Trieste
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Repetitio est mater studiorum
“Qualcuno di noi la Storia se la porta nelle ossa, e nelle nostre ossa la Storia trivella dolorosamente e non c’è medicina che possa placare il dolore. Noi la Storia ce la portiamo nel sangue e nel nostro sangue la Storia circola in modo silenzioso e distruttivo …”
Ciascun individuo, dunque, deve, prima o poi, fare i conti con la Storia. Anche chi sembra non essere parte attiva o protagonista degli eventi che ci riguardano tutti, prima o poi ne è inevitabilmente coinvolto. È quanto emerge in questo “romanzo documentario” di Dasa Drndic che ci consegna un numero nutrito di testimonianze e atti attestanti le aberrazioni e le atrocità perpetrate dal nazismo, riportate a margine di una storia d’amore rivelatasi inganno e fonte di sofferenza. Al centro una bellissima Trieste, tristemente nota per la risiera di San Sabba, in cui il destino di ognuno si intreccia con quello dell’altro. Il dolore prevale su tutto. E all’orrore dei lager si aggiunge la denuncia dell’abominevole piano di Himmler, noto come progetto Lebensborn, che oltre all’assurda quanto orrida intenzione di dare origine ad una pura “razza” ariana, selezionando i soggetti idonei alla procreazione, genera immenso dolore in quelle madri che vengono private dei loro figli.
Un libro corposo che non rifugge dal pubblicare lunghissime liste di nomi di individui che hanno trovato la morte nei lager nazisti. Dietro ogni nome si nasconde una vita, un bagaglio di affetti e sofferenze.
“Dal ripetersi della Storia dovremmo pur imparare qualcosa, Repetitio est mater studiorum, ma nonostante la Storia si ripeta caparbiamente, noi siamo dei pessimi studenti” Se dunque l’uomo è restio ad accogliere gli insegnamenti del passato, a lui non resta che avviarsi inesorabilmente verso quella terra desolata che egli stesso, con la sua follia, ha contribuito a creare, chiedendosi con Eliot: “Shall I at least set my lands in order?”
Indicazioni utili
ELENCHI
Sarà che al liceo le parti dell’Iliade saltate dall’insegnante in quanto superflue mi incuriosivano e andavo a leggermele: spesso si trattava di lunghi elenchi di nomi di guerrieri presenti all’assedio di Troia e non mi annoiavano affatto. Anzi quei nomi erano una sfida per la mia immaginazione, ciascuno di loro evocava un mondo di “sommersi”che voleva essere disseppellito, sottratto all’oblio. La stessa sensazione me l’ha data il “romanzo documentario” della scrittrice croata Daša Drndic, quando sono arrivato alle pagine, più di cinquanta, in cui elenca, uno per uno, i 9000 ebrei uccisi nei campi di sterminio nazisti o in patria fra il 1943 e il 1945: li ho letti uno per uno, con la consapevolezza di non poterli risarcire veramente, di non poter più dare loro una storia. Anche la protagonista immaginaria di “Trieste” Haya Tedeschi, insegnante di matematica, ebrea convertita al cattolicesimo, madre di un figlio avuto da un ufficiale delle SS, uno dei più crudeli comandanti di Treblinka, è un personaggio dimezzato: la scrittrice ce la presenta sessantaduenne seduta a una finestra di un vecchio palazzo di Gorizia con un cesto pieno di fotografie, ritagli di giornali, cartoline. Gli spettri del passato la assediano: la sua esistenza si riduce a un passato traumatico e all’ attesa del figlio mai conosciuto che le è stato rapito bambino per far parte del progetto Lebensborn finalizzato alla conservazione della purezza ariana. Non ci può essere romanzo né per i novemila né per lei, né per tutti gli incolpevoli della Storia, compresi i figli innocenti dei carnefici dilaniati dai sensi di colpa. Ho visto rabbrividendo le fotografie della risiera di San Sabba a Trieste, e ho provato pietà per il tormento implacabile di Monika Goth, la figlia del comandante del lager di Plaszòv, che in “Schlinder’s list” dal balcone della sua villa si divertiva a sparare ai prigionieri. Se nessuno può restituire a queste persone un destino, lo scrittore deve almeno loro giustizia e verità. Ed ecco “il romanzo documentario” in cui la documentazione e le testimonianze prevalgono sui fraintendimenti potenzialmente edulcoranti dell’immaginazione. Il male infatti non è mai banale.