Lo stendardo
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DISSOLUZIONE E ABNEGAZIONE
Quando gli ultimi bagliori dei fuochi del primo grande conflitto mondiale si stanno consumando, superati ormai da impellenti spinte nazionaliste che disgregano l’unità del glorioso impero austro-ungarico, l’alfiere Menis ritorna alla guerra, punito per aver osato approcciare la bella Resa, ospite nel palco dell’arciduchessa, intrufolandosi in quegli ambienti durante l’esecuzione delle Nozze di Figaro. La sua audacia dà il via a un serrato corteggiamento che neanche l’allontanamento forzato da Belgrado per il fronte fermerà, complice infatti il caso, Menis si ritroverà a meno di tre ore a cavallo dalla città, distanza che deciderà di coprire ogni notte per raggiungere la consenziente Resa, ospite del palazzo imperiale.
Come si intuisce, il romanzo calca un modulo narrativo che lo fa accostare ai canoni del romanzo d’amore, via via amplificati dal modulo del romanzo d’avventura, nel momento in cui le complicazioni renderanno più difficile incontrare la giovane ragazza. Quando però l’azione bellica entrerà in scena, facendo di questa narrazione un romanzo storico, i due filoni precedentemente calcati lasceranno il posto all’elegia, con protagonista assoluto lo stendardo, simbolo del giuramento alla corona imperiale, il vero collante di un coacervo di popoli pronti a immolarsi per un’idea ormai insostenibile, sbiadita come la seta di quell’insegna che in modo rocambolesco passa nelle mani dell’alfiere Menis, il quale se ne farà strenuo difensore anteponendolo a tutto e a tutti.
È al fronte che Menis capisce che le truppe non seguiranno gli ordini, non oltrepasseranno il Danubio, che la defezione coincide non con un interesse privato ma pubblico, collettivo: una salvifica spinta chiamata autodeterminazione per popoli, gli stessi finora assemblati in un’unica entità sovrana, percepita dalla stessa voce narrante, Menis, quale mondo. Il mondo di ieri, appunto, a dirla come Zweig, scomparso così, all’improvviso. Inconcepibile. E proprio mentre il reggimento con il quale combatte, si disperde come pula al vento, lo stendardo cade nelle sue mani, dapprima insegna privata dell’esercito che combatterà seguendo il suo sventolio, come tanti prima di questo, poi privato della sua asta e custodito infine come drappo glorioso tra il petto e la giubba. La sua fine coinciderà con quella dell’impero in un maestoso quadro finale che assembla la fuga dei reali da Schonbrunn con l’aleggiante perdurare nell’aria dei morti in battaglia.
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La caduta
Con Lernet-Holenia ho scoperto un grande scrittore. "Lo stendardo", infatti, si è rivelato una sorpresa al di sopra di ogni aspettativa ; lo ritengo, anzi, uno dei libri più belli della letteratura.
Accostabile a "La marcia di Radetzky" e a "La cripta dei Cappucini" di J. Roth, è sicuramente fra i testi più significativi sul mito asburgico e sulla sua caduta.
Il romanzo si apre e si chiude a Vienna, lungamente considerata capitale dell'Impero. L'ampia parte centrale, in un breve arco temporale nell'autunno del 1918, si svolge nei pressi di Belgrado. L'Io-narrante di gran parte del racconto è il giovane graduato Menis.
La presenza dello stendardo con l'aquila bicipede, per "mostrare alla truppa (...) qualcosa a cui essa debba serbarsi fedele", sovrasta con la sua portata simbolica l'intera narrazione : "questo drappo (...) rappresentava la gloria insanguinata" ; "aveva sventolato sulla morte di tanti soldati, in tanti scontri, in tante battaglie" .
Lo sgretolamento del mito imperiale, dapprima impalpabile, avviene in fatale progressione, con uno dei momenti cruciali là dove si vedeva "brillare il Danubio, di un colore grigio fumo come l'argento ossidato".
Tra le vicende belliche e patriottiche s'insinua una storia d'amore, bruciante e inarrestabile.
Sempre più coinvolgente, il libro procede cogliendo i mutamenti d'atteggiamento tra la gente e in particolare nel protagonista, con una coerenza storico-sociale di forte attendibilità. Chi ha combattuto in guerra non è più come prima : "la guerra continuava. Continuava in tutti quelli ch'erano tornati a casa. Essi in realtà (...) erano tuttora sul campo di battaglia. Se l'erano portata dentro".
Splendido il finale, sontuoso e lapidario, altamente simbolico.
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letteratura mitteleuropea