Sacre bleu
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Henri, io vorrei che tu Vincent ed io...
Sacré Bleu – Christopher Moore, 2012
Prima lettura “di gruppo” del 2016, approcciata con una certa apprensione a causa di un precedente non felice con Christopher Moore.
Si parte con niente meno che Vincent Van Gogh. E poi, come per caso, sfilano tutti i pittori dell’Impressionismo francese.
E non solo.
Fa anche una comparsata Michelangelo, per dire. Ma trovano spazio pure i Pitti, Botticelli e una bizzarra tribù di uomini primitivi.
Il filo conduttore è il colore blu (non a caso il preferito da serial killer, psicopatici e… me) tonalità estremamente difficile da creare per i produttori di colore. Difficile reperire il pigmento, difficile trattarlo in modo da renderlo stabile negli anni.
Blu.
Difficile e costoso.
Invece qui abbiamo un Colorista misterioso (e un tantino ripugnante) che regala blu di ottima qualità a pittori squattrinati, si accompagna con bellissime fanciulle, appare e scompare misteriosamente. Ma come sospettiamo fin da subito, esige un prezzo molto alto per il colore che fabbrica e produce da solo. O forse no.
Che dire?
Il libro scorre via abbastanza piacevolmente, fra le stradine di Montmartre e Pigalle. Ci si imbatte in personaggi deliziosi, battuta pronta e vita bizzarra (su tutti il meraviglioso Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec Monfa e la mirabile Madame Lessard), in genere pittori, amanti di pittori, madri/mogli/figli di pittori.
Accompagnamo Manet all’esposizione in cui «sembrava che tutta Parigi si fosse data appuntamento per sputargli in faccia.» ed immaginiamo i retroscena dei tantissimi quadri celebri citati, accennati, descritti. Questa parte del romanzo, a mon avis, funziona très bien.
È vivace, probabilmente non eccessivamente filologica (ma chissene), e verosimile, se non vera (e quella menata del naturalismo l’abbiamo superata nel quattrocento. Che se il punto era che l’arte dovesse essere come la realtà sai che due balle. “Novero di misura su Raffaello” avrebbe detto il compianto Sandro Ciotti).
Ahimè la parte gialla/fantascientifica/surreale/horror/soprannaturale è assai meno gradevole, dal mio punto di vista.
(Ora, appare evidente che il Colorista sia Doctor Who in una delle sue rigenerazioni peggio riuscite e Bleu sia una delle sue companion meno simpatiche (alla pari con Martha Jones, direi)… viaggia nel tempo e nello spazio, è, difatto, immortale (oddea, questo più che Doctor Who pare Wolverine, ma vabbe’, magari Moore non è così nerd), ha una cabina BLU… devo continuare?)
Perché affannarsi tanto a cercare di far tornare i conti? A voler intessere a tutti i costi il Colorista Bleu nella storia del mondo? L’inquisizione,iI Pitti, Michelangelo, Savonarola…
Vedi vedi? Torna tutto?
Mi ha ricordato i punti più sgradevoli di Nolan in Interstellar…
Spazio, tempo, buchi neri, fisica quantistica…
Mannò. Ammore e un foglio piegato.
NO. Per favore no, la storia andava bene anche così.
Quindi io mi ricorderò solo le parti belle.
I quadri, Parigi, e alcune battute.
Indicazioni utili
Pane, misteri e colori a Parigi
Io sono cresciuta a pane e arte, e nutro un amore viscerale per gli Impressionisti fin da bambina, perciò le mie aspettative per “Sàcre bleu” erano assai elevate.
Contando che poi era una sorta di derisione nei confronti dei suddetti artisti, si prospettava una lettura molto piacevole e divertente per chi è dotato di autoironia (uso questo termine perché, quando si parla di Impressionisti, mi sento chiamata in causa, quasi fossimo un’unica entità).
E invece no, non fa assolutamente ridere, se per ridere s’intendono tutte le volte in cui i personaggi prendono baguettes e botte in testa, inciampano (ormai queste cose non fanno più divertire nemmeno nei cartoni animati, anche se nessuno sembra capirlo), dicono parolacce, volgarità e doppi sensi. E non fa nemmeno ridere il fatto che siano stati tutti, ma proprio tutti, trasfigurati in creature perennemente arrapate e vogliose.
Perché il sessanta per cento del libro è questo: pittori che vanno a letto con donne.
Mi sono perfino domandata se stessi leggendo un romanzo erotico sotto mentite spoglie o un cinepanettone in versione cartacea.
Nemmeno la parte thriller è questo granchè: c’è questo Colorista, un ometto basso, grasso e deforme che appare e scompare in continuazione, che, oltre a vendere i colori che fabbrica, procura agli artisti le donne con cui… divertirsi.
Mah, più che un colorista, mi è sembrato un pappone/magnaccia e la sua figura, più che catturare il mio interesse, mi ha solo infastidita, come un’onnipresente mosca ronzante.
Non ci sono molti colpi di scena, e i pochi presenti hanno rivelato la mia espressione facciale: come quella di una statua, ovvero immobile, ferma, immutabile, impassibile.
Ormai nulla riusciva più a coinvolgermi. Perché sì, il libro è noioso durante la prima metà, molto noioso, e terribilmente lento, anche se scritto bene. Fortunatamente nella seconda parte il romanzo è riuscito a ricatturare la mia attenzione, grazie ai misteri che diventano più intriganti e coinvolgenti.
Comunque vengono raccontate tante storie diverse, con tanti protagonisti diversi, ma in una maniera improvvisa, molto confusionaria, senza un preciso ordine cronologico (si passa dal 1100, al 1400, dal 2000, al 1800 fino all’epoca dell’Impero Romano…), senza nemmeno qualche spazietto bianco che consenta di capire il cambio di narrazione, tempo, argomento…
Mai visto, inoltre, un protagonista più dimenticabile di Lucien: un fannullone privo di personalità e volontà che sa solo parlare a vanvera, e farsi comandare a bacchetta dalla sua… “musa ispiratrice”, chiamiamola così, per cui sbava come un fox terrier davanti ad una bistecca.
L’unica cosa che salvo di questo romanzo sono gli Impressionisti stessi che, seppur costantemente arrapati, sono stati davvero ben caratterizzati, dotati di una vera anima, desideri, sogni, tormenti, e vederli interagire fra loro è stato… Beh, quasi commovente, come se me li fossi trovati realmente davanti. Perciò, parlo da folle appassionata di questi idoli, non credo che siano stati totalmente rovinati.
Un altro punto va sicuramente a favore dell’affresco storico della Parigi di fine Ottocento che, seppur nella sua piccolezza e marginalità, si sente e si percepisce sulla pelle.
Vi sono pure dei capitoli-intermezzi che parlano un po’ della storia della pittura, dell’arte e del colore che fa sempre piacere leggere, e incredibilmente li ho amati molto più delle vicende di Lucien e degli Impressionisti.
Per il resto, però, “Sàcre bleu” è stata una parziale delusione. Si poteva fare molto di più rendendolo più coinvolgente, meno pesante, più ordinato cronologicamente e soprattutto più simpatico e con un protagonista più memorabile.
Indicazioni utili
- sì
- no