Max e Flora Max e Flora

Max e Flora

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A Max basta vederla, quella Rashka appena quindicenne, per rimanerne abbagliato. E dire che finora tutto filava liscio: lui e la sua bella Flora, moglie e amica, complice e amante, sono tornati a Varsavia per procurarsi della «merce» per la loro fabbrica di borsette – in realtà, carne fresca per il florido bordello che gestiscono a Buenos Aires. Appena arrivati, si sono immersi, come un tempo, nel mondo di via Krochmalna, cuore pulsante del ghetto di Varsavia, sorta di corte dei miracoli, dove, all’inizio del Novecento, aleggia ancora un buon «odore di birra, mostarda, bagel caldi e pretzel» e trafficano i loro vecchi amici, gente come Meir Panna Acida, Leah Lingualunga, Itche il Guercio e Srulke il Tonto. Ma, come recita un antico detto yiddish, «dieci nemici non possono fare a un uomo il male che può fare a se stesso». E così sarà di Max Shpindler, un’altra delle indimenticabili figure della vasta commedia umana che Singer ha saputo mettere in scena: cinico e donnaiolo, in apparenza pienamente soddisfatto di sé e della propria ricchezza, pronto a finanziare un gruppo di anarchici se questo gli consente di far soldi, Max è in realtà tormentato da dubbi, e da domande a cui non trova risposta, e da tentazioni di morte – un tumulto che proprio l’incontro con l’irresistibile Rashka porterà con prepotenza alla luce. Dopo Keyla la Rossa e Il ciarlatano, un terzo, strepitoso inedito del grande scrittore polacco.



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Max e Flora 2023-06-05 16:35:44 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    05 Giugno, 2023
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Max e l'incapacità di amare

Pubblicato a puntate nel 1972 su un quotidiano di New York e mai raccolto prima in volume, “Max e Flora” è ambientato nella Varsavia dei primi anni del secolo scorso ed è dedicato al mondo della malavita ebraica in Polonia. I personaggi principali sono appunto Max e Flora: Max giunge dall’Argentina, dove dice di gestire una rinomata fabbrica di borsette, insieme alla moglie Flora, un’attrice di scarso valore, semianalfabeta, ma dal carattere impulsivo e passionale. In realtà, i due sono in Polonia per procurarsi ragazze per un bordello di Buenos Aires, dal quale proviene, all’insaputa del marito, la stessa Flora. Vivono nel quartiere ebraico, sembra che abbiano un sacco di soldi, coltivano amicizie, hanno simpatie per il mondo degli anarchici, che vorrebbero sovvertire l’ordine costituito, coinvolgendo addirittura l’indeciso Max nella preparazione di una rapina in banca. Max ha un comportamento ambiguo: sempre insoddisfatto, è tormentato da dubbi, sembra cinico e risoluto ma nello stesso tempo si rende conto della sua vita disordinata giungendo all’autocommiserazione ed a reiterati propositi di suicidio. Ha un amico del cuore con il quale si confida e che gli vuole bene, ma conosce anche una battagliera rappresentante dei ribelli, che tenta di convincerlo che se un Dio esiste deve essere malvagio e che non esistono il bene e il male in sé, ma sono due aspetti della vita che ognuno deve piegare ai propri interessi. Il mondo della malavita è in subbuglio, Max si sente in pericolo, tenta di fuggire con Flora, poi l’abbandona quando si rende conto dei suoi veri trascorsi: si invaghisce perdutamente di una minorenne, che vuole portarsi via, coinvolgendola in una fuga romantica, ma alla fine torna sui suoi passi, alla ricerca di Flora, sempre innamorata nonostante tutto. Negli ultimi capitoli, Max avrà modo di incontrare un giornalista i cui articoli sembravano aprirgli ritagli di verità: trova invece un tipo confuso, che afferma di non essere convinto di quello che scrive e di credere sì in un Dio, ma non nella sua bontà, dato che permette ogni crudeltà. L’amico del cuore, gravemente malato, muore: i funerali solenni sono teatro di un finale travolgente. Torna in scena Ida, l’anarchica, che spara ponendo fine alla vita dei principali protagonisti. L’unica speranza, sembra esserne convinto l’autore, è forse quella bandiera nera sventolata dagli anarchici, durante i funerali, dopo aver intonato una cantilena che annunciava che “ … sarebbe venuto il giorno in cui tutti i tiranni sarebbero stati rovesciati e l’umanità si sarebbe sbarazzata dei re, dei regimi, delle leggi e dei padroni e tutti sarebbero vissuti insieme come una grande famiglia”.
Se paragono “Max e Flora” ad un altro romanzo di Singer, letto anni fa, “La famiglia Moskat” (storia di una numerosissima famiglia ebrea, seguita per trent’anni fino alla seconda guerra mondiale), il contesto è qui più limitato, concentrandosi soprattutto sul protagonista, Max, figura quanto mai indecifrabile ed ambigua: Singer ama scavare nella psiche umana, mettendo allo scoperto contraddizioni, luci ed ombre, momenti di esaltazione alternati a momenti di sconforto e di follia distruttiva. Max non è capace di resistere alle tentazioni più primitive nei riguardi di Flora, moglie, amica e amante, e di altre che incontra nel suo continuo vagabondare, ma teme anche il Dio biblico della tradizione ebraica: è indotto a considerarlo malvagio e vendicativo, e vorrebbe credere in quel vento anarchico che promette libertà, uguaglianza e liberazione da asservimenti d’ogni genere. Il tormento del personaggio è raccontato con grande forza espressiva, anche se in modo a volte troppo semplicistico, soprattutto in quei continui dubbi se uccidere o no qualcuna delle sue amanti (Max ha sempre con sé la sua rivoltella carica) o se porre fine o no alla propria vita: un funambolico percorso tra l’incapacità di amare e l’incapacità di lasciarsi amare.




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Altri libri di Singer, in particolare "La famiglia Moskat".
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