Leonardo. La rinascita degli dèi
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Leonardo tra mito e realtà
La figura di Leonardo da Vinci ha ispirato la fantasia di tantissimi scrittori, attirati come limatura di ferro dalla potentissima calamita rappresentata dal carismatico e multiforme artista toscano, genio indiscusso del Rinascimento. Di conseguenza, e troppo di frequente, il suo nome è stato speso in modo avventato più per attrarre la fantasia del potenziale lettore che per reali esigenze narrative. Ancor più frequentemente se ne è fatto un uso scorretto, incuranti delle reali vicende storiche che lo videro protagonista o del carattere stesso del geniale uomo rinascimentale.
Quest’opera di Merezkovskij (uno dei principali esponenti del simbolismo russo) si trova un po’ in mezzo al guado, tra il rigore storico e lo sfruttamento dell’icona. Fu scritta alla fine del XIX secolo e pubblicata nel 1901. Per l’accuratezza con cui sono stati riportati gli episodi salienti della vita di Leonardo probabilmente può essere valutata come una delle biografie più approfondite dell’epoca e non è escluso che sia stata utilizzata in seguito da coloro che vollero documentarsi sulla vita e le opere del genio di Vinci senza attingere alle fonti dirette. Tuttavia risente pesantemente degli influssi della corrente stilistica a cui apparteneva l’A. e dell’impostazione ibrida con cui fu concepita. Infatti “Leonardo. La rinascita degli dèi” è il secondo volume di una trilogia dedicata a Cristo e all'Anticristo (le altre sono “Giuliano l'Apostata, o la Morte degli dei” e “Pietro e Alessio o l'avvento dell'Anticristo”), quindi, è ovvio che le finalità ultime mal si concilino con un rigoroso racconto della vita dell’artista.
Nel romanzo l’A. russo trasfuse il suo pensiero filosofico-religioso sul mondo e sull’antitesi tra la concezione greca della santità della carne e quella cristiana della sacralità dello spirito.
In questo romanzo troviamo entrambe le anime di questa contrapposizione. Da un lato c’è un romanzo storico (se non proprio una biografia vera e propria) che tenta di rievocare, con fedeltà e precisione (talvolta sin troppo puntigliosa), l’intero ciclo vitale di Leonardo partendo dalla fine del XV secolo, quando cominciò ad operare a Milano, sino alla morte, avvenuta ad Amboise nel 1519, ma ritornando pure, con capitoli in flash back, ai primi anni vissuti a Vinci e Firenze. Dall’altro, quello etico filosofico, la narrazione è pesantemente “inquinata” dalla volontà di mostrare, in un continuo altalenare di dualismi, la contrapposizione tra bene e male, tra precetti cristiani e tentazioni eretiche, tra ricerca della verità scientifica e cialtronerie da stregoni.
Sotto il primo profilo il lavoro di Merezkovskij è sicuramente ammirevole, soprattutto in considerazione del fatto che gli studi leonardeschi alla fine dell’800 erano molto meno accurati di quelli odierni, soprattutto nella Russia zarista. Nel libro si ha la prova tangibile della grande ricerca effettuata, dello sforzo operato per rendere vivo e vitale il Rinascimento italiano e i suoi personaggi di spicco. Purtroppo questa narrazione, proprio per la pretesa di mostrare con pedantesca minuziosità ogni minimo aspetto della società dell’epoca, si perde in mille rivoli che assai poco contribuiscono all’approfondimento generale. Al lettore moderno, ad esempio, poco interessa scoprire come si chiamava l’ipotetico ciabattino che andava ad assistere alle prediche di Savonarola o perché la sera prima si fosse ubriacato; soprattutto se si tratta di un personaggio che, come moltissimi altri, scompare definitivamente dopo poche pagine. Anche le non infrequenti citazioni di documenti e opere letterarie dell’epoca, alla lunga disorientano e annoiano.
In generale la parcellizzazione delle storie frammenta e disunisce l’esposizione complessiva sfarinandone l'unitarietà. Tra l’altro molto spesso in questi raccontini aneddotici la figura di Leonardo sbuca solo come comparsa sullo sfondo. Assolutamente incongruo, poi, è l’inserimento degli episodi che vedono per protagonisti alcuni diplomatici e pittori russi, episodi evidentemente inseriti per mera piaggeria verso il proprio Paese e i regnanti dell’epoca.
L’A. poi, nell’ansia di ricostruire un quadro generale che si accordi con i propri scopi, incappa pure in qualche svarione che, nei casi più clamorosi, è lo stesso traduttore a segnalarci in nota. Peraltro neppure questi s’è avveduto come fosse impossibile che al Cenacolo Leonardo avesse dedicato diciotto anni di lavoro (quando restò alla corte del Moro per un periodo più breve e la commissione per quel dipinto fosse del 1494) o che del monumento equestre a Francesco Sforza l’artista avesse ultimato solo il modello del cavallo.
Detto ciò l’opera sarebbe comunque meritoria, soprattutto se teniamo presente che molte delle ossessioni di Leonardo (basti pensare al volo umano) erano ancora avventurismi per folli con istinti suicidi al momento in cui Merezkovskij scriveva e, quindi, è comprensibile se per tali egli le giudichi.
Purtroppo, però, lo stile è lento e sin troppo pignolo. Così non si rende scorrevole la narrazione, al punto che non di rado si è tentati a fare consistenti salti di paragrafi per conservare la volontà di proseguire nella lettura.
A questo aspetto propriamente storico biografico si contrappone l’altra faccia della medaglia, quella dell’opera simbolica che descrive la continua lotta tra il lato buono e quello oscuro dell’umanità. E qui il romanzo è decisamente indigesto. Premetto che, personalmente, nutro seri dubbi sullo stesso presupposto da cui parte l’A., cioè che Leonardo sia mai stato sospettato di eresia o stregoneria, che abbia attirato su di sé l’odio dei suoi contemporanei per il comportamento eterodosso o che si sentisse, per ciò stesso, emarginato dai suoi concittadini. Ma a prescindere da questa mia convinzione, il romanzo insiste troppo sulla pretesa dicotomia tra il genio buono (quasi angelicato) e il cinico osservatore di ogni più cruenta manifestazione di violenza e costruttore di micidiali macchine di morte. Poi, risultano decisamente sgradevoli e poco accettabili, in un’opera che vorrebbe essere, soprattutto, storica, l’astrusa inserzione di sabba stregoneschi, le descrizioni degli artifizi di alchimisti truffatori, le “cure” dei medici cialtroni dell’epoca, le allucinazioni e i dubbi religiosi di Giovanni Beltraffio che sospetta costantemente della duplicità del maestro Leonardo e, soprattutto, la continua ossessione per l’avvento dell’Anticristo che viene infilata ovunque.
In quei passaggi il romanzo diventa quasi illeggibile per un lettore moderno, anche perdonando all’A. di scrivere sotto l’influenza della cultura russa del suo tempo, quando la chiesa ortodossa aveva steso una cappa opprimente su di essa, mentre Rasputin operava attivamente presso la corte zarista.
Riassumendo si ha l’impressione di avere tra le mani un’opera erudita e accurata (in certi passaggi sin troppo), ma pesantemente condizionata dal pensiero filosofico e religioso di Merezkovskij il quale, al resoconto fedele, predilige la finzione quando la reputi più consona a raffigurare il quadro generale che si è immaginato. Il risultato complessivo è un libro di difficile lettura, spesso noioso, raramente godibile anche a causa della sua smisurata lunghezza.
Indicazioni utili
- sì
- no