Per la gloria
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Destini già' scritti e desiderio di eternità'.
"Si muoveva trasportato dalla corrente del destino, in solitudine, solo come un uomo che muore. "
Il capitano Cleveland Connell è' un pilota di caccia inviato dagli americani nella guerra di Corea ( siamo nel 1950 ) a combattere i Mig russi. È' un uomo dotato di una certa compostezza, i cui occhi " ricettivi, profondi, quasi tristi, a volte impenetrabili, forse conoscevano il proprio destino."
Si e' costruito una certa fama, durante la seconda guerra mondiale, e' un pilota nato, talentuoso, guidato da una certa compulsione, che lo ha spinto ad "avvicinarsi alla morte per sentire poi un certo senso di purezza".
E' una vita segreta, la sua, vissuta in solitudine, con la consapevolezza, a 31 anni, di avere già' dato il meglio di se', e di essere in fase calante, come un atleta alla fine della carriera, tradito da quegli occhi che per un pilota sono l' essenza del proprio destino.
Una guerra, un codice di appartenenza, tutti i rituali dei piloti di caccia, quel cameratismo che sa quasi di pratica sportiva ma in fondo " così' vanno le guerre, tu spari a loro, loro sparano a te e non c'è' niente di giusto ". O forse la fortuna tesse le fila di un destino crudele.
Clive non e' spinto da un desiderio di sopravvivenza, lui e' venuto per affrontare il nemico con motivazione. Ma la guerra ed in particolare l' aviazione, ha delle regole ben precise, quello che conta è' il numero di aerei nemici abbattuti, quel numero cinque che separa la gloria dall' anonimato, che suscita " ammirazione, eccitazione, invidie ".
Quel confine sottile scolpisce le loro esistenze, i rapporti interpersonali, la quotidianità'.
Alla fine si insinua, nel pilota, un' idea ed un' ansia che consuma, la sottile separazione tra il vincere ed il perdere, in attesa di un evento, ed ogni missione è' una speranza, ormai non conta neanche il fine della guerra o la sua probabile fine.
Un senso di isolamento, di frustrazione, accompagna ogni missione fallita, come dopo una sconfitta. Non c'e' una zona neutra, che separa la conquista dal fallimento, e ci si sente " svuotati dal desiderio, sollevati dalla lotta, soli, sconfitti ". È' una sorta di disperazione dell' anima, ed ogni giorno si trascina nella speranza che qualcosa cambi.
Nel frattempo le missioni si susseguono e quel numero 100 ( le missioni da compiere ) si avvicina senza alcun risultato tangibile.
Eppure basta un attimo, un momento di gloria, per risollevare un destino segnato, per ridare vita e speranza. O almeno così' si pensava, ma i fantasmi ritornano.
Cleve è' a capo di una squadriglia, all' interno della quale vigono regole militari ed umane inclinazioni, arrivismo, eroismo, imprudenza, solidarietà', simpatie, a volte amicizia.
Pelle in questo senso, è' la sua antitesi, giovane, sfacciato, imprudente, dannatamente incosciente e scorretto. Agisce al di fuori delle regole, ma è' ricordato ed amato perché' abbatte ripetutamente i Mig nemici. Diventa il suo incubo e la sua dannazione, ma è' considerato dai colleghi un eroe, dall' opinione pubblica il proprio eroe.
Vicende pietosamente umane si intersecano ad atti di guerra, inseguimenti, combattimenti, voli al limite, nemici invisibili che si confondono, si perdono, si abbattono, è' una lotta disumana per il raggiungimento dell' agognata " Gloria ", l' essere ricordati per sempre.
Salter disegna, con il proprio esordio letterario ( 1956 ) quello che è' diventato un classico della letteratura di guerra, tracciando vicende autobiografiche ( per oltre dieci anni è' stato pilota nell' Aviazione militare americana ) ed esemplare e commovente è' la tormentata figura del protagonista, Cliveland Connell, pilota di caccia ed uomo dai sentimenti profondi, introspettivo, occhio vigile e critico sulle atrocità' di una guerra parallela, combattuta in cielo, nella quale il nemico appare invisibile, o si mostra improvviso, ti sorprende alle spalle, ti insegue per finirti, e vi è' un' alienazione di ogni contatto umano e tanto tempo per riflettere, a terra, quando l' inclemenza del tempo accompagna la ripetitività' dei gesti.
" Durante tutte le sue esperienze passate mai aveva pensato qualcosa di vagamente simile, cioè l' avere cercato il proprio destino ed il divino in ogni cielo per trovarli a terra ".
Il proprio percorso è' compiuto, non tornerà', come tutti quegli uomini conosciuti, apprezzati, frequentati, e persi, per sempre, un po' come quei giorni rimasti solo nella propria memoria, e quel grido non raccolto, un grido di aiuto e di disperazione.