mi da sui nervi con i suoi complessi da Gesù Cristo sceso in terra.
Succede che invece mi risulta simpatica Zelda,l’antieroina.
Succede che prenderei una clava e ucciderei i produttori del nostro show.
Succede che mi interrogo su cosa farei io in una situazione simile.
Succede che questo è un grande libro.
Ma succede anche un’altra cosa:che in due ore lo finisco e penso “Questo era?”
Ora chiariamoci:non è mica colpa della Nothomb.
E’tutta colpa mia e delle mie immense aspettative.
Mi sono fregata un gran libro.La prossima volta il boccone più buono lo mangio per primo!
P.s.:Ameliè scusa,dimmi una cosa:ma hai degli spiriti che di notte ti vengono in sogno per suggerirti le trame?Prendi allucinogeni che ti fanno avere visioni dei tuoi futuri romanzi?Hai una quadrupla personalità e ognuna di queste partorisce nuove idee?Hai una squadra di autori che schiavizzi per avere nuove ispirazioni?
No perché io una che sforna un libro all’anno,con questa brillantezza e questa originalità mica l’avevo mai incontrata!
P.p.s.:Non ho detto nulla sulla trama.Lo so.Ma in questa community di Nothomb-dipendenti mi sembrava seriamente superfluo!
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I vostri occhi sono i nostri assassini
Mi hanno detto: Amélie Nothomb, o la ami o la odi.
Io confermo: è vero.
Era già da qualche tempo che avevo visto questo libro, e le recensioni positive mi hanno dato la spinta per leggerlo.
E' un libro pericoloso.
Pensate: siamo in un luogo e in un tempo non ben definiti, e in televisione trasmettono un reality chiamato "Concentramento".
In questo reality viene ricreata la situazione dei veri campi di concentramento nazisti: i prigionieri sono stati rastrellati a caso, strappati alle loro vite, buttati su un treno merci come animali e deportati in questo campo; dove ci sono i kapò: persone scelte accuratamente dagli organizzatori del reality per interpretare il ruolo dei carnefici.
Sono i kapò che decidono chi deve essere mandato a morte - le persone vengono veramente uccise - e sono i kapò i più disprezzati dal pubblico, il quale ovviamente non stacca mai lo sguardo dalla televisione, né pensa minimamente alla possibilità di cambiare canale.
E' agghiacciante: tra il pubblico, gli organizzatori, i kapò nessuno pensa che questo reality sia una cosa disumana e crudele.
E' normale.
E' quello che la gente vuole vedere.
Pannonique è una bellissima ragazza, descritta dalla Nothomb in una maniera inimitabile, che è stata rastrellata e deportata in "Concentramento".
Sarà Pannonique, ovvero CKZ114, a risollevare l'animo dei suoi compagni, grazie non solo alla sua bellezza ma anche alla sua intelligenza e alla sua forza interiore.
Zdena è una ragazza della stessa età di Pannonique. Vent'anni. Decide di presentarsi alle selezioni per diventare kapò, per far vedere ai suoi genitori ed amici che riesce a fare qualcosa nella vita, a realizzarsi.
Diventerà la più spietata e odiata kapò, che prenderà di mira Pannonique.
Per poi mantenere elevato l'audience, gli organizzatori decidono che sarà il pubblico a scegliere chi condannare a morte.
E' un libro crudele.
Tra amori, odio, vite strappate, bambini mandati a morire, un'umanità che è talmente disumana che non è più umanità, vi assicuro che vi arrabbierete tantissimo.
La Nothomb usa uno stile che ho apprezzato molto: non pesante ma scorrevole, in modo tale da non far passare per noiosa la storia; dipinge i personaggi in maniera quasi soave ed usa vocaboli che adoro.
E' un libro che ha ritmo; ha un cuore e un'anima, al di là del "mi piace- non mi piace".
Penso che la Nothomb abbia voluto farci riflettere su quanto possiamo diventare disumani e crudeli; di fatto mi ha ricordato le teorie di Hannah Arendt: il male è dentro di noi, ed è talmente banale che chiunque può compierlo.
Da leggere, se non avete paura di esplorare la "zona grigia".
Buona lettura!
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Quella bestia chiamata "umanità"
Questo splendido romanzo si fonda due distinti, eppure strettamente uniti, pilastri: quello collettivo e quello individuale-personale.
Partiamo da quello collettivo: le persone. Più precisamente i telespettatori. Sembra che tutta la storia sia colpa degli organizzatori del programma televisivo o dei vertici dello Stato che non hanno fatto nulla per impedirlo, e invece no. I telespettatori sono la causa di tutto, il nutrimento dello spettacolo, il lato più mostruoso della razza umana. Nascondendosi dietro falsi perbenismi, moralismi e indignazione, vogliono vedere la gente davanti ad uno schermo soffrire, patire. Morire. Non cambiano nemmeno canale. E perchè? Perchè tutto questo odore e sensazione di morte piacciono. Anche se non lo ammetterebbero, il dolore altrui crea una sorta di soddisfazione in loro, un profondo e irriverente piacere interiore, quasi una forma autocelebrativa di vendetta verso quei prigionieri. Aggiungiamo anche il fatto che essi possono persino decidere chi mandare a morte tra i detenuti. Sommando il tutto, non si dovrebbe nemmeno usare il termine "umano" per queste persone, la cui vera indole viene finalmente messa a nudo. Come chiamarli, allora? Mostri? Bestie? Comunque li si chiami, in questo romanzo il sadismo e la curiosità sono facce della stessa medaglia. Sono uguali.
Sembra di essere ritornati agli oscuri tempi della dittatura nazista, dimostrato anche dal nome della trasmissione (Concentramento), dalla suddivisione di persone scelte in prigionieri (costretti ai lavori forzati, denutriti e privati dell'identità e del nome che saranno sostituiti da tre lettere e tre numeri) e kapo', sorveglianti e aguzzini del campo in cui si svolge il reality, liberi di fare quello che vogliono a quelle povere anime).
Il pilastro individuale invece riguarda la protagonista: Pannonique, che nel campo sarà la detenuta CKZ 114. Lo sarà di nome, ma non di fatto. Infatti grazie alla sua forza, altruismo e alla sua determinazione, sarà il punto di riferimento di tutti i prigionieri e la beniamina dei telespettatori. Sarà sempre e solo Pannonique.
Altra cosa molto interessante nel romanzo è il rapporto che si sviluppa tra Pannonique e la kapò Zdena: una specie di relazione di amore-odio, nata in particolare da quest'ultima.
Pannonique diventerà l'oggetto dell'ossessione di Zdena: convinta che sia tutto quello che lei non è, che abbia qualcosa di speciale che a lei manca, Zdena riverserà sulla prigioniera dapprima tutto il suo odio e la sua violenza, come per far sparire ciò che più la turba e la sconvolge in modo da risolvere i suoi problemi interiori, finchè, grazie proprio all'oggetto della sua ossessione, avverrà un lento processo di maturazione che la aiuterà a ritrovare se stessa e a cambiare profondamente...
Chi legge Amelie Nothomb, probabilmente è consapevole che recensire i suoi romanzi è una cosa abbastanza complessa da fare.
"Acido solforico" per me è sicuramente uno dei suoi romanzi più belli: affronta una tematica estremamente delicata, sensibile e molto attuale a dispetto delle apparenze.
Pur con uno stile semplice e sintetico, Amelie Nothomb trasporta il lettore nel campo della trasmissione, nella mente dei media, dei telespettatori in un modo così preciso che viene spontaneo indignarsi, soffrire e provare curiosità. Si diventa tutto e ci si sente in simbiosi con l'ambiente.
Mi ci sono voluti diciassette anni, migliaia di libri e sei di questa donna geniale per capirlo, ma finalmente l'ho trovata grazie ad "Acido solforico" che mi ha dato finalmente ciò che da tempo cercavo: la mia scrittrice preferita. Amelie Nothomb. Amelie, mon amour.
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"L'occhio della Nothomb"
Amèlie Nothbomb sfida immediatamente il lettore, non tenta di inngannarlo accompagnandolo "teneramente", per poi condurlo attraverso le immagini che vuol mostrare, non utilizza nessuna pagina introduttiva velata di leggerezza per "ammorbidire" il terreno: la prima frase giunge secca, dilaniante,perentoria.Come definirla ? Un pugno nello stomaco? Un doccia gelata?
"Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo".
... E, da li, il crudelissimo, spietato "spettacolo" ha inizio.
L'autrice sembra servirsi di una telecamera, restando appunto coerente con il tema trattato, utilizzando uno stile minimalista concedendo però, a un attento lettore, la possibilità di saper cogliere le descrizioni fondamentali, nulla è scritto "a caso".
Catapultandoci sulle strade di una Parigi dei giorni nostri, assediata dalle troupe televisive alle prese con le crudelissime "selezioni" dei concorrenti che dovrannno partecipare al nuovo reality Show "Concentramento", questi verranno divisi tra due gruppi: quelli obbligati a vivere come deportati, a cui appartiene Pannonique, e quelli che invece si sono spontaneamente offerti di interpretare il ruolo di kapò, tra questi personaggi spicca la figura di Zdena, che rappresenta l'anitesi di ciò che invece la splendida Pannoqiue incarna. Quest'ultima diverrà la VERA PROTAGONISTA del teleschermo.
Mantenendosi sempre "dietro le quinte", la Nothomb, in quest'opera breve, che rappresenta indubbiamente un libro/denuncia, è in grado di farci prendere in analisi svariati temi che fan da protagonisti alla società odierna, dal potere mediatico,alla superficialità di una politica corrotta, ingololista solo dal denaro e totalmente priva di scrupoli morali, all'"occhio" del telespattatore che diviene sempre più schiavo di spettacoli orribili e perversi.Ma, quasi inaspettatamente,altri elementi verranno presi in causa : la dignità, l'umanità, la libertà individuale, l'integrità morale che emergeranno rappresentando appunto una vera e propria VITTORIA.
Una lettura spiazzante,poco più di cento pagine che lasciano indubbiamente un segno indelebile, e ... un'importante riflessone sulle responsabilità che ci assumiamo, noi, semplici spettatori quando selezioniamo i programmi tv con il nostro telecomando...