La saga di Vigdis
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Bicromia della vendetta
Le origini di ogni letteratura affondano nel sangue: il sangue brillante di una violenta storia mediterranea, il sangue nascosto e celato della tragedia greca, il sangue rosso vivo di cui si nutre il flamenco spagnolo. E poi c’è un sangue diverso, un sangue nero, scuro, denso, pastoso come la vendetta, un sangue che sgorga senza scorrere, un sangue affamato di sangue, il sangue feroce della cultura scandinava, muta di dei invincibili, orfana di speranza, oppressa dal peso del tempo che vacilla nell’attesa del Ragnarok, la fine degli uomini, del mondo, degli dei e del creato tutto. In questo tempo così umano, l’unica giustizia è quella che l’uomo è capace di ottenere: la giustizia che Vigdis cerca, la giovane Vigdis innamorata di Ljot, il seducente marinaio islandese che l’ha stuprata e poi abbandonata. Vigdis che ha visto bruciare la sua casa, che ha attraversato la neve scandinava sfidando la morte in una notte di tormenta portando in grembo il figlio di quello stupro. Vigdis ha amato Ljot, anzi lo ama ancora e da questo amore così furioso, così irragionevole ha distillato grammi di odio purissimo che nutrono la sua vendetta. La saga di Vigdis è la storia di questa vendetta, la storia di una ferita che non si rimargina, la storia di un amore che balla il suo valzer senza respiro con la morte.
In una Scandinavia medievale stagliata con inconsueta forza su uno sfondo bicromico fatto di neve e sangue, bianco e rosso, Sigrid Undset, premio Nobel nel 1928, recupera il ritmo sincopato e ossessivo delle antiche saghe nordiche, in un testo che non è un romanzo e che come tale va affrontato: i personaggi non mutano, non hanno tormenti psicologici imprevisti, non si dibattano per tenere uniti i nodi della trama; piuttosto su di loro soffia il vento nero e inesorabile della fatalità, di un destino che deve accadere. Come nell’Angelus Novus di Paul Klee, sono spinti avanti dalla tormenta della storia, ma i loro occhi sono fissi indietro, sul trauma primitivo che ha segnata per sempre la loro vita. Undset, come Bergman in “La fontana della vergine”, torna al medioevo per dire della violenza sulle donne certo, ma soprattuto per descrivere il tormento insanabile dei nodi che non si sciolgono, per dire dell’odio che può consumare la vita e dell’amore che lo nutre.
Nulla di nuovo, ma quale potenza si nasconde nella pagine di questa saga nordica.