A un cerbiatto somiglia il mio amore
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tante storie di amore assoluto
forse uno dei più bei libri mai letti (e ne ho letti tanti nella mia vita). un libro corposo, ma non pesante, la fluidità del linguaggio rende soavi queste 800 pagine di storie complesse e avvinghiate l'una all'altra. Grossmann ha la dote della semplicità e della profondità. tutto in questo libro è amplificato dalla sua perdita che lui dichiara aver fatto da cassa di risonanza a questo racconto. storia di donna e di madre capace di amore assoluto e magnifico e terrificante. storia di uomo/bambino e di padre negato, fiamma che brucia e che la vita si ostina invano a voler spegnere. storia di guerra, continua, atroce strazia le carni, annichilisce la mente. trama complessa, personaggi magnifici, dettagli essenziali. per me è un capolavoro di amore e di scrittura
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Per lettori tenaci
In ottocento pagine non puoi non affezionarti ai tre personaggi principali (e ai due figli), indagati nei più intimi recessi del loro animo. Interessantissimi l’ambientazione geografica (non sapevo, per esempio, che in Israele ci fossero meravigliosi luoghi naturali come quelli in cui Orah e Avram fanno la loro lunga escursione) e il contesto storico (impressionante lo stato di ansia che persiste nella popolazione per timore di attacchi terroristici; angosciose le scene di guerra). Devo però dire che l’indagine psicologica dei protagonisti (in particolare di Orah) è così minuziosa da sfiorare il maniacale e talvolta così fine a se stessa da sfinire il lettore. È un bel libro, adatto però a lettori tenaci.
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Una goccia di splendore
Quante volte si cerca in maniera disperata di fuggire dal dolore? Orah, una donna intensa, passionale e fedele solo all'amore, lo fa nella maniera puerile di una bambina, rifugiandosi in luoghi dove nulla può raggiungerla. Un racconto on the road, a piedi, con la sola compagnia dell'amico e amante reduce di una guerra che ne ha distrutto ogni forma di vita e di gioia. Ecco quindi la forza del racconto e della parola, ecco nella lunga marcia tra pietre, sassi e caprifogli, il rinascere di "una goccia di splendore" nonostante tutto. Qui la parola è tutto, per questo Grossman a volte sembra ridondante nelle sue 780 pagine, ma raccontare è l'unico modo che possiede Orah per far tornare in vita l'amico e scongiurare la morte di suo figlio Ofer, in guerra. Non c'è mai morte nel romanzo, solo vita, proprio come accade quando perdiamo qualcuno che amiamo e non facciamo altro che ricordarlo, in maniera disperata, per tenerlo in vita. Così, lentamente, Avram ritrova prima il suo corpo, spento dalla tortura e dalle sevizie subite, si riappropria di ogni muscolo, di ogni sensazione, un risveglio lento in cui il lettore viene coinvolto per ritrovare quell'adolescente intelligente, vivace, verboso, instancabile che è stato insieme a Ilan e Orah. Con il racconto di Ofer (il cerbiatto) si scongelano in Avram anche gli affetti rifiutati, goccia a goccia, passo passo, come il cammino. Il lavoro di Orah è elefantiaco, con sé stessa e con il mondo maschile che la circonda, quattro uomini che detestano la guerra eppure la venerano, uomini che lasciano sempre "la tavoletta alzata", quella fatica del suo essere donna tra loro, che svela in diversi momenti e in una mirabile pagina che racconta della ragazza di suo figlio:
"E dopotutto ancora non si sentiva pronta ad ammettere davanti a lui, pressoché un estraneo, fino a che punto si era sentita sbigottita, e anche un po' beffata, nel vedere come la giovane Talia avesse ottenuto senza sforzo ciò che lei non aveva mai cercato di pretendere dai suoi tre uomini, ciò a cui aveva rinunciato quasi in partenza: il pieno riconoscimento della sua femminilità, il suo diritto all'autodeterminazione in una casa con tre uomini, il fatto che l'essere donna non era soltanto una sorta di capriccio, frequente e un po' seccante, e nemmeno una protesta esasperante e patetica contro la cosa vera (l'essere uomini, cioè), come di tanto in tanto le davano a intendere. Accelerò il passo, mosse le labbra senza voce e avvertì un leggero mal di testa, come al liceo, quando si ritrovava davanti a un foglio costellato di equazioni. No, era incredibile ciò che Talia aveva fatto, Dio solo sa come, con movenze molto lievi della sua personalità. Orah sorrise tra sé, irritata. Persino il povero Nicotina, il cane, persino lui cambiava atteggiamento quando Talia era nei dintorni".
Così con questo romanzo, Grossman tiene in vita il suo figlio perduto in guerra e sé stesso.
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Il mio cerbiatto
Come parlare della morte in guerra del proprio figlio, una guerra assurda, una morte assurda, senza scrivere qualcosa di insopportabile, di troppo tragico, di troppo personale, senza far chiudere il libro al lettore o calarlo nella disperazione? Come scrivere qualcosa che non parli di morte ma in qualche modo renda vivo e presente quel figlio? David Grossman ci riesce a fare tutte queste cose, in un romanzo bellissimo, toccante, geniale, intenso. Un romanzo che non parla mai di morte, quasi mai, ma di ciò che c'è di più vivo nell'uomo: l'amore, l'amicizia, i sentimenti vissuti in modo assoluto, nella ricerca di limpidezza, di sacrificio per l'amico, nella generosità e nella preoccupazione per l'altro.
Perciò la morte è relegata all'ultima pagina, mezza pagina, come l'ultimo ostacolo, quello che non si può saltare da soli ma che richiede di tenere per mano l'amico per potercela fare.
Con quella mano magari chissà, anche la morte è un sonno provvisorio da cui c'è un risveglio, è una pausa come lo stato di Ilan (uno dei due amici) all'inizio del romanzo molto simile alla morte anche se non vera morte
Il romanzo ha un incipit e un excipit bellissimi.Racconta una storia d'amore, ma soprattutto d'amicizia, David fa sempre un po' di confusione tra le due cose. Due amici sono innamorati della stessa donna e anche il loro rapporto è un po' più che amicizia (vedi le braci di Marai) componendo così un triangolo equilatero perfetto. Per amor di simmetria la donna ha un figlio con entrambi gli amici. Il figlio di Avram, Ofer(il cerbiatto) è in guerra. Avram non ha mai voluto conoscere il figlio. Nel romanzo Orah, la madre di Ofer fa un viaggio con Avram e durante il viaggio racconta a Avram la sua vita e il figlio facendo entrare Ofer (e non solo) nel cuore del lettore. Il libro è bellissimo e anche ogni amico si innamora un po' dell'amico/a, i rapporti tra le persone sono profondi, i personaggi vivi. Anche la storia d'amore tra Avram e Orah è molto bella, anche troppo, a volte sembra così intensa che la presenza di Ilan, l'altro amico e marito di Orah, diventa incomprensibile. Credo che sia un artificio narrativo,la separazione forzata tra due persone che si attraggono tanto, per poter raccontare e tenere desta l'attenzione del lettore sia per la vicenda personale dei tre amici che dei loro figli. Forse alcune pagine sono di troppo, ma non è certo facile per un editor tagliare pagine anche superflue scritte così bene.
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LA DIASPORA DELL'ANIMA.
In questo romanzo “pieno zeppo di vita” David Grossman ci parla della sua terra , Israele, attraverso una storia d’amore anomala che sboccia tra le mura di un ospedale, tra una ragazza e due amici .
Un intreccio a tre che con lo scorrere del tempo diventa sempre più forte, raro e prezioso e vuoi per gli eventi, per il carattere dei ragazzi o per le scelte intraprese, l’uno non potrà più far a meno dell’ altro.
Orah, la ragazza diventata adulta e madre , riverserà sui propri due figli un amore viscerale e incondizionato, dai tratti quasi animalesco e che non smetterà di essere tale, fino a quando diventano grandi.
La loro famiglia diventa una cellula clandestina, dove palpita amore, in una terra da sempre toccata da sofferenze e conflitti, dove gli sguardi della gente che si incontra per strada , sono “una continua opera di verifica e catalogazione di vittime e terroristi”…dove l’impegno militare diventa d’obbligo e laddove si verifichi una prigionia da parte del nemico, le torture sono di una crudeltà incredibile e non capisci mai quale sia la peggiore che ti aspetta .
Una cosa impressionante per me leggere tutta questa cattiveria , che non solo mira alla morte , bensì alla sofferenza atroce e pianificata…
Una mentalità molto lontana dalla mia che ha richiamato spesso le immagini cruenti che ci giungono in questi ultimi tempi tramite i mass media, dove corpi fatti a pezzi e bruciati, paiono all’ordine del giorno e alle quali non potrò mai abituarmi, tanto mi fanno male.
E’ in questo contesto di vita che si inserisce la figura della protagonista, una donna che non riesce ad accettare il fatto che i figli siano facile bersaglio e a loro volta provochino la morte ad altri esseri viventi…
“…ma papà, il mio compito è stare al posto di blocco, proprio perché quel terrorista si faccia esplodere là”…
Lei è un’ondata di calore , gioia e amore , e per questo non può esser capita, nemmeno dai familiari, che a poco a poco le si allontanano.
Ecco che per lei l’attesa dell’inevitabile notizia di morte del suo figlio prediletto e volontario di guerra, diventa un’impresa assurda e impossibile…troppo angosciante… e poiché l’unico modo di uscirne potrebbe essere l’uscire di testa, conviene allontanarsi.
L ‘esodo con l’amico tanto caro e tanto provato da una prigionia subita, sarà il suo modo per cercare di non pensare , perché i “pensieri non si completano se ti muovi “.
Una diaspora di un ‘anima spezzata dal dolore ; il modo di Orah per cercare di proteggere suo figlio.
Toccante sapere che l’autore , mentre era impegnato nella stesura del libro, quando si presentava l’occasione, lo facesse leggere da uno dei suoi due figli, impegnato in attività militare e che anche per lui, lo scrivere corrispondesse ad un suo modo per proteggerlo.
Grossman , persona provata da grandi dolori, sa immedesimarsi anche in quello altrui colmandosi di essi.
Si contraddistingue per una capacità notevole di grande sensibilità, che già avevo apprezzato in altri suoi libri, ma che raggiunge sicuramente l’apice in questo.
Un libro denso, che pare un fiume in continuo divenire.
E giunta alla fine della lunga narrazione, quella frase che non riuscivo a capire “ L’importante non è dove sei, ma dove non sei” , acquisisce un significato chiaro e potente.
Buona lettura.
Pia
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A chi sa che l'amore autentico...sgorga ovunque.
A un cerbiatto somiglia il mio amore di David Gros
Attenzione: contiene spoiler!
Bel libro, ben scritto, raffinato e di stile, anche se un po' pesante e prolisso (secondo me 780 pagine sono veramente eccessive). In alcuni momenti ho pensato di interromperne la lettura, ma ho lottato con tutte le mie forze, perché è una lettura notevole e pregna di contenuti e significato, per cui sono riuscita ad arrivare alla fine. Mi è piaciuto, lo consiglio, ma bisogna essere dello stato d'animo giusto per un romanzo che non è proprio una passeggiata... Anzi. Uno degli argomenti trattati è il triangolo d'amore che tiene legati per tutta la vita tre dei protagonisti del libro, incontratisi sedicenni (due di loro si conoscevano addirittura da bambini). Orah, la protagonista principale, è una donna che fugge: dapprima fugge dai propri sentimenti per i due uomini della propria vita; nella vicenda in corso, invece, c'è un tentativo di sfuggire alla morte di un proprio caro, semplicemente assentandosi dalla vita reale (quindi dalle notizie telefoniche, radio, tv) e fuggendo lontana da casa, fino al presunto ritorno del figlio dalla guerra. La paura di sentirsi recapitare all'improvviso la tragica notizia della sua morte, la porta a scappare ovunque, ma lontana da casa e notiamo la speranza di poter bloccare gli eventi e ingannare la sorte avversa, non facendosi trovare. Il suo è un esodo che invoca la vita e la vuole restituire anche ad Avram (uno dei suoi due uomini), un uomo la cui vita è stata distrutta dalle cicatrici fisiche, ma soprattutto psicologiche che la guerra e le barbarie subìte gli hanno inflitto. Troviamo il flusso di pensieri di questa madre che non vuole perdere i propri cari a causa di una guerra infinita che si trasmette da secoli di padre un figlio e la nostalgia di quello che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Il tentativo di preservare e salvare il proprio figlio, parlando continuamente di lui con il padre dello stesso, come se il condividerne il ricordo riuscisse a mantenerlo in vita. Orah, come molte altre donne, ha avuto un figlio da ciascuno dei due uomini che ha fortemente amato, riuscendo a racchiudere in ciascuno dei due figli le caratteristiche fisiche e psicologiche di entrambi i suoi genitori (anzi: sembra addirittura che ciascuno dei due abbia molti tratti che ricordano " l'altro", anziché il proprio padre). Quello che mi piace di Orah è il fatto che sia una madre coraggiosa, che accompagna il proprio figlio al fronte, pur non condividendo la sua scelta di arruolarsi volontario, anzi: rifiutandola. Decide comunque di stargli vicino nonostante tutto (questo mi ricorda la scelta mariana); una donna che non si nasconde e si presenta a noi come è veramente: imperfetta, ricca di difetti, ma che si accetta e si mostra nella sua interezza, senza pudori né vergogna. Ho ammirato il modo in cui lei ha parlato dei propri figli ad Avram e di come, così facendo, glie li abbia fatti conoscere e "incontrare". Ho amato la scelta di paternità di Ilan, che è stato un padre presente in egual misura per entrambi i propri figli (perché Ofer, il cerbiatto, è più figlio suo che di Avram). Nel romanzo si notano il potere catartico della natura e della scrittura e una sorta di elaborazione del lutto per la perdita che l'autore stesso ha vissuto in prima persona (anche solo per questo vale la pena di arrivare fino alla fine). Insomma: un libro che consiglio a chi decide di impegnarsi per almeno una settimana (perché non è un libro che può essere letto in fretta, ma va gustato piano piano) e che vuole vivere e riflettere su molte vicende reali e importanti.
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A un cerbiatto somiglia il mio amore
Un grande romanzo d’amore, in cui l’amore è il vero protagonista, nelle sue molteplici espressioni. Significativa è la scelta del titolo da parte dell’autore: un versetto tratto dal Cantico dei Cantici, considerato da molti un inno all’amore di Dio per il popolo di Israele, che qui assume un’ ulteriore valenza nel riferimento al nome di uno dei personaggi del romanzo, Ofer, che in ebraico vuol dire “cerbiatto”.
Al centro di questa storia è certamente Orah, una donna sensibile, forte e fragile al tempo stesso, legata da un amore profondo a quelli che erano stati gli amici della sua adolescenza, un amore conflittuale e diverso, ma non meno intenso nello scorrere del tempo. Sin dall’inizio del racconto, l’accenno al doloroso episodio della vita di Orah giovanissima, che soffre per la perdita dell’amica più cara, Ada, anticipa quello che sarà il leitmotiv del romanzo, l’amore e la perdita, la gioia e la sofferenza in un’alternanza inevitabile.
Il legame profondo che unisce Orah a Avram e a Ilan genera nei tre sentimenti spesso discordanti e suscita sensi di colpa che investono la sfera dell’amicizia, della lealtà e della solidarietà. Ogni personaggio è visto nella sua umanità, senza condanne né giudizi. È Orah tuttavia a subire più di ogni altro l’abbandono. Sarà lei a cercare rifugio alternativamente nelle braccia di Ilan e di Avram. L’amicizia è ora elemento di unione ora di separazione. E l’amore di Orah altrettanto intenso per i suoi figli riesce a moltiplicarsi e dividersi, in un continuo divenire, senza mai impoverirsi. Sullo sfondo, ma con una presenza quasi ingombrante, la guerra che devasta i territori israeliani e palestinesi, le atrocità subite da Avram, la ricerca d’una patria che ancora non si sente di possedere: la stessa guerra che coinvolge Ofer e allontana Orah dalla sua casa inducendola a vagare con Avram senza meta, col solo fine di allontanare il pericolo d’una notizia luttuosa che potrebbe raggiungerla tra le mura domestiche. La casa dunque non è più il rifugio sicuro, è il luogo che non può e non deve essere testimone di tanto dolore. E il viaggio intrapreso da Orah sarà il mezzo per conoscere meglio se stessa e permettere ad Avram di vivere quella parte di vita a cui aveva rinunciato. Orah cercherà il contatto con la natura, un contatto fisico che possa permetterle di farla sentire ancora viva e di abbandonarsi all’istintiva ricerca di protezione nell’abbraccio di Avram.
Il doloroso viaggio di Orah sarà anche un modo per prendere coscienza di quei sentimenti laceranti che prova verso un nemico che assume talvolta le sembianze di Sami, il palestinese legato alla famiglia da devozione e affetto, ma il cui orgoglio lo porta a respingerla nel momento in cui deve condurre Ofer a combattere contro il suo popolo. I sentimenti di ribrezzo e orrore per una guerra interminabile che non permette tregua condanneranno Orah a esprimere giudizi severi persino sul suo amato Ofer, che non riesce ad accettare nelle vesti di soldato al fronte.
“..Il leopardo e il capretto che si sdraiano insieme e staremo a vedere cosa succede…..Forse quel particolare leopardo e quel particolare capretto riusciranno…a elevarsi, a redimersi?...”
Grossman ha il dono indiscutibile di esprimere sentimenti profondi a cui riesce a dare sostanza e vita attraverso la parola: il dolore, come l’amore, si materializza, diviene palpabile. Un’opera questa che sembra racchiudere in sé tutto il dramma umano, dalla nascita alla morte, in una perenne ricerca della felicità.
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“E’ così sottile la crosta terrestre, pensò”
Buio.
Luce.
Buio.
Il futuro è assente, il passato è ingombrante, il presente è smarrito.
Delle ombre si muovono, provano a rincorrersi, a prendersi. Si perdono. E si rincontrano. No, non è il destino a volerlo, e neanche loro. E’ la vita che hanno condiviso che li ha legati: sono Avram e Ilan, amici inseparabili, ed Hora, il loro sigillo. Amici, nemici, amanti. Tre ragazzi incompresi prima, tre soldati poi…. La guerra dei Sei Giorni non è lo sfondo, ma la protagonista. La vera ragione che plasma storie, esistenze, individui prima, ombre poi. Ombre che si illudono che la guerra sia solo una parte della loro realtà. Ma Hora si chiede se la sua realtà sia tale. Se la famiglia costruita sulle macerie del conflitto arabo-israeliano assieme ad Ilan e al relitto di Avram, sia sufficiente ad ingannare: Dio? Allah? O solo ingannare se stessi. Una famiglia, un lavoro, i figli, Adam e Ofer, sono un atto di ribellione o il riscatto che Hora chiede alla vita, perché compensi ciò che le ha strappato?.
Il libro è un racconto continuo e perpetuo di una esistenza improvvisata, che vuole restituire ad Avram una parvenza di quello che poteva, che avrebbe dovuto essere. Il lettore rimane incantato davanti alle parole della donna: ragazza prima, madre poi, e ai silenzi di Avram che, come macigni, ostruiscono il naturale fluire dello spirito.
Ma, nonostante l’inabissamento nelle tenebre più profonde di se stesso ( di noi), forse, c’è la possibilità di riemergere in superficie e, anche se per poco, respirare a pieni polmoni l’ombra di un sogno in cui si possono ancora inventare radiodrammi, ascoltare il jazz per capire il mondo, struggersi d’amore per lei, lei o quell’altra (perché se si è giovani non è importante chi, ma come si ama) e ideare nuove storie, avventure o neologismi, per dar voce a ciò che non ha nome. Bisogna, però, cercare una ragione per risalire, e Avram l’ha trovata.
Lasciate che si perda nei paesaggi dimenticati della Galilea con Hora, per ricongiungersi nuovamente. Così come era.
Il futuro è assente, il passato è ingombrante, il presente può cominciare a scorrere.
Buio.
Luce,
luce.
Da leggere con urgenza, non ci saranno vie d’uscita.
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Uno dei romanzi più intensi che abbia letto
Scriverò poche righe su questo romanzo letto ormai due anni e mezzo fa, mentre ero alle prese con l'esame di farmacologia. Era un freddo febbraio, e la sera, finalmente, dopo ore ed ore di studio, mi immergevo nella fantastica ma dolorosa storia di Orah ed Avram, di Ofer e Adam. "A un cerbiatto somiglia il mio amore" è un libro che ti lascia dentro una ferita profonda, come se quella storia, che hai seguito per 800 e più pagine, fosse la tua; come se quel figlio, Ofer, fosse tuo; come se Avram fosse l'uomo che hai sempre amato. Grossman non è sempre di facile lettura, e non tanto per lo stile, che è sempre scorrevole e mai artificioso, e in fondo neanche per il contenuto, perché sì, la storia è forte, ma in fondo i romanzi che parlano di guerra, e di storie complicate che si svolgono con la guerra sullo sfondo sono tanti. Ma Grossman fa di più, lui comincia a scavare nell'animo dei suoi personaggi; li fa soffrire, li fa disperare, fa provare loro dei sentimenti che li straziano, fa viver loro delle vicende incredibili, delle storie forti e dolorose, e comincia a scavare così tanto dentro di loro da farteli sentire incredibilmente vicini, quasi che quei personaggi fossero in realtà tanti piccoli pezzi di te stesso. E' per questo che alla fine un romanzo del genere ti lacera. Perché è come se lungo tutte quelle pagine tu fossi madre insieme ad Orah, come se insieme a lei riuscissi ad amare follemente Avram, a soffrire per Ofer. Da leggere con animo aperto e disponibile, con molta pazienza (per superare anche qualche passo un po' più lento)...e con i fazzoletti a portata di mano.
La vita umana e la guerra.
Il libro racconta il dramma di una donna che scopre di aver sprecato la sua vita nel tentativo di darle una completezza e una normalità che la condizione esterna in cui l'ha vissuta, la guerra tra israeliani e palestinesi, le ha perennemente insidiato e negato. Posta di fronte alla minaccia di perdere il suo secondo figlio, avuto nel tentativo richiamare alla vita il suo amico/amante Avraam, vittima anche lui della guerra che lo ha mutilato di ogni speranza e fiducia come risultato delle torture subite durante la guerra del Kippur (e della scelta di Orah, che lo ha spedito al fronte, con un "sorteggio", di cui conserva il rimorso), separata dal marito Ilan da cui ha avuto il primo figlio, per divergenze incolmabili sul modo di comportarsi con gli arabi, si rivolge ad Avraam per ricostruire con lui e per lui, con le parole, come Avraam le ha insegnato a fare nel tempo in cui si frequentavano, la vita di Ofer. Spera così di salvarlo da un destino di morte che aleggia su di lui e di ripartorirlo ancora una volta per il padre, che è, nell'animo, l'unico vero compagno che abbia avuto.
La narrazione accompagna una gita che Orah e Avraam fanno lungo i sentieri campestri di Israele, fuori dal mondo di cui Orah nobn vuole avere notizie, ma si svolge in realtà come rievocazione di un passato complesso e irrisolto, il cui tema principale apparente è la vita "normale" che Ilan e Orah hanno vissuto e la crescita dei due figli, Adam e Ofer, e quello reale l'irrisolta vicenda d'amore/amicizia tra Avram, Ilan e la stessa Orah. Nessuna delle due storie si compie realmente: la vita normale di Orah e Ilan rivela tutta la sua precarietà; la storia di amicizia/amore svela i conflitti e la crudeltà, di cui Avraam è stata la vittima fondamentale, ad essa sottesa. L'emersione di questo sottofondo è lenta e contraddittoria, come sempre nelle ricostruzione grossmaniane dell'animo umano; ma la conclusione non potrebbe essere più spietata: né le parole, né il ricordo, né il tentativo di riaprire la storia con Avraam possono sanare il passato e garantire il futuro; non c'è salvezza, né autenticità per nessuno in un mondo in cui l'incombere della guerra può devastare in ogni momento la vita di ciascuno; non c'è vita fuori dalle parole neanche per Ofer. Colpiscono la straordinaria capacità dell'autore di fare emergere gli strati profondi della psiche con una tecnica narrativa che appare erede e perfezionatrice dei migliori esempi del Novecento (mi viene in mente Virginia Woolf) e la forza dello stile, che sa addolcire con immagini delicate e variopinte e con la lentezza di progressione che l'affiorare di un così ingombrante rimosso richiedono. Uno dei migliori libri degli ultimi vent'anni.