Vincoli. Alle origini di Holt
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Recensione della Redazione QLibri
Vincoli. Vincoli
«Edith Goodnough meritava di essere vista in quella pallida luce azzurra, e comunque so che le stelle brillavano per loro nel cielo terso e c’era un grande silenzio.»
È la primavera del 1977 a Holt, Colorado. Edith Goodnough sta per compiere ottant’anni, è una vecchia signora con i capelli bianchi eppure è ancora elegante e bella come doveva esserlo nel 1922 quando di anni ne aveva soltanto venticinque e quando nei suoi occhi brillava la luce per quei brevi attimi vissuti, con quei finestrini di una vecchia Ford T abbassati, con la notte che scorreva tra la quotidianità di una vita che mai le era ed è appartenuta. Nell’oggi giace in un letto bianco dell’ospedale della città, non vive più in campagna, pesa ancora meno dei cinquanta chili che non ha mai pesato, del suo passato non resta altro che il rudere di una casa e un cane che uggiola legato in attesa di due coccole e di un pasto e nel suo presente e futuro pende una grave accusa. Perché lo sceriffo e gli avvocati attendono che le sue condizioni di salute migliorino esclusivamente per metterla su una sedia a rotelle e condurla in tribunale, dall’altra parte della cittadina, luogo dove verrà sottoposta a processo e giudicata per un crimine che riguarda suo fratello Lyman e di cui lei pare essere l’artefice. Un cronista di Denver, un articolo che in parte è vero ma che in realtà non è altro che parte di una parte della storia, uno sceriffo che non è altro che un figlio di buona donna, un vicino di casa di nome Sanders Roscoe, un uomo sulla cinquantina, tarchiato, testardo e da sempre legato ai due fratelli Goodnough. È lui che si scaccia quel reporter, è lui che si rifiuta di parlare con il giornalista di fatti di cui non dovrebbe conoscere nemmeno l’esistenza, è lui che si fa voce narrante di questa piccola perla a firma Kent Haruf.
E così torniamo nel passato. È la tarda primavera del 1896 quando Roy Goodnough e sua moglie Ada Twamley giungono dall’Iowa a quella che poi sarebbe diventata la Holt, Colorado, che abbiamo conosciuto con la Trilogia della pianura. Quelle che si trovarono di fronte allo sganciare del loro carro, non erano certo le terre floride e ricche che si sarebbero aspettati dopo un così lungo viaggio, ma Roy era testardo e determinato. Aveva fretta, voleva piantare i suoi semi, costruire la sua vita in quel luogo prima che la compagna potesse risvegliarsi dal sogno del matrimonio a malapena consumato. Dopo un periodo di sopravvivenza, la costruzione della loro casa, la faticosa nascita della figlia Edith Goodnough nel 1897, quella del fratello Lyman Goodnough nel 1899. La prematura scomparsa della madre, i due figli adolescenti rimasti soli con quell’uomo. Un padre che non è un padre ma un padrone, un individuo pieno di rabbia e rancore che li costringe a restare al suo fianco, che obbliga lei a prendere il posto della madre, e Lyman a rilegarsi al ruolo di contadino che ara i campi e alleva le bestie senza possibilità di mutare la propria condizione. John Roscoe, al tempo un bambino, poi un adolescente, ancora un uomo adulto che mai viene ben visto da Roy perché per mezzo di sangue indiano, perché innamorato di Edith, perché elemento di disturbo nel suo astuto piano; assiste, osserva, non resiste. Perché soltanto lui, padre-padrone, era legittimato a decidere per i figli, a decidere del loro futuro, del loro presente e del loro passato. Un passato, un presente, un futuro, fatto di lui. A qualunque costo, a qualunque prezzo. E come meglio riuscire in questo progetto demoniaco se non avendo la fortuna nella sfortuna di sfruttare un tragico incidente? Un tragico incidente a cui sarebbe sopravvissuto per la bellezza di altri 37 prima che la morte si decidesse a portarselo via. A discapito dei fratelli, a discapito di Edith e della sua vita. Una donna che ha vissuto una vita in casa, una vita fatta di servilismo, una vita alimentata con il ricordo di un amore che mai ha avuto modo di sbocciare, una vita fatta di solitudine che non migliora nemmeno nella sua parte finale, anzi, peggiora.
Questo e molto altro è “Vincoli. Alle origini di Holt”, classe 1984, di Kent Haruf. Un romanzo forte, dove la voce narrante è Sanders, ma dove ogni protagonista è percepito con tutta la sua personalità disarmante nella sua seppur costretta condizione vincolante, un romanzo dove non mancano le tematiche care all’autore, non manca l’amore perduto, non manca la famiglia, non manca la solidarietà tra fratelli, non manca la separazione, non manca il sacrificio, non manca la lontananza, non manca l’abbandono, non manca l’isolamento, non manca la violenza che riveste i panni di quella tipica che si consuma nei luoghi domestici, non manca il dolore per la perdita, non manca il dolore per quella vita sfumata, per quel tempo passato che mai tornerà. E non manca ancora quello stile inconfondibile, che è magia e che è lama. Che è mistero e poesia, che è durezza e ferita, che è crudeltà. Il risultato finale è quello di un elaborato di grande spessore, di empatia e immedesimazione ai massimi livelli. Un altro piccolo gioiello che ci riporta tra i luoghi di Holt e che arricchisce la composizione a firma Kent Haruf.
«Edith aveva pianto. Indossava un vestito nuovo e si era un po’ sistemata i capelli, ma per il viso non era riuscita a fare niente. Il suo viso era andato in frantumi. La cinsi con un braccio.» p. 142
«[…] Ecco, sono passati quasi cinquantacinque anni, una vita intera, e lei ancora non ha imparato a dire a se stessa qualcosa che assomigli a un infinito sì.» p. 255
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Le catene della vita
Venerdì 31 Dicembre 1976. È il giorno della tragedia, che finirà sul giornale di Denver insieme a dettagli di cronaca, date e alle foto dei fratelli Edith e Lyman Goodnough. Ma quella non è la storia, è solo un fatto, argomento di chiacchiere da bar e facili giudizi. E il come? E il perché? Per provare a capire bisogna allora tornare indietro, e indietro, a quasi cent'anni prima, quando i genitori di Edith e Lyman arrivarono in Colorado, e percorrere insieme a loro una lunga strada fatta di speranze deluse, fatica e attese infinite.
Iniziamo allora questo cammino, lentamente, incamerando nei polmoni l'aria afosa della provincia rurale americana, sollevando la polvere di quella terra arida, con la consapevolezza che, pur andando avanti, la felicità sarà sempre dieci passi più in là, irraggiungibile.
Ad attendere i coniugi Goodnough nel 1896 è una terra brulla e inospitale, così diversa dai campi verdi e fertili che avevano immaginato. Ada vorrebbe scappare, ma la dispotica determinazione del marito Roy, che non ammette repliche né sentimenti, la vincolerà per sempre a un'esistenza di rassegnata fatica e grigio dolore. A liberarla, la morte. Allora è la volta dei figli. Saranno loro a dover prendersi carico del raccolto e della mungitura, della fattoria e della casa, e soprattutto di Roy, con la sua personalità soverchiante, le sue imposizioni, la sua crudeltà. A volte, la vita è capace di diventare davvero una prigione. C'è chi muore nel tentativo di liberarsi, chi si abbandona alla rabbia, chi si trasfigura nella follia. Invece Edith rimane in piedi, solida, gentile e premurosa, rassegnandosi a quelle catene indissolubili, fatte di legami famigliari e sensi del dovere. Inutile combattere, inutile credere in quell'amore che per un istante è sembrato un miraggio di salvezza, inutile immaginarsi un futuro diverso. Solo lavoro e sopportazione, senza però dimenticarsi di una crostata per il figlio dei vicini, o un sorriso. E poi, a quasi ottant’anni, quel fatto, a cambiare il corso della storia, a offrire una prospettiva diversa con cui osservare ciò che è stato e immaginare le emozioni di questa donna indimenticabile, che non ha mai saputo varcare i confini di casa.
In un mondo come quello che ci circonda che pare misurare la vita solo in termini di successo e soddisfazione, potrebbe sembrare di poco valore un'esistenza come quella di Edith, segnata dalla monotonia e dalla privazione. Invece quest'esistenza ha tanto da raccontare, ha tanto da regalare al lettore. La grandezza di queste pagine sta proprio nella capacità di farci immedesimare nel dolore, di farci comprendere il coraggio del sacrificio, di farci percepire il nostro stesso corpo legato da quelle corde che hanno imprigionato Edith un giorno dopo l'altro. Per farlo, Haruf non ha bisogno di ricorrere a virtuosismi stilistici o metafore ardite, perché la forza della sua voce sta nell'immediatezza con cui arriva al cuore, nella semplicità, nella dolce comprensione che avvolge quest'umanità così genuina e reale.
Duro e malinconico, poetico e delicato, crudele e balsamico, in altre parole, imperdibile.
"Certo che non è giusto. Niente in questa faccenda è giusto. La vita non lo è. E tutti i nostri pensieri su come dovrebbe essere non servono a un cavolo, a quanto pare. Tanto vale che tu lo sappia subito."
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Edith di Holt
"Vincoli" è il primo romanzo di Haruf.
L'Io-narrante, figlio di uno dei protagonisti, 'scrive' nel 1977, ma la storia raccontata ha inizio più di 80 anni prima.
L'ambientazione è Holt nel Colorado, che a fine '800 era solamente un villaggio con qualche negozio.
Per ragioni di contestualizzazione, ricordiamo che nel 1862 Lincoln promulgò un provvedimento secondo cui su richiesta venivano assegnati terreni demaniali nelle zone selvagge fuori delle 13 colonie d'origine, dietro impegno di coltivarle, il che rendeva proprietari gli assegnatari.
Così. sul finire del secolo XIX giunse nei dintorni di Holt una giovane coppia.
Di qui partono le vicende di questa famiglia e di quella che abita nella casa più prossima.
Grandi protagonisti sono soprattutto i figli. E tra questi spicca in particolare Edith, creatura incantevole e generosa fino all'abnegazione. "Era bella come più non avrebbe potuto". Con lei potevi "dirle tutte quelle cose che non avevi mai detto a nessuno, tutte quelle cose che stanno oltre le battute e gli aspetti superficiali che gli altri vedono di te" .
Qui abbiamo Haruf già al meglio.
Rispetto al successivo "Canto della pianura", in cui forse c'è più mestiere ma meno ispirazione in una Holt più sviluppata ma non migliore, "Vincoli" è meno dispersivo, tutto proiettato sulla rappresentazione di alcuni personaggi. Meno corale ma di maggior approfondimento.
Edith poi, secondo me, rimane una delle figure femminili più toccanti della letteratura americana contemporanea.
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Per tutti.
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Il primo di una serie fortunata
Corrono circa trent’anni (dal 1984 al 2015) fra le pubblicazioni di Vincoli e di Le nostre anime di notte, quest’ultimo uscito postumo, e in questo lasso di tempo sono stati dati alle stampe anche Canto della pianura, Crepuscolo e Benedizione, romanzi tutti ambientati a Holt, una cittadina americana del tutto immaginaria, ma simile a tante altre a vocazione prettamente agricola. Lo stile scarno, ma non povero rimane sostanzialmente uguale, quello stile che non poco ha contribuito al successo e alla fama di Kent Haruf; non si può infatti rimanere insensibili all’immediatezza della comprensione di ciò che è scritto, un mezzo per esprimere passioni proprie del genere umano, capaci, grazie a trame ben congegnate, di avvincere dalla prima all’ultima riga. Eppure il narratore americano non è che arzigogoli pensieri particolarmente complessi, rivelando analisi delle personalità in modo determinante, no, senza troppe complicazioni ci porta a conoscere i suoi personaggi sia nella loro esteriorità sia all’interno del loro animo. Risulta, quindi, una lettura facile, gradevole e avvincente ed è questo che ha determinato il successo di Haruf, conosciuto in Italia solo da poco tempo e grazie all’editore NN. Vincoli ci introduce per la prima volta a Holt e lo fa quasi alle sue origini, alla fine del XIX secolo, allorché i pellirosse che lì vivevano prima dei coloni bianchi avevano lasciato quelle terre aride da circa una ventina di anni. La storia che ci viene narrata è quella di famiglie i cui terreni agricoli sono confinanti, ma è anche la storia di un grande amore che la grettezza di un padre padrone ha troncato, rendendo infelici i suoi due figli e il figlio dei vicini. La vicenda è narrata da Sanders Roscoe, un uomo che non è stato vittima di questo amore ostacolato, ma che ne è perfettamente a conoscenza, essendo il figlio di uno degli interessati e ciò che più sorprende è l’affetto che poco a poco cresce in lui per quella che avrebbe potuto essere sua madre e non lo è stata, un affetto che è quasi infatuazione e che rischia di diventare amore, nonostante una trentina di anni di differenza. A Holt, in questo microcosmo quasi sperduto nelle grandi pianure americane si nasce, si vive e si muore, come in ogni parte del mondo, ma anche si ama o si odia, come appunto in ogni altra parte del mondo. E allora che cosa c’è di tanto interessante per apprezzare e amare i romanzi di Haruf? C’è la dolcezza e la pietà, a seconda dei casi, con cui Haruf anima i suoi personaggi, con cui descrive le loro passioni, i loro pregi e i loro difetti, ma senza giudicare, perché sembra dirci che la vita è così, quella vita di cui anche noi siamo parte con le nostre virtù e le nostre pecche. E per quanto lo stile sia semplice e scarno, a tratti è venato da un alone di poesia, capace di stemperare tragedie e di infondere speranze, così che i protagonisti non compaiono per ritirarsi poi come ombre, ma entrano in noi. Come sono possibili da dimenticare il padre padrone Roy Goodnough che agita i suoi moncherini, il figlio Lyman un po’ ritardato e succube, la dolce figlia Edith, una vittima sacrificale, il suo mancato sposo John Roscoe e l’io narrante Sanders Roscoe? No, ognuno immaginandoseli a modo suo se li ricorderà ogni volta che andando in campagna vedrà qualcuno che ara la terra, qualcun altro che porta le mucche al pascolo o una donna che dà il becchime alle galline. Perché? Perché sono personaggi di fantasia, ma che sembrano veri, nel senso che si ha la sensazione che siano esistiti veramente e che, prima o poi, altri come loro si possano incontrare.
Vincoli è un romanzo stupendo.
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TACITE IMPOSIZIONI
Vincoli" narra delle origini del paese chiamato "Holt", analizzando nel dettaglio alcune vicende delle famiglie Goodnough e Roscoe. L'autore non sceglie una tematica qualunque, decide di parlare dei legami familiari, in particolare quelli che "soffocano", come introducono infatti il titolo originario (The Tie That Bind) e quello italiano.
Nelle prime pagine il protagonista, Sanders, un uomo di circa cinquant'anni, introduce tutte le narrazioni successive. Sanders è molto arrabbiato, vuole proteggere Edith, una signora di quasi ottant'anni, di cui ancora non si sa nulla, da una presunta accusa in tribunale. Dopo qualche pagina il lettore si ritroverà seduto in osteria con il protagonista, che con grande capacità evocativa, narrerà del motivo per cui Edith è accusata e per cui rischia una qualche pena, del motivo per cui secondo lui non merita affatto tutto ciò, ma soprattutto spiegherà i motivi per cui Edith ha scelto di agire andando incontro alla possibile accusa. E lo farà partendo dalla storia dei suoi genitori, di lei e suo fratello, dei suoi vicini di casa.
Il tema centrale rimarrà quello che alcuni chiamano destino, altri chiamano vincoli. Haruf sceglie la seconda opzione, approfondendo con grande capacità introspettiva ed empatica quali legami scaturiscono tra le persone, che abbiano o meno lo stesso sangue. Questo punto di vista riempie il lettore di domande, lo frustra, lo spinge a tifare per Edith e per la sua libertà con la stessa forza che possedeva lo stesso Sanders.
Anche la cornice storica è molto influente, l'america rurale della fine dell'800, fatta da padri, mogli e figli, tutti con i propri ruoli, con grandi doveri e grandi sogni, possibili per la famiglia Goodnough solamente dopo aver assolto ai grandi doveri. Parte di questi grandi doveri hanno inizio dalle aspettative del padre di Edith, Roy Goodnough, trasferitorsi nella neonata Holt creando con le proprie mani la casa in cui vivranno per decenni loro e i propri figli. La maggior parte, se non tutti i doveri non saranno mai assolti per loro. Ecco quindi che contenuto e cornice si confondono, dando vita a vincoli psicologicamente violenti e senza via di fuga, non senza la presenza di alcune scene anche esplicitamente violente.
"Non sei obbligato a farlo, disse Edith guardandomi. Niente di tutto quello che stai facendo.
Nemmeno tu.
Io voglio farlo.
Io pure, replicai. Ero mezzo innamorato di lei, anche io."
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Un’ unica storia, tante altre storie....
“ Vincoli, alle origini di Holt “, ( 1984 ) segna l’ esordio letterario di Kent Haruf e l’ inizio della poetica di un luogo ( Holt ) attraverso il fluire del tempo ( il ‘900 ) in una relazionalita’ scandita da gesti ripetuti e definenti.
Qui nasce e declina il racconto nella voce di un vicino di casa, Sanders Roscoe, riappropriatosi di una trama tinta di noir, la storia della famiglia Goodnough, partendo dalla pionieristica migrazione di fine ‘800’ alla ricerca di un tetto e di un pezzo di terra da coltivare.
Holt si affaccia su un angolo sperduto del Colorado, una terra piatta, brulla, arida, appartenuta agli indiani, una maledetta distesa sabbiosa, con poche case, e la vita dei Goodnough, agricoltori, si trascinerà’ nella imprevedibilità e durezza della storia, il Proibizionismo, la Grande Depressione, la Seconda Guerra Mondiale, il dopoguerra fino agli anni ‘70, epilogo del racconto.
Oggi Edith è una vecchia signora dai capelli bianchi scampata miracolosamente ad un evento inderogabile e necessario, accusata di un crimine ed in attesa di processo, il fratello Lyman è morto, i suoi genitori lo sono da parecchi anni.
Il respiro del romanzo non possiede ancora la linearità narrativa e l’ intreccio relazionale di ” La Trilogia della pianura “ ne’ la scarna ed intima essenza di “ Le nostre anime di notte “, ma esprime già un gusto poetico definente, quella miscela di silenziose presenze, delicatezza, il respiro di un mondo provinciale costruito su quotidianità, relazioni, perdite, lontananze, ritorni, un soffio vitale che, nello scorrere degli anni, consegna i protagonisti ad una inevitabile accettazione di tempo e destino.
Tutto sembra accadere e protrarsi inesorabilmente, il ricordo di quello che è stato indicarci una sola via, segnata dalla impossibilità di un qualsiasi appello e giudizio, avvolta in un ripetuto … “ come sempre “….
Edith, una vita intera passata in casa, cercherà invano una ribellione per un passato ingiusto, la rigidità di forma e contenuti, un padre tirchio e frugale, egocentrico e rinunciatario, un amore sottrattole inspiegabilmente ed un destino odiato da sempre.
Il fratello Lyman sparirà improvvisamente per venti anni, unico alibi la Guerra, nauseato da un lavoro estenuante, in un viaggio che ricerca una vita mai vissuta, semplici cartoline inviate come ricordo.
Un giorno finiranno come finiranno, due vecchi, fratello e sorella, soli in mezzo alla campagna, in una casa gialla circondata dalle erbacce, accompagnati dalle sole inspiegabili presenze, da giorni che ripresentano il passato, in un luogo, Holt, marchio ancora acerbo della propria essenza.
….”Certo che non è giusto. Niente in questa faccenda è giusto. La vita non lo è. E quando ripenso a questa storia non mi sembra ci sia che questo, una serie di solchi indipendenti “...
Questo il fluire del racconto, una iscrizione inserita nella cruda verità degli accadimenti.
I propri gesti, ripetuti, sempre quelli, riconsegnano ad un piccolo mondo certo, in passato odiato ma il solo conosciuto ed il sogno di un rinnovamento in questo angolo di terra non sopravviverà a lungo.
Un sacrificio personale non più necessario, l’ incubo di un ritorno alle odiate origini, un presente mutato dopo un incidente imprevisto generano una idea risolutiva, lo sguardo posato su un braccio alzato in senso di resa ed una fredda e calma disperazione che assumerà i colori sbiaditi del presente, una casa abbandonata ormai in rovina.
Holt racchiude il passato nella calma indifferenza dei propri resti, i Goodnough oggi sono tre lapidi al cimitero, in ospedale c’ è una vecchia signora ancora elegante e bella come tanti anni prima, il futuro un’ altra storia, tante altre storie, in attesa di essere raccontate…