Le Gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri
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Le gesta di Artù e di Steinbeck.
“And I pray you all that redyth this tale to pray for him that this wrt te that God sende hyrn good delyverance and sone and hastel Amen". E prego voi tutti lettori del presente racconto di augurare a colui il quale lo scrisse che Dio lo liberi bene e presto e in fretta. Amen."
Steinbeck che scrive della “materia di Bretagna”.
Penso che difficilmente possa esistere una frase che, nella mia mente lettrice, evochi scenari più allettanti.
Lessi il libro la prima volta quando ero alle prime classi del liceo, non so se un adattamento o l’originale. Mi piacque l’idea che Steinbeck (che allora appena sapevo chi fosse) avesse deciso di rendere “potabile” una storia che lo avevo rapito da ragazzino. Ma il tempo passa e mi son ricordata di non ricordarlo bene. Così dopo la visione dell’onesto, ma non allettante film di Ricthie, ho pensato di consolarmi con un po’ di “roba (di Bretagna) buona”.
La mia edizione parla di 333 pagine. Quando (stanotte/stamane) mi sono accorta che, in realtà, il racconto finisce, incompiuto, a pagina 269 mi è venuto un magone mica da ridere. Poi mi però mi sono accorta che l’appendice sono lettere che Steinbeck scrisse intorno a questo libro.
La storia è quella ben nota raccontata da Malory e scritta, appunto, da Steinbeck. Che non rinuncia al suo stile asciutto, alla sua ironia pungente. Il primo capitolo scorre un po’ lento, ma poi è un crescendo fantastico. Al solito Merlino svetta come personaggio di dolente saggezza, Galvano è il solito noiosissimo idiota (sì lo so, non lo è sempre, ma il mio livore nasce da qui e qui rimane), Lancillotto diventa simbolo di una solitudine talmente invincibile che lo fa amare e persino Ginevra è meno intollerabile del solito. Ma quello che veramente strappa il cuore sono alcune storie “piccole” e meno note. In particolare, a questa rilettura, ho amato la storia di Ser Balin, eroe tragico senza colpa, se mai ve ne furono (profluvio di lacrime sul tram) e il delizioso capitolo con la triplice avventura di Ser Galvano, Ser Marhalt e Ser Ewain con, rispettivamente, la bellissima damigella di quindici anni, la formosa e matura dama di trent’anni e la dama di “tre volte vent’anni”.
Al di là dell’idiozia di Galvano che ha esattamente quello che si merita (e giustamente finisce i suoi giorni a cercare un catino senza manco trovarlo), le storie di Marhalt e Ewain sono stupende.
In particolare la dama di tre volte vent’anni infila una perla di saggezza ed ironia dietro l’altra e si avvia a diventare un mio perpetuo modello. La dama di trent’anni e Marhalt, invece, hanno, per dirla in breve, una delle storie d’amore più belle e più vere di cui abbia memoria. A quindici anni non l’avevo colta, chissà che avevo in testa (Tristano e Isotta avevo in testa, e ce l’ho in testa ancora, peraltro) ma adesso che sono arrivata anch’io, come la dama, ai trent’anni (+12) posso dirlo a ragion veduta. Immensamente belli, lei e Marhalt impossibile non volergli bene, non capirli, non identificarsi e non… capire.
Insomma.
Steinbeck si centellina sempre, perché non è bello starei in un mondo senza più Steinbeck da leggere, però questo si può riandare in perpetuo.
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Artù, ma non all'altezza del mito di Artù
Avvicinarsi a Steinbeck partendo da quest'opera non è stata probabilmente un'idea brillante. L'ho iniziata sulla scia del ricordo di film come 'La spada nella roccia' di Walt Disney, Excalibur di John Boorman e del mito di Artù, Merlino, Morgana, Lancillotto e Ginevra che da sempre ho amato, ma non è stato sufficiente a farmela apprezzare.
Il lavoro che c'è dietro è notevole, lo si apprende dalle lettere (riportate alla fine) che l'autore invia a partire dal 1956 al 1965 allo storico Chase Horton e alla sua agente Elizabeth Otis, dove descrive i suoi viaggi e i suoi studi per meglio comprendere l'originale di Thomas Malory, "Le morte d'Arthur" del 1485, da cui l'opera è tratta, tanto da farmi trovare migliore la parte epistolare che il racconto.
L' opera fu pubblicata postuma senza che l'autore la terminasse e revisionasse, e questo la rende poco scorrevole, poco curata e con i capitoli scollegati tra loro.
La parte migliore senza dubbio è quella relativa a Lancillotto del lago, dove emergono chiaramente la sua nobiltà d'animo e il suo amore per Ginevra e nasce così il dispiacere per il potenziale di un 'opera che, essendo largamente incompleta, non si è espresso.
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