Memorie di Adriano Memorie di Adriano

Memorie di Adriano

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Ricostruendo le memorie dell'imperatore romano, Marguerite Yourcenar ha voluto "rifare dall'interno quello che gli archeologi del secolo scorso hanno fatto dall'esterno". Ne risulta così un libro che è al tempo stesso un romanzo, un saggio storico, un'opera di poesia. Giudicando la propria vita di uomo e l'opera politica, Adriano non ignora che Roma finirà un giorno per tramontare; e tuttavia il suo senso dell'umano, ereditato dai Greci, gli fa capire l'importanza di pensare e di servire sino alla fine.



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Memorie di Adriano 2019-04-06 09:57:10 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    06 Aprile, 2019
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un libro da amare per sempre

Un capolavoro assoluto ed indiscusso della letteratura di ogni tempo. Dalla penna di Marguerite Yourcenar, anagramma del suo vero cognome, de Crayencour, (1903-1987), un’opera di grande spessore culturale e letterario che oscilla tra saggio storico-filosofico e narrativa di grande pregio. Chi non lo ha ancora letto si sta perdendo uno dei libri che probabilmente amerà per tutta la vita, un libro da rileggere, perché “denso” di spunti di riflessione, di profondi pensieri, di nude verità, di poesia nelle immagini, di intelligente scavo psicologico.
L’autrice, non a caso, unica donna eletta nell’empireo dell’Académie Française, ha scelto di raccontare un uomo, ma non un uomo qualsiasi, bensì l’imperatore Adriano, uno dei buoni Principes che la storia ricordi. Nei suoi “Taccuini di appunti” , che troverete nell’Edizione Einaudi, la Yourcenar, ripercorrendo le vicissitudini della realizzazione di questo romanzo, scrive:
“La vita delle donne è troppo limitata o troppo segreta. Se una donna parla di sé, il primo rimprovero che le si farà è di non esser più una donna. È già difficile far proferire qualche verità ad un uomo” (pag. 287, edizione Einaudi del 1988).

Sotto l’apparente forma di un romanzo epistolare, la Yourcenar fa parlare Adriano, ormai sessantaduenne iniziando con un semplice “Mio caro Marco, ...”. Da qui si dipana un profondo e lucido discorso sulla sua esistenza toccando vari punti della sua storia personale e della storia di Roma, palesemente corrotta nei tempi in cui lui è vissuto. Sono delle vere e proprie confessioni che Adriano fa al suo caro Marco (futuro imperatore Marco Aurelio), diciassettenne allora. In diverse occasioni il princeps dichiara il suo profondo amore per la civiltà greca, dichiarandone la superiorità :

“Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale ad ogni parola si afferma il contatto diretto e vario della realtà, l’ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini hanno detto di meglio è stato detto in greco” p. 34 (cit.)

E greco, della Bitinia, era il suo prediletto Antinoo, devoto, giovanissimo “pastorello”, che nelle sue mani divenne un abile cacciatore e che morì nelle acque del Nilo, in circostanze misteriose, forse, come vuole la tradizione (Cassino Dione, LXIX, II e Spartiano, XIV, 7) si autoimmola per passare la propria energia di giovanetto all’amato. Non mi soffermo sulla pederastia, sulla bisessualità nell’antica Roma, in questa recensione voglio comunicare quello che ho provato nel leggere quei passi di grande struggimento, di grande malinconia. Adriano dopo anni ricorderà vividamente i gesti, gli atteggiamenti particolari di quel bellissimo giovanetto che gli ha fatto vivere il momento aureo della sua vita . Fonderà città in suo onore, istituità riti misterici, ma , soprattutto , adornerà ogni punto dell’Impero con una statua che possa immortalare quelle perfette e care fattezze. Quasi ossessivamente Adriano ha commissionato ai migliori scultori del tempo e dei vari luoghi visitati, supervisionando con massimo zelo le opere in corso, la riproduzione del caro volto per avere sempre vivido il suo ricordo. Se confrontate le innumerevoli statue dedicate ad Antinoo, ritroverete un viso inconfondibilmente dolce e malinconico ed un corpo divinamente perfetto. Questo è il dono d’amore di Adriano che sopravvive nei secoli.
Certamente l’Imperatore aveva una moglie, Vibia Sabina,una figura istituzionale come la sua, niente di più. I matrimoni di convenienza erano la normalità ed era diffuso avere un/un’amante prediletto. Sono ben poche le figure femminili care ad Adriano, tra questa spicca prepotentemente Plotina, moglie dell’imperatore Traiano (che lo adotterà in punto di morte) sua confidente, sua fidata amica.
Interessante il passo a pag. 112

“La debolezza delle donne, come quella degli schiavi, dipende dalla loro condizione legale; la loro forza si prende la rivincita nelle piccole cose, e qui il potere che esercitano è quasi illimitato. Di rado ho visto una casa dove le donne non regnassero (...)”.

La grandezza dell’autrice si unisce alla storia di un uomo altrettanto grande, amato e rispettato che ha coltivato la bellezza, la pace e il rispetto tra i popoli. Grazie alla penna della Yourcenar , ai documenti sui quali ha passato anni di studio, ai suoi viaggi nel luoghi in cui Adriano, un vero cittadino del mondo ( “straniero dappertutto, non mi sentivo mai isolato in nessun luogo” pag. 118) e militare infaticabile ha passato momenti della sua vita, possiamo gustare ogni volta un mirabile capolavoro della letteratura di sempre, un libro che mette addosso inquietudine e ci stimola ad interrogarci sul senso della vita. La mia recensione sarebbe troppo lunga e rischierei di dire troppo, è un libro importante e denso, come ho detto sopra. Amerete la figura di Adriano, questo saggio ateo. Sì, un imperatore romano ateo, perché ha vissuto fino in fondo la sua esperienza di uomo “tutte le teorie sull’immortalità mi ispirano diffidenza..”. (271) ha sempre saputo fin dall’inizio che solo l’arte può preservarci dalla dimenticanza e renderci immortali.
Tale sarà il libro della Yourcenar, finché esisteranno lettori in grado di discernere i buoni libri nell’immenso mercato dell’editoria.

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Memorie di Adriano 2017-09-04 19:10:29 Bipian
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Bipian Opinione inserita da Bipian    04 Settembre, 2017
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Sudditi della città eterna

Raro esempio di romanzo storico perfetto amalgama di alta letteratura, saggezza, visione profetica e cultura filosofica, caratteristiche quest'ultime proprie sia dell'autrice che del protagonista, l'imperatore Adriano, che sembra dettare in prima persona a distanza di quasi due millenni il suo pensiero alla Yourcenar.
Spesso il confine tra la voce dell'uno o dell'altra è labile e ci si chiede chi è a parlarci veramente: il grande imperatore o la dotta scrittrice. La risposta la si può trovare nei "Taccuini di appunti" che nell'edizione Einaudi seguono il romanzo, in cui l'autrice spiega magistralmente:
"Ritratto di una voce. Se ho voluto scrivere queste memorie di Adriano in prima persona è per fare a meno il più possibile di qualsiasi intemediario, compresa me stessa. Adriano era in grado di parlare della sua vita in modo più fermo, più sottile di come avrei saputo farlo io."
"Chi colloca il romanzo storico in una categoria a parte dimentica che il romanziere si limita ad interpretare, valendosi di procedimenti del suo tempo, un certo numero di fatti passati, di ricordi, coscienti o no, personali o no che sono tessuti della stessa materia della storia. "Guerra e pace", tutta l'opera di Proust, che cosa sono se non la ricostruzione d'un passato perduto?"
E ancora:
"Qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche."
"Quando ho fatto formulare da Adriano le sue previsioni sul futuro, mi sono tenuta nel campo del plausibile; a patto, tuttavia, che quei pronostici restassero vaghi."

Quindi da una parte l'ispirazione, l'influsso di Adriano che parla all'autrice e lei che lo lascia parlare liberamente, dall'altra la consapevolezza matura del ruolo dell'autrice. Del resto questo fondere gli opposti, conciliare i conflitti, coniugare le diversità è una costante di entrambi. A tal proposito lei scrive:
"Quando due testi, due affermazioni, due idee si contrappongono, divertirsi a conciliarle anziché annullarle una attraverso l'altra; ravvisare in esse due aspetti, due stadi successivi dello stesso fatto, una realtà convincente appunto perché complessa, umana perché multipla."
E Adriano riflette: "Ogni uomo, nel corso della sua breve esistenza, deve scegliere eternamente tra la speranza insonne e la saggia rinuncia a ogni speranza, tra i piaceri dell'anarchia e quelli dell'ordine, tra il Titano e l'Olimpico. Scegliere tra essi, o riuscire a comporre, tra essi, l'armonia."

L'armonia e la visione multietnica del grande imperatore, divenuto padrone del mondo, erede della migliore tradizione filosofica greca ed instancabile viaggiatore e viandante viene rimandata a noi attraverso molti passi:
"Già altri uomini prima di me avevano percorso la terra: Pitagora, Platone, una dozzina di saggi, e un buon numero di avventurieri. Per la prima volta, però, quel viaggiatore era al tempo stesso il padrone, libero al tempo stesso di vedere e di riformare, libero di creare. [...] Non ho mai avuto la sensazione di appartenere completamente a nessun luogo, neppure alla mia dilettissima Atene, neppure a Roma. Straniero dappertutto, non mi sentivo particolarmente isolato da nessun luogo. [...] Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. [...] Volevo che l'immensa maestà della pace romana si estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo moto; che il viaggiatore più umile potesse errare da un paese, da un continente all'altro, senza formalità vessatorie, senza pericoli, sicuro di trovare ovunque un minimo di legalità e di cultura."

Centrale la figura di Antinoo, giovinetto amato da Adriano e tratteggiato mirabilmente nel periodo della sua maturazione:
"A poco a poco, la luce cambiò. Dopo due anni e più, si notavano le orme del tempo, dei progressi d'una giovinezza che si forma, s'indora, sale quasi allo zenit; la voce fonda del fanciullo s'abituava a dare ordini a nocchieri e capicaccia; la falcata più lunga del corridore; le gambe del cavaliere che stringono la cavalcatura con maggior esperienza; l'alunno, che a Claudiopoli aveva imparato a memoria lunghi frammenti di Omero, e si appassionava di poesia lasciva e raffinata, ora si estasiava di alcuni brani di Platone. Il mio pastorello diventava un giovane principe. Non era più il fanciullo zelante che, alle soste, si gettava da cavallo per offrirmi l'acqua delle sorgenti attinta nel cavo delle sue palme; ora, il donatore conosceva il valore immenso dei suoi doni. Durante le cacce organizzate nelle terre di Lucio, in Etruria, m'ero divertito a mescolare quel volto perfetto alle fisionomie grevi e aggrottate dei grandi dignitari, ai profili acuti degli Orientali, alle rozze grinte dei cacciatori barbari, a costringere il mio diletto alla parte difficile di amico. [...] Ma la sua bella bocca aveva assunto una piega amara che non sfuggì agli scultori."

Il romanzo come in questo caso indulge molto su alcuni dettagli che ci fanno intuire le inclinazioni e le abitudini spesso raffinate e privilegiate di Adriano, che accanto all'indubbio e rigoroso impegno e alla profonda visione politica, non disdegnava banchetti, battute di caccia, rituali mistici e piaceri della carne.
E' una prosa che richiede una certa concentrazione, ma aulica e maestosa, ripaga il lettore dello sforzo, ornando le vicissitudini dell'augusto imperatore con patina latina, antica, dorata, adatta a descrivere il secolo aureo di Adriano e l'apogeo dell'impero romano.
Adriano diventa il simbolo e il perno di questo ultimo splendore romano; durante il suo impero si verificano condizioni particolari e irripetibili di cui l'autrice e forse anche il protagonista sono consapevoli: la massima estensione dei confini e nel contempo la loro relativa stabilità, con il contenimento e l'integrazione dei barbari (vallo di Adriano e pax romana); il superamento delle divinità greco-romane e nel contempo la marginalità del Cristianesimo, che nel II secolo d.C non ha ancora attecchito.

Originale ed emblematica la riflessione di Adriano in merito a questa religione in fase embrionale:
"Mi ero prefisso di seguire, per questa setta, la stessa linea di condotta rigidamente equa che Traiano s'era imposta nei suoi giorni migliori; avevo recentemente rammentato ai governatori delle province che la protezione delle leggi si estende a tutti i cittadini, e che i diffamatori di cristiani sarebbero stati puniti qualora li accusassero senza prove. Ma ogni tolleranza accordata ai fanatici li induce immediatamente a credere a una simpatia per la loro causa. [...] Non mancai tuttavia di gustare il fascino commovente di quelle virtù da gente semplice, la loro dolcezza, la loro ingenuità, il loro affetto reciproco; sembravano le confraternite di schiavi o di poveri che si fondano qua e là in onore dei nostri dèi. [...] Ma non ero insensibile ad alcuni pericoli: quella esaltazione di virtù da fanciulli o da schiavi avveniva a discapito di virtù più virili e più ferme; dietro quell'innocenza insipida e ristretta, indovinavo l'intransigenza feroce del settario verso forme di vita e di pensiero che non sono le sue, l'orgoglio insolente che gli fa preferire se stesso al resto degli uomini, la sua visuale deliberatamente limitata da paraocchi. [...] Trascorsi una sera intera a discutere con Arriano l'ingiunzione di amare il prossimo come se stessi; essa è troppo contraria alla natura umana per essere sinceramente seguita dalle persone volgari, le quali non ameranno mai altri che loro stesse, e non si addice al saggio, il quale non ama particolarmente neppure se stesso."

Come s'intuisce da questi abbondanti assaggi di romanzo - mi scuso per la prolissità, ma li trovo deliziosi e illuminanti - la materia trattata è amplissima, la saggezza e la profondità del pensiero permeante e costituente un fil rouge che abbraccia tutta la filosofia e fonde l'umanesimo del mondo classico all'esistenzialismo della Yourcenar. Si rimane abbagliati da tanta ricchezza e armonia. L'impero romano tramite uno dei suoi massimi interpreti brilla di luce perpetua e ci permea di civiltà e di grandezza. Facciamo parte del tutto, siamo tutti sudditi della città eterna.

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Memorie di Adriano 2017-08-23 14:05:41 siti
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siti Opinione inserita da siti    23 Agosto, 2017
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OLTRE IL CORPO, OLTRE L’ ANIMA

Il mistero dell'esistenza è il vero protagonista di questo magnifico romanzo dal tono esistenzialista e decadente. Adriano, l'imperatore narratore che in una lettera a Marco Aurelio dà voce ad una meditazione sulla scia dei ricordi per tentare quella conoscenza di sé alla quale non è ancora giunto, è semplicemente controfigura di tale mistero. Ognuno di noi, sembra dirci la Yourcenar, è controfigura di sé stesso, siamo tesi dal momento della nascita fino alla morte ad un processo di conoscenza del mondo, degli altri e di noi stessi. Nel cercare soprattutto la nostra intima essenza, nel tentativo di accettarci, sfuggendo l'ossessione di una vita mancata, viviamo consci già di essere soli nella variabilità umana, molteplici nella nostra individualità, battuti dall'esistenza per cui la vita si profila come una “sconfitta accettata”. Ad essa poi sono necessari una serie di mali che tutti vorremmo evitare: malattia, amore non corrisposto, mediocrità personale, incapacità di dare sostanza ai sogni, elementi tutti in realtà funzionali a far emergere le virtù migliori dell'uomo, indissolubile connubio di bene e male. Ripercorrere la biografia di Adriano permette dunque di godere di un'eccellente ricostruzione storica nutrita di fonti molteplici e al contempo di fruire di una straordinaria opera d’arte, trasfigurazione di un dato oggettivo in entità soggettiva. Si assiste ad una sorta di resurrezione dai meandri della storia di un suo personaggio restituito come persona nella sua umanità. Si percepisce a tal punto vicinanza con questo essere umano da piangerne la morte magistralmente siglata dopo le affascinanti pagine della sezione ultima ”Patientia”, tese alla riconciliazione dell'uomo col mondo, in poche efficaci pennellate arricchite dai bellissimi e noti versi di Adriano. Opera complessa, composita, stratificata ma di eccezionale fruibilità data la sua stessa essenza, simile alla vita.

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Memorie di Adriano 2017-07-20 20:39:12 Martin
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Martin Opinione inserita da Martin    20 Luglio, 2017
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CON GLI OCCHI DELL'IMPERATORE

‘Memorie di Adriano’ di Marguerite Yourcenar, pubblicato per la prima volta nel 1951, vanta una prosa carica di bellezza, ora dolce e molle, ora fredda e crepuscolare, ma sempre capace di descrivere con accuratezza quel profluvio di pensieri e soprattutto di desideri che costituisce il soggetto dell’opera, l’imperatore Adriano, che governò Roma e le sue vaste province dal 117 al 138 d.C. L’opera si configura come una lunga lettera, il cui destinatario è il futuro imperatore Marco Aurelio, in cui il padrone del mondo stilla, senza alcuna remora, la sua autobiografia. La giovinezza, le letture, l’educazione, gli incarichi presso la corte di Traiano, gli amori tanto roventi quanto frivoli, i combattimenti, il matrimonio, la successione al trono, i nemici, le riforme, i viaggi, numerosissimi, il fascino di Atene, i riti esoterici, l’efebo Antinoo, le rivolte di Giudea, la malattia, la scelta dell’erede si succedono a comporre la materia della lettera, che la scrittrice, come nei panni di una potente negromante, fa riemergere dalle profondità del tartaro, tanto è cesellata la sua ricostruzione storica. Ad essere sinceri mi aspettavo una vita ben più interessante di quella che prende corpo fra le spire dell’incantatrice Yourcenar, una vita ancor più ricolma di fasti, sregolatezze, intrighi, sangue (sarà l’effetto malefico di Games of Thrones), una vita veramente degna della sua divinizzazione. Avrei forse dovuto optare per libri su Tiberio, Nerone o Domiziano, ma non penso esistano libri sull’argomento equiparabili a questo per grandezza.
Deludente è poi il modo, a tratti sbrigativo e poco introspettivo, con cui la Yourcenar ha dato voce alla storia d’amore, certo discutibile, almeno per i nostri standard morali, ma non priva di un fascino ammaliante, fra l’imperatore e Antinoo: sembra quasi che Antinoo sia soltanto un gioiello prezioso nelle mani d’un capriccioso. Immagine che, in realtà, si frantuma nelle pagine che seguono la morte del ragazzo, suicida nelle acque del Nilo: Marguerite, forse spinta dall’idea che è nell’assenza che gli affetti si mostrano per quello che veramente sono, ci offre ora un uomo completamente spezzato, in preda alla disperazione, che il ricordo cambia in modo capovolgente. Sembra quasi che Adriano abbia lasciato un tetro fantasma a continuare la stesura delle sue memorie. E sono proprio le ultime pagine quelle che maggiormente trasudano di melanconia, emozione e di riflessioni in grado di scuoterci e turbarci: Adriano si prepara all’ultimo passo; la sua “animula vagula” è pronta per l’ultimo viaggio. “Ma tutte le teorie sull’immortalità m’ispirano diffidenza: il sistema delle retribuzioni e delle pene lascia freddo un giudice consapevole della difficoltà di giudizio. D’altra parte, mi accade altresì di trovar troppo banale la soluzione opposta, il puro nulla, il vuoto ove risuona la risata d’Epicuro” sono le parole che Marguerite mette in bocca ad Adriano. La morte, il grande limite attraverso cui gli uomini progettano le proprie caduche vite, diventa oggetto di una meticolosa anatomia. Le ultime pagine sono d’una bellezza incredibile, sculture fatte d’alfabeto, e che, nonostante la melanconia e l’arrendevolezza con cui l’imperatore s’offre alla morte, non cessano di lodare la luminosità di questo fondatore di biblioteche, di granai contro l’inverno dello spirito, che anticipa la storia (facile, direte voi, fare gli indovini con eventi già successi): “Se i barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo saranno costretti ad adottare molti dei nostri metodi; e finiranno per rassomigliarci. Cabria si preoccupa di vedere un giorno il pastoforo di Mitra o il vescovo di Cristo prendere dimora a Roma e rimpiazzarvi il pontefice massimo. Se per disgrazia questo giorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticani avrà cessato d’essere il capo di una cerchia di affiliati o d’una banda di settari per divenire a sua volta una delle espressioni universali dell’autorità”. Non bisogna temere i cambiamenti, il caos che imperversa, la decomposizione inesorabile, la bellezza, la giustizia lasciano segni eterni che, anche se frutto d’una sola individualità, sono simboli con cui leggere le pieghe del mondo: “mi sentivo responsabile della bellezza del mondo” scrive Adriano.

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Memorie di Adriano 2017-05-28 07:14:34 Mane
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Mane Opinione inserita da Mane    28 Mag, 2017
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Animula vagula, blandula...

“Memorie di Adriano” è una lunga lettera indirizzata al giovane Marco Aurelio, dove in realtà la forma epistolare rappresenta soltanto un espediente per consentire all’ormai anziano imperatore Adriano, impugnando la prima persona, di dar vita ad una narrazione del proprio trascorso, costellata di una serie di riflessioni che per numero e profondità difficilmente troverebbero spazio in una missiva concepita nel senso più pragmatico del termine.

Quella della Yourcenar è un opera a carattere storico, affrontata con una prospettiva interna, che seppur ligia al criterio della veridicità aggiunge alla rievocazione dei fatti un intenso coinvolgimento emotivo ascrivibile alla viva partecipazione d’animo dell’augusto narratore.

Per esser franchi, il testo non si legge con la voracità con cui si approccerebbe un thriller o un romanzo d’avventura, piuttosto richiede un esercizio quasi “muscolare” della concentrazione, attraverso il quale diventa possibile cogliere quelle sfuggenti rivelazioni che brillano di intensità una volta sottratte al flusso indefinito di una lettura distratta.

Ad ogni modo, una volta colta la cifra del testo, una volta raggiunta una certa sintonia con il nostro illustre interlocutore, la fatica quasi svanisce, la lettura si fa più scorrevole, lasciando intatto il piacere di fruire della saggezza delle parole di Adriano.

Attraverso le pagine il vecchio imperatore si apre senza ritrosie, passando in rassegna svariati frammenti della propria vita pubblica e privata, traendone man mano considerazioni e bilanci.
Scrutando la propria esistenza con occhio analitico, Adriano delinea di sé stesso, una identità ricca di sfaccettature, in funzione soprattutto dei rapporti con gli altri, richiamando a più riprese un concetto non troppo distante dalla molteplicità pirandelliana emblematizzata ne “Uno, nessuno, centomila”.

- “Regnavano in me di volta in volta personaggi diversi, nessuno dei quali molto a lungo; ma presto quello esautorato riconquistava il potere: l’ufficiale meticoloso, fanatico della disciplina […] il malinconico sognatore di dei, l’amante pronto a tutto per un istante d’ebrezza; il giovane luogotenente altero che si ritira sotto la tenda […] e non fa mistero ai suoi amici del suo disprezzo per come va il mondo […] Ma non dimentichiamo neppure il cortigiano ignobile […] il parlatore frivolo […] E ricordiamo pure quel personaggio vacuo, senza nome, senza posto nella storia, che è me stesso tanto quanto tutti gli altri, semplice zimbello delle cose, null’altro che un corpo, disteso su un letto da campo, distratto da un profumo […] vagamente attento al ronzio incessante di un’ape.
[…] Conoscevo i nomi dei miei attori; regolavo loro entrate e uscite plausibili; tagliavo le risposte inutili; evitavo con cura gli effetti volgari.” -

- “ La versatilità m’era necessaria: ero multiforme per calcolo, incostante per gioco.” -

Ciò che sorprende ed affascina è come quest’animo, per quanto complesso ed elevato, non sia mai dimentico della materialità del proprio corpo, “compagno fedele, amico sicuro”, oggetto invero di floride riflessioni ancor più cariche di significato a ridosso del momento dell’addio alla dimensione terrena.
- "Tutta la vita, ero vissuto d’amore e d’accordo col mio corpo; avevo implicitamente contato sulla sua docilità, sulla sua forza. Quest’intima alleanza cominciava ad allentarsi; […] il compagno intelligente d’un tempo, ormai non era più che uno schiavo riluttante alla fatica.” -

Ma quello del canuto e giudizioso imperatore non è puramente un accomiatarsi malinconico e sconsolato; c’è una luce che rasserena l’avvenire prospettato ed è una profonda e commovente fiducia negli uomini a venire, che si spinge fino a lambire perfino quei barbari temuti e distanti, per cui Adriano aveva sempre comunque nutrito un senso di rispetto e umana fratellanza.

Marguerite Yourcenar offre dunque, più che una semplice lettura, un’esperienza immersiva, da cui ci si desta, alzando gli occhi dalle pagine, come da un attimo di “sovrappensiero”.

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Memorie di Adriano 2017-01-16 09:51:03 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    16 Gennaio, 2017
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' Ad occhi aperti '

Libro pubblicato nel '51, quando M. Yourcenar aveva 48 anni, l'età giusta da cui attendersi il capolavoro.
La scrittura di quest'opera costituirebbe già di per sé un romanzo : un baule che nel Dopoguerra dall'Europa attraversa l'Atlantico; dentro, carte dimenticate: la scintilla di un rinnovato entusiasmo, ma quasi tutto è da rifare ... Qualche anno di intenso lavoro di ricerca e documentazione, quindi la stesura definitiva.
Poi un successo editoriale e di critica : Marguerite entra fra i Grandi della Letteratura. Ogni opera successiva sarà un evento, spesso ben meritato. La Yourcenar diventa un mito per tanti lettori.

In questo libro, l'Io narrante è l'imperatore Adriano, ormai sessantenne e malato, che racconta la propria vira intessendovi riflessioni di carattere esistenziale.
Chi conosce l'Autrice, però, può scorgervi molte convergenze di pensiero. Anche lei, infatti, sapeva come la gloria e gli averi siano una vile moneta, da far dire al protagonista: "Tornai a casa coperto di onori, ma ero invecchiato, e pone in risalto la figura di Plotina, vedova del predecessore Traiano, che "si dedicava ai piaceri austeri della meditazione e dei libri. (...) Scendeva soavemente nell'ombra ; quel giardino, quelle stanze chiare diventavano ogni giorno di più il recinto di una Musa". Così diversa da molte donne di quell'epoca di decadenza, per certi aspetti molto simili alle signore omologate di oggi e di ieri; modelli femminili da cui la nostra scrittrice volle con tutte le sue forze emanciparsi : "l'amore di cui parlavano continuamente, a volte mi sembrava fatuo (...) un gioiello alla moda, un accessorio costoso e fragile; e sospettavo che si dessero la passione insieme al rossetto (...). Avrei desiderato molto di più : la creatura umana spoglia, sola con se stessa". "Un uomo che legge, o che pensa (...) appartiene alla specie, non al sesso (...). Ma le amanti pareva si facessero una gloria di non pensare se non da donne; lo spirito, l'anima, che cercavo non era anch'essa che un profumo". "Ritrovavo la visuale limitata delle donne, il loro duro senso pratico, il loro cielo grigio non appena cessa di ridervi l'amore".

La narrazione, pur sorretta da una documentatissima base storica, ha un taglio prettamente esistenziale, con riflessioni sulla caducità delle cose di questo mondo, sull'aspetto enigmatico e profondo dell'amore, con una propensione alla contemplazione della natura.
Lo stile possiede la bellezza di una scrittura capace di sorprendere sempre, e l'intelligenza sovente vi brilla come diamante.
Splendida la traduzione della latinista Lidia Storoni Mazzolani.

"Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori (...). Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti".

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Memorie di Adriano 2017-01-05 15:17:09 Anna_Reads
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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    05 Gennaio, 2017
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Ricordati di Adriano.

Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar, 1951.

“Non ho mai compreso come si possa essere sazio di un essere umano.”

Ci racconta Erodoto che Re Dario, sovrano dell’impero più esteso del mondo, fino a quel momento, dopo essere stato sconfitto dalla piccola confederazione di polis greche guidata da Atene, ordinasse ad uno schiavo di ripetergli, ogni volta che gli veniva servito il pasto: “O padrone, ricordati degli Ateniesi”.
Io non ho schiavi e son singolarmente poco incline alla riflessione, quando sono affamata, non di meno, voglio anch’io un motto da ripetermi con solerzia, almeno due/tre volte al giorno e anche di più, casomai indulgessi in pensieri del tipo “le mie capacità di giudizio sono indipendenti.”
Il motto è “Accidenti a me e a chi non me lo dice” in sintesi: “Ricordati di Adriano.”
La (lunga) spiegazione a questa bizzarria, in coda alla recensione.

Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar, 1951

“Vi è più di una saggezza, e sono tutte necessarie al mondo: non è male che esse si alternino.”
Le Memorie di Adriano è uno dei libri più belli che abbia mai letto.
Uno di quelli scritti meglio. Non riesco ad immaginare – nonostante i preziosi taccuini allegati – come Yourcenar abbia potuto farlo/pensarlo/volerlo/esserlo, forse, alla fine.
Non è una raccolta di motti, di massime filosofiche, di pensieri in cui tuffarsi, dentro uno scafandro, per trovare il bandolo o sondarne le profondità.
No.
È una storia.
La storia di Adriano, raccontata in prima persona. La storia della sua vita, dall’infanzia fino alla morte. È una storia da cui è difficile prendere congedo, un testo (che sia sempre benedetto l’e-reader che ho potuto riempire di note, sottolineature, commenti in modo che un cartaceo non avrebbe mai potuto sopportare) che vorrei trascrivere per paura che i pensieri che ha creato possano venir meno. Da cui – in effetti – fatico a separarmi e non credo che lo farò, alla fine.
Una storia che ti accompagna tanto che ogni tanto ti sorprendi – scioccamente – a chiederti “che cosa penserebbe Adriano?”, bypassando d’un balzo l’autrice e circa duemila anni.
Accompagniamo Adriano prima come studente, poi soldato, imperatore, amante, maturo, vecchio, malato.
Facciamo affidamento sul suo sguardo lucido e schietto, ma mai tagliente. Affettuoso e fiero, ma mai compiaciuto. La grandezza dell’autrice è innanzitutto nella sua capacità di “sparire” dal testo (e infatti faccio un certo sforzo a non scrivere “Adriano pensa/dice/scrive”) e nel condurti per mano attraverso un racconto che ti costringe a interrogarti, domandarti, PENSARE.
Tutti i libri fanno pensare e non solo i libri, per fortuna.
Questo però di costringe un po’ di più a pensare e ad argomentare.
Su di te e in prima persona. E va anche detto che non permette scorciatoie facili e consolatorie.
Però ecco.
Fa stare bene.
Per l’equilibrio che crea e regala al lettore. Per un argomentare che non “sbava”, ma che non diventa mai cinico. E per un’austerità che non diventa mai grettezza (anzi) e una generosità che non diventa “volemose bene”.

“Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più…
Cerchiamo di entrare nella morte a occhi aperti.”

Spiegazione (?)
Possiedo questo libro dal 15 marzo del 1994 (come da epigrafe), dono di una preziosa zia, l’anno della maturità. Finivo Germinale ed arrivò lui.
Sperduta al paesello, non potevo essere più lontana dai fasti di Roma Imperiale. Non di meno lo assaggiai.
Ricordo come singolarmente bello – e faticoso – immergersi in quella scrittura “densa”e ricca. Fermarsi ad assaporare le parole. A pensarle.
Poi cominciarono i “complimenti”.
Brava che leggi ‘sto libro, hai proprio voglia di metterti a leggere di filosofia prima di dormire, bello, ma pesante e – in ultimo, il peggiore – ti ammiro, piacerebbe anche a me leggerlo, ma mi mancano le basi.
Ora ‘sta cosa delle basi.
Come tutti gli studenti privilegiati che hanno potuto studiare filosofia alle superiori…( inciso. Io penso che in tutte le superiori si dovrebbe studiare filosofia. Per una marea di ragioni, la più stupida è per imparare ad argomentare e a sostenere una posizione qualunque in modo razionale. La seconda è per acquisire un linguaggio con cui articolare il pensiero. Ci si riesce anche da autodidatti, certo e anche senza filosofia, sicuramente. Però non a quell’età. E acquisirlo a quell’età serve immensamente. Per tutelarsi e per formarsi. Ma diventa troppo lunga…)
Dicevo.
Come tutti gli studenti privilegiati che hanno potuto studiare filosofia alle superiori ho avuto un amore potente e coinvolgente per la filosofia classica.
Perché è la prima, perché è coinvolgente perché – santa pace – SI CAPISCE. Mi sono soverchiamente frantumata le gonadi con la scolastica (tiè, manco la maiuscola ti ci metto), ho avuto un importante ritorno di fiamma per i medievali non baciapile come Abelardo ed Ockham, fino ad Erasmo e poi all’Illuminismo e ai vari Hume e Locke.
Va poi detto che dopo Carl Marx, ho smesso di capire di che cosa parlava la filosofia.
Ricordo lo sconforto mentre studiavo Kant ed Hegel. Non tanto per la complessità, ma proprio per il non capire di che cosa si stava parlando. Mentre studiavo lo schematismo trascendentale, mi ricordo che ho provato a leggere il paragrafo del manuale dall’ultima parola alla prima.
…e ho capito allo stesso modo.
Cioè niente.
E Adriano arrivò più o meno in questo periodo.
E io le basi non le avevo.
E neanche le altezze.
Messo da parte.
All’università di furono altri incontri con la filosofia, in cui me la sono più o meno cavata (anche barando un po’) e pensavo che fosse finita. Mai più mi sarei spaccata la testa con qualcosa che non capivo in modo così viscerale.
Ma come disse forse Talete, l’acqua che non si beve annega.
Non mi ero estasiata traducendo Seneca? Non mi ero inorgoglita della definizione di “Stoica calvinista” che mi affibbiò un professore?
Togliendo i matti forse potevo trovare qualcosa di buono & bello?
Ho tergiversato per anni, perché il trauma delle pagine e pagine lette senza capire di che si parla mi è rimasto vivido (e livido). Finché alla fine, dopo aver ribazzicato un vecchio amore, che era pure un imperatore filosofo, cioè Giuliano l’Apostata, ho deciso di riprendere le Memorie di Adriano.
Senza basi e senza altezze.
Be’.
Accidenti a me e a chi non me lo dice perché non l’ho fatto prima e perché mi son fatta intortare dalle recensioni/commenti che dicono che senza basi non puoi capire, se non hai fatto filosofia non puoi capire, se non hai quarti di romanità o altre scemenze non puoi capire.
Onta e disonore su di me per aver prestato orecchio – a causa del vecchio trauma – a queste scempiaggini.
Come re Dario, voglio qualcuno che, ogni volta che mi glorio per la mia imparzialità di giudizio, mi dica “ricordati di Adriano”.

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Memorie di Adriano 2016-01-19 16:15:54 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    19 Gennaio, 2016
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L'umanità di un imperatore

Quando Platone nella sua Repubblica auspicava l’avvento di uno Stato in mano ai filosofi, era probabilmente a figure come quella di Adriano che pensava utopisticamente. Nel romanzo di una vita, tra anni di sconforto e di ricerche appassionate mirabilmente documentati negli affascinanti Taccuini, Marguerite Yourcenar traccia il ritratto di uno dei più interessanti imperatori romani. Adriano regnò nel II secolo, il saeculum aureum, periodo di grande prosperità di un impero ormai stabilizzatosi istituzionalmente e territorialmente, ereditato dall’illustre predecessore Traiano, emblema del buon governo. Il motivo della non casuale scelta di questa figura è spiegato dall’autrice stessa, affascinata da un imperatore vissuto in un’epoca di transizione, in cui andava ormai decadendo la fiducia nella religione tradizionale e ancora non si era diffuso il cristianesimo: si tratta quindi di un’epoca che vede inevitabilmente al centro l’uomo e la sua vita continuamente in bilico tra il Titano e l’Olimpico.

Di conseguenza, la Yourcenar esclude ogni traccia di sé stessa nell’opera, lasciando la parola allo stesso Adriano che, in una fittizia lettera al successore Marco Aurelio, traccia la propria autobiografia, ripercorrendo con una vena di nostalgia romantica la sua intera vita, dagli esordi nella carriera politica e la mai celata brama del potere alla morte al termine di un ventennio di regno finalizzato a consegnare ai posteri un impero all’altezza della sua storia, passando per la giornaliera meditazione sulla filosofia e sulle arti, sull’amore e sul buon governo, sull’uomo e sugli dei, sul mondo e sulla sorte, sulla vita e sulla morte. Ulisse costantemente in cerca della sua Itaca, come lui stesso si definisce, l’Adriano approfonditamente studiato e ritratto in maniera storicamente fedele dalla scrittrice francese è un imperatore di cui emerge tutta l’umanità: la rievocazione delle vicende storiche fa da sfondo a un diario di commiato dalla vita e altro non è che uno spunto per indugiare su riflessioni esistenziali, politiche, morali, culturali che accompagnarono la vita dell’imperatore nell’età senza gli dei.

Annullando così la distanza tra un imperatore e un uomo qualsiasi, l’opera viene quindi a sottrarsi alla troppo semplicistica definizione di romanzo storico, raccogliendo e amalgamando in sé l’eredità della letteratura filosofica e del saggio storico. Ne nasce un’opera dal valore universale sull’esperienza umana, come apertamente dichiarato dall’autrice nei Taccuini (“Ogni uomo che ha vissuto l’esperienza umana sono io.”) e di straordinario valore culturale anche in relazione alla storia contemporanea. Più volte infatti è possibile scorgere dei velati riferimenti quasi premonitori alla modernità nelle parole di un imperatore certamente molto avanti rispetto al suo tempo in ambito culturale. E non è un caso che fortissimo sia l’appassionato richiamo di Adriano alla cultura greca, tesoro di tutti quei principi di civiltà, politica ed etica che Roma è riuscita a metter in atto all’ennesima potenza, dando vita a uno splendore culturale che la contemporaneità sembra andar perdendo. Ed è qui che si inserisce il più forte monito, terribilmente attuale, della Yourcenar alla sua era: “Fondare biblioteche è un po' come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l'inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.”.

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Memorie di Adriano 2015-12-26 19:43:36 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    26 Dicembre, 2015
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Un imperatore, un uomo.

Marguerite Yourcenar lavorò per molti anni alla stesura definitiva di “Memorie di Adriano”, opera che fu pubblicata negli anni cinquanta e che per la sua ricchezza e molteplicità di aspetti sia contenutistici che stilistici, é difficile definire semplicisticamente romanzo storico o saggio filosofico: essa é, infatti entrambe le cose e molto di più.
La ricerca puntuale effettuata con metodo scientifico di documenti storici, atti e testimonianze riguardanti la figura dell’imperatore romano Adriano, riporta al concetto greco di istoría, che implica una ricerca effettuata nel presente di fatti del passato, con un uso del tempo molto diverso da quello teorizzato da Bergson come durée che ha influenzato tutto il romanzo del novecento. Certo in questa prospettiva si potrebbe definire romanzo storico qualsiasi narrazione di fatti radicati in un tempo e uno spazio ben definiti.
Il racconto é affidato alla voce narrante dello stesso Adriano e si svolge in forma di epistola indirizzata a Marco Aurelio, nel momento in cui l’imperatore vede scemare le sue forze e avvicinarsi il momento della morte. L’epistola si compone di sei parti, ciascuna delle quali ha un significativo titolo in lingua latina. Adriano non esita a definirsi anima vagula, blandula, consapevole della sua fragilità interiore nel momento in cui sente vicina la fine. Ed è una figura complessa nella sua toccante umanitá, quella che la Yourcenar ha ricomposto di questo grande del passato che aveva cercato di regnare con giustizia, pur consapevole di commettere errori e imparzialità, talvolta, solo per il bene del suo popolo.
“Varius, multiplex, multiformis” Adriano definisce se stesso. Né é ignaro dei torti fatti a Sabina, la compagna che ha spietatamente ignorato e alla quale ha preferito l’amore del giovane Antinoo. E qui la Yourcenar non esita a soffermarsi su ciò che si può intendere per libertà : “Ho cercato la libertà più che la potenza, e quest’ultima soltanto perché in parte secondava la libertà”.
L’amore di Adriano per Antinoo assume l’aspetto dell’esperienza decadente che ci ricorda il Mann di “La morte a Venezia”. Antinoo come Tadzio, fanciulli, che rappresentano un ideale di bellezza classica che trasforma l’esperienza estetica in desiderio carnale, dimostrando quanto labili siano i confini tra sfera intellettuale e sfera fisica.
Il romanzo storico si trasforma in saggio allorché affronta argomenti quali la schiavitù, la condizione della donna, la legge e l’arte.
“Non credo che alcun sistema filosofico riuscirà mai a sopprimere la schiavitù: tutt’al più ne muterà il nome.” Nulla di più vero persino oggi dopo tanto cammino verso la democrazia e verso il rispetto per i diritti umani. La schiavitù ha cambiato forma e tuttavia appare evidente nella perdurante sopraffazione dell’uomo sull’uomo.
“Ho insistito affinché nessuna fanciulla sia data in moglie senza il suo consenso:lo stupro legale é ripugnante quanto qualsiasi altro.”Adriano appare consapevole della condizione di inferiorità in cui si trova la donna del suo tempo, e anche il suo giudizio sull’efficacia dell’applicazione delle leggi appare di una modernità sconcertante: “ Bisogna che lo confessi: credo poco alle leggi. Se troppo dure, si trasgrediscono, e con ragione. Se troppo complicate, l’ingegnosità umana riesce facilmente a insinuarsi entro le maglie di questa massa fragile, che striscia sul fondo.”
Bellissimo il pensiero di Adriano sull’arte. Egli esalta ogni forma d’arte che si concentri intorno all’uomo. È l’uomo l’interesse principale di questo imperatore illuminato. “[.....] La nostra arte ha preferito attenersi all’uomo. Noi soli abbiamo saputo mostrare in un corpo immobile la forza e l’agilità ch’esso cela; noi soli abbiamo fatto d’una fronte levigata l’equivalente d’un pensiero.”
Ripercorrere la propria vita è per Adriano l’esperienza estrema. Egli è consapevole della sofferenza che genera la memoria e tuttavia non ne nega né ne respinge l’utilità. “La memoria della maggior parte degli uomini é un cimitero abbandonato, dove giacciono senza onori i morti che essi hanno cessato d’amare.”
“Patientia” é il titolo dell’ ultimo capitolo di quest’opera, il capitolo più toccante, più profondo in cui Adriano, cosciente della fine che si avvicina, pur favorevole nel passato al suicidio, come fine dignitosa d’una vita, sente di dover accettare come supremo sacrificio il degrado fisico, e il dolore del corpo, come naturale conclusione di un tempo trascorso ad amare, a soffrire, a godere della bellezza della natura e a sentire il peso delle responsabilità della gestione del potere. Ed ecco ora Adriano torna a essere l’anima vagula e blanda che cercherá di entrare nella morte a occhi aperti.
Marguerite Yourcenar ci ha consegnato il ritratto di un imperatore che fu uomo prima d’ogni altra cosa, un uomo senza tempo, grande nello spirito, fragile nei sentimenti, forte nel decidere.

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Memorie di Adriano 2015-09-11 10:23:10 MATIK
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MATIK Opinione inserita da MATIK    11 Settembre, 2015
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Memorie di Adriano.

"Humanitas, Felicitas, Libertas."
Una grande e complessa opera questa della Marguerite Yourcenar sulla vita di Adriano, imperatore dell'antica Roma.
Ricostruzione che è un mix di saggio, poema e memorie, un lavoro svolto con estrema cura dall'autrice che ha impiegato anni per fare un'opera di enorme prestigio, va letto con attenzione, a volte ho fatto fatica tanti erano i concetti elencati e gli argomenti trattati perché complessi e variegati.
Adriano scrive una lettera aperta al giovane Marco Aurelio, dove racconta la sua vita senza veli alcuni, analizzando la sua opera politica, il suo amore per la bellezza, le sue debolezze, i suoi valori, il rapporto verso Antinoo, l'attrazione per la Grecia e verso tutti i suoi miti e la necessaria adorazione per gli dei che devono proteggere la sua missione: quella di far splendere Roma e tutto il suo impero.
Adriano un imperatore speciale, avanti per quei tempi, che è cosciente che prima o poi l'impero tramonterà, ma lui è chiamato ad agire nel miglior modo possibile, affinché il suo operato venga ricordato per la sua cortesia che è indispensabile, la sua deferenza, la sua compiacenza, la sua fermezza, la sua versatilità, la sua moralità, per creare un impero vastissimo dove i suoi sudditi siano trattati con Umanità, Felicità e Libertà.
"...l'essenziale è che l'uomo, giunto comunque al potere, in seguito abbia dimostrato che meritava di esercitarlo."
Delicato, fragile e poetico l'amore che Adriano prova per Antinoo, un giovane bellissimo che conosce durante le sue campagne in Asia, un fanciullo timido, ma anche ribelle, che non è mai completamente felice, nonostante tutta l'immensa passione che Adriano gli riversa, alla fine muore, suicidandosi e provocandogli un dolore inaccettabile, dal quale non si riprenderà mai più.
"...aveva dovuto credersi amato ben poco per non sentire che perderlo sarebbe stato per me il peggiore dei mali."
Un capolavoro, questo libro, che amplia i confini della cultura, della filosofia, della storia, un'opera necessaria al nostro bagaglio letterario.
"Thahit sua quenque voluptas (ognuno è attratto da ciò che gli piace): ciascuno la sua china; ciascuno il suo fine, la sua ambizione se si vuole, il gusto più segreto, l'ideale più aperto."

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